La riforma costituzionale e la politica del caviale

1 Dicembre 2016
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Raffaele Deidda

La serata televisiva di lunedì 21 novembre, per chi abbia avuto l’opportunità di immergervisi, è stata di grande interesse. Passando dalla trasmissione Otto e Mezzo su La 7 a Report su Rai 3.

C’era Pierferdinando Casini ospite di Lilli Gruber o Otto e Mezzo. Fra le altre cose ha sostenuto che con la vittoria del SI al Referendum verrebbe superata la “dissennata” riforma del Titolo V della Costituzione e non si verificherebbero contenziosi come quello fra lo Stato e la Regione Puglia in relazione al gasdotto TAP (Trans-Adriatic Pipeline), che dovrebbe portare il gas naturale proveniente dall’Azerbaijan in Italia e in  Europa, il cui progetto sarebbe inibito dai localismi pugliesi ostili all’espianto di “alcune centinaia di ulivi”. Nell’interesse nazionale, ha ribadito con forza Casini, l’ultima parola sulle grandi opere ce l’ha lo Stato.

In realtà, come ha recentemente osservato l’agenzia di stampa Reuters Italia, per costruire il gasdotto che raggiungerà il terminale di ricezione nel comune di Melendugno dovranno essere espiantati e successivamente reimpiantati 1.900 ulivi. Poi, per allacciare l’infrastruttura alla rete nazionale, occorrerà estendere il gasdotto di altri 55 km fino a Mesagne (Brindisi) dove parte la dorsale del gas della Snam, con ulteriore spostamento di altri 8.000 ulivi.

Il dramma della Xilella, il batterio che ha colpito migliaia di ulivi del Salento è ancora troppo vivo nella memoria e il sindaco di Melendugno ha ricordato come per affrontare la malattia i primi provvedimenti prevedessero l’abbattimento delle piante e come le persone avessero manifestato contro, arrampicandosi sugli alberi e determinando così l’interruzione del piano. “Lo stesso si immagina possa succedere con il gasdotto”, ha rimarcato il sindaco.

Per Casini, leader dell’Udc e politico di lunghissimo corso, attualmente Presidente della Commissione Esteri del Senato, le grandi infrastrutture vanno comunque realizzate riducendo i poteri di veto delle Regioni e tacitando i localismi.

Venendo a Report, Milena Gabanelli ha costruito la puntata sull’inchiesta della Procura di Milano, aperta per corruzione e riciclaggio nei confronti dell’ex deputato dell’Udc (incidentalmente lo stesso partito di Pierferdinando Casini) e presidente del Ppe nel Consiglio d’Europa che, è utile ricordarlo, è la principale organizzazione di difesa dei diritti umani, democrazia e Stato di diritto. In questa veste avrebbe, secondo l’accusa, ricevuto dal governo dell’Azerbaijan una tangente da due milioni e 390mila euro. Per l’accusa Volonté avrebbe intascato la tangente dal lobbista azero Muslum Mammadov, affinché “asservisse la propria funzione pubblica ai loro interessi e a quelli del governo dell’Azerbaijan”. Volonté avrebbe cioè orientato le votazioni del gruppo Popolari-Cristiano Democratici contro il rapporto sui prigionieri politici stilato dal socialdemocratico tedesco Christoph Strasser e fortemente osteggiato dall’Azerbaijan.

A prescindere dalla vicenda che riguarda Volonté, e che sarà compito dei magistrati chiarire, risulta evidente come sia sistematica la cosiddetta “politica del caviale”, ossia la pratica di corruzione messa in atto dal regime azero. Che ha trovato in Italia, e non solo, terreno molto fertile. Nel corso della sessione del Assemblea Parlamentare del Consiglio d’Europa il presidente spagnolo Pedro Agramunt, noto per le sue posizioni filo azere, per ben due volte ha tolto il microfono alla capo delegazione armena Naira Zhohrabyan che nel suo intervento ricordava l’inchiesta della Procura milanese e le pratiche di corruzione del regime dell’Azerbaijan.

Il presidente azero Aliyev che mette i giornalisti in prigione, che reprime gli oppositori politici, che è in guerra con l’Armenia, coltiva amichevoli rapporti con l’occidente in funzione della ricchezza di idrocarburi e di caviale che detiene. E’ il presidente di un paese con cui l’Italia fa affari da anni e che dovrebbe vendere al nostro Paese il gas in arrivo sulle coste pugliesi con il gasdotto TAP. Sempre che i localismi figli della “dissennata” riforma del Titolo V della Costituzione, non vengano consolidati dalla vittoria del No al Referendum e non vadano a privilegiare l’ambiente rispetto alla strategicità del TAP. “Lei porterebbe sua figlia a costruire i castelli di sabbia sopra un gasdotto che ha una pressione di 145 bar? E che ne sarà della balneazione e della pesca in quel tratto di mare ?” ha domandato il sindaco di Melendugno, comune che ottiene importanti riconoscimenti come la Bandiera Blu o le 5 Vele di Legambiente.

Questo a fronte di un gasdotto che non è ancora chiaro se dovrà trasportare gas azero o russo in quanto, a detta degli esperti, le riserve dell’Azerbaijan non sarebbero tali da garantire per molti anni le esportazioni. Come è inoltre emerso dalla puntata di Report, l’Eni avrebbe dichiarato che in Italia c’è un surplus di gas. E allora a che pro devastare un territorio e utilizzare la protesta dei suoi abitanti come esempio di bieco localismo che inibisce lo sviluppo e la crescita economica? Non si capisce, mentre è chiaro come la vittoria del SI scavalcherebbe ogni forma di concertazione con i territori in tema di ambiente, infrastrutture ed energia, anche attraverso la cosiddetta “clausola di supremazia” del Governo. Rendendo tragicamente possibile l’abbinamento della riforma costituzionale con la politica del caviale.

La Sardegna, in quanto Regione a Statuto Speciale, non correrebbe invece rischi di sorta, viene detto dai sostenitori nostrani del SI. Dovremmo stare “sereni” e fiduciosi che la clausola di supremazia speciale, prevista dalla riforma costituzionale, che prevede che lo Stato possa intervenire “in materie non riservate alla legislazione esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o economica della Repubblica, ovvero la tutela dell’interesse nazionale” non andrà di fatto a limitare, se non ad eliminare, la clausola di garanzia delle specialità?

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