La sinistra democratica in Sardegna

1 Novembre 2007

Carlo Dore jr

L’imponente mobilitazione di popolo avvenuta in occasione delle primarie del Partito Democratico e l’altrettanto straordinaria partecipazione di iscritti e militanti delle varie forze della sinistra italiana alla manifestazione contro il precariato che ha avuto luogo lo scorso 20 ottobre impongono una riflessione sulle prospettive e gli obiettivi alla cui attuazione deve essere ispirata la fase costituente di Sinistra Democratica, tanto a livello nazionale quanto a livello locale. Le due situazioni a cui ho fatto riferimento si prestano infatti, a mio avviso, ad una lettura unitaria: i tre milioni di persone che hanno preso parte alle elezioni per la formazione delle assemblee costituenti del PD si sono (in massima parte) rese espressione di quella fortissima esigenza di rinnovamento che attraversa il Paese in questa delicata fase storica. Esiste infatti la necessità di affermare una nuova concezione della politica, meno soffocata dalle trame delle segreterie e più aperta alle istanze che quotidianamente promanano dai principali settori della società civile. Per contro – indipendentemente dalle legittime riserve di quanti hanno ritenuto inopportuno il ricorso allo strumento della piazza per invocare una svolta in senso progressista nell’azione dell’Esecutivo -, la manifestazione del 20 ottobre ha messo in rilevo ancora una volta come all’appena descritta esigenza di cambiamento della politica si sovrapponga un ineludibile “bisogno di sinistra”. Quel bisogno di sinistra che dovrebbe spingere le componenti più radicali dell’attuale maggioranza di governo ad abbandonare una volta per sempre la loro restrittiva dimensione di “partito di lotta” per contribuire (favorendo un confronto serrato all’interno della base sui grandi temi del lavoro, della giustizia, della questione morale, degli equilibri internazionali) alla creazione di un’unica forza progressista moderna e plurale, in grado di rendersi espressione dei principi su cui si fonda il socialismo del XXI secolo. Modernità e partecipazione, rinnovamento e identità: Sinistra Democratica è il punto di partenza di siffatto percorso unitario, il naturale punto di riferimento per quanti non si riconoscono nelle logiche che hanno finora caratterizzato la formazione del Partito Democratrico. Le oscure vicende che in Sardegna hanno fatto da sfondo all’ascesa di Antonello Cabras alla segreteria del nuovo partito confermano infatti come gli eterni gruppi di potere su cui il senatore diessino ha potuto contare nella corsa contro Soru risultino per forza di cose incompatibili con qualsiasi strategia di riforma della politica: il rigido verticismo, le lotte intestine tra i vari capi-bastone, i tatticismi e i giochi di potere che hanno causato l’emorragia di consensi subita dai DS sardi negli ultimi dieci anni rimarranno una costante strutturale del nuovo soggetto politico, un triste connotato della nuova stagione veltroniana. Tuttavia, ora che Calvisi, Cabras, Cherchi e Milia hanno deciso di ammainare definitivamente la bandiera rossa per ritrovarsi sotto le indefinibili insegne del PD, i militanti diessini che nell’isola hanno dato vita a Sinistra Democratica si trovano già dinanzi ad una svolta cruciale. Possono rassegnarsi alla prospettiva di dare vita ad una sorta di “Quercia formato bonsai”, all’ennesimo piccolo partito creato per assecondare le ambizioni di alcuni noti professionisti delle aule consiliari e le velleità di carriera di qualche giovane boy scout maldestramente riciclatosi nel ruolo di generale senza truppe. Oppure, possono impegnarsi nell’opera di “rottura e aggregazione” necessaria per favorire, anche a livello locale, l’attuazione di quel processo di unificazione delle varie realtà progressiste di cui Mussi e Salvi da tempo avvertono la necessità. Il cambiamento della politica dipende in gran parte dall’unità della sinistra: questa speranza non può rimanere ancora una volta delusa.

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