La stessa forza della dinamite

16 Febbraio 2013
Marcello Madau
Il viaggio è metafora forte per leggere un territorio. Viaggio di attraversamento senza scopo o per lavoro o per scuola, ricerca conoscitiva, allontanamento dal tuo luogo per cercare altrove maggior fortuna, o anche solo fuga. Il viaggio che ci conduce al nostro impegno, che costruisce in maniera voluta ma anche casuale relazioni fra persone e persone, persone e luoghi, è un diritto che ci deve appartenere.
Il trasporto, che lo esprime, è una pratica assai speciale chiamata bene comune.
I beni comuni, termine spesso abusato – ma succede ad altri concetti importanti, senza che sia necessario negarne valore ed esistenza – sono elementi fondamentali nella pratica della cittadinanza e della democrazia.
I trasporti e i relativi mezzi rientrano nella categoria dei ‘new commons’, dei nuovi beni comuni, anche se in realtà le radici si trovano in tempi più lontani di quelli di modernità e contemporaneità.
Nella nostra epoca la possibilità di muoversi nel territorio e fra i territori è, per ogni comunità e ogni suo componente,  un bene comune di eccezionale importanza: si parte dal diritto sociale a raggiungere, quando si ha, il proprio posto di lavoro, o a muoversi per cercare altre opportunità.
Ma la sfera del lavoro non esaurisce affatto la necessità di un diritto comune al trasporto: l’accessibilità al viaggio è la possibilità di socializzare i luoghi, di conoscerne altri, di incontrarsi fra persone.
Nel nostro paese il trasporto contemporaneo è stato segnato, nella rinascita del secondo dopoguerra, dall’industria automobilistica privata e dalle esigenze primarie del trasporto su gomma: per un singolare destino storico, essa si origina nella stessa regione che ha saccheggiato boschi e foreste sarde per la costruzione delle ferrovie.
Oggi la situazione  delle ferrovie italiane, e con particolare gravità quella delle ferrovie sarde, risente di questa crisi ed è specchio di classiche limitazioni al godimento di un bene comune, quelle determinato da un uso privato e di classe che condiziona i trasporti, garantendo il bene ad alcuni ed escludendo nel suo godimento molte altre persone.
La destinazione di grandi risorse per l’Alta Velocità, e solo in certe aeree del paese, ha significato, come è noto, non destinarne al trasporto dei lavoratori e degli studenti, sia nelle aree privilegiate sia in quelle già depresse del Mezzogiorno e delle isole. La privatizzazione delle compagnie di trasporto e lo svuotamento delle linee ferroviarie pubbliche sono un attacco diretto a cittadini e comunità intere. Enfatizzando il trasporto su gomma si riempie l’ambiente di scarichi nocivi.
Lo svuotamento del trasporto collettivo, e l’umiliazione di quella splendida esperienza dell’andare in treno attraverso  gravi, onerosi e quotidiani disagi, rende urgente e primaria questa battaglia nei territori sardi.
Combattere radicalmente l’attuale politica dei trasporti  ferroviari in Sardegna è una questione di primaria importanza, una delle lotte che le nostre comunità devono fare per riacquistare i diritti territoriali e la piena esperienza di cittadinanza vasta in movimento.
Dobbiamo riportare i trasporti da beni esclusivi, come essi sono diventati, a beni non esclusivi. A beni delle comunità che mettono in relazione le comunità, beni civici territorializzati globali.

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