Per un lavoro dignitoso

16 Giugno 2014
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Michela Angius

C’è ancora molto da fare in Europa rispetto a livelli salariali e condizioni di vita. È quanto emerge dalla ricerca condotta da Clean Clothes Campaign fra le lavoratrici e i lavoratori occupati nell’industria dell’abbigliamento in dieci paesi dell’Europa Orientale tra cui Bulgaria, Romania, Croazia, Ucraina, Slovacchia e Turchia.
Nei paesi esaminati l’industria dell’abbigliamento occupa complessivamente tre milioni di persone con forme di impiego regolare o irregolare. È uno dei comparti che crea povertà ed esclusione sociale perché 1) le retribuzioni sono al di sotto dei livelli di sussistenza e povertà, quindi molto lontani da un livello minimo dignitoso; 2) il lavoro delle donne è oggetto di discriminazione in termini di compensi e trattamento; 3) il salario rappresenta l’unica fonte di reddito a cui difficilmente una famiglia può rinunciare, anche perché esso assicura la previdenza sociale e l’assistenza sanitaria; 4) le organizzazioni sindacali e in difesa del lavoro sono praticamente assenti.
Contrariamente a quanto si possa immaginare, la differenza fra salario minimo legale e salario minimo dignitoso stimato è più marcata nei paesi europei che non nei paesi asiatici. Ad esempio, nel 2013 Bulgaria, Macedonia e Romania hanno fatto registrare salari minimi legali inferiori alla Cina. Se si esclude l’area di Istanbul, Croazia e Ucraina, il livello più basso delle retribuzioni nette non raggiunge il 30% del valore stimato di un salario dignitoso.
Come spesso accade le donne sono quelle più vulnerabili, costrette a sostenere un triplo carico fatto di lavoro salariato per mantenere la famiglia, lavoro di cura e domestico, lavoro in campagna per integrare le misere retribuzioni. A lungo andare tali ritmi portano le donne a sviluppare gravi problemi di salute.
A peggiorare la situazione contribuiscono le varie forme di violazione delle leggi e furti salariali. In quasi tutti i paesi oggetto dell’indagine, gli ispettorati del lavoro, spesso corrotti, si sono dimostrati inefficienti.
Nel rapporto di Clean Clothes Campaign si legge “la libertà dal bisogno economico è la premessa fondamentale al godimento di tutti gli altri diritti sociali e politici.. la mancata corresponsione di retribuzioni dignitose condanna i lavoratori in tutto il mondo a una vita segnata in vario modo dalla povertà”.
Non si può non essere d’accordo. Solo nel momento in cui le persone soddisfano i bisogni fondamentali connessi alla sopravvivenza, possono pensare di appagare altre necessità. Il concetto di salario dignitoso, già sancito nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, è una condizione basilare per assicurare il benessere degli individui. Quando tale diritto è negato, il futuro delle persone viene seriamente compromesso con significative ripercussioni sull’economia dei diversi paesi.
Uno dei cinque obiettivi della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e solidale riguarda la riduzione della povertà per almeno 20 milioni di persone. Questa fascia di popolazione si concentra per lo più in Bulgaria e Romania, due paesi europei con il più alto rischio di povertà.
L’Unione Europea e le imprese hanno il dovere di rispettare e proteggere i diritti umani ovunque avvengano le produzioni.
Secondo la Clean Clothes Campaign, tutti i marchi della moda e i distributori dovrebbero far in modo che i lavoratori ricevano un salario netto (senza straordinari e incentivi) pari almeno al 60% del salario nazionale medio, per incrementarlo progressivamente verso il valore stimato del salario dignitoso minimo. Ma non solo. I governi dei paesi oggetto di indagine e le competenti istituzioni dell’Unione Europea dovrebbero pretendere che le imprese multinazionali rispondano di ciò che accade in tutta la filiera produttiva.
Impegnarsi attivamente per il rispetto dei diritti umani e del lavoro non può essere un fatto secondario.

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