Le 5 ASL

1 Settembre 2019
[Massimo Dadea]

Cambiano i Presidenti, le giunte, gli assessori, le maggioranze, ma l’approccio al tema della salute dei cittadini non si modifica: lo stesso pressapochismo, la stessa superficialità, la stessa demagogia. Ieri, come oggi, al centro di qualunque elaborazione – pomposamente la chiamano “riforma” – non vi è il cittadino, la persona, ma una concezione economicistica, meglio ragionieristica, del diritto alla salute, finalizzata alla mera riduzione della spesa sanitaria. In cima alle priorità non vi sono i bisogni dei cittadini, ma una muscolare e propagandistica esercitazione di ingegneria organizzativa: ieri l’ATS (ASL unica), oggi il ritorno alle cinque ASL. Al vertice delle preoccupazioni non vi è il progressivo scadimento della qualità dell’assistenza e dei servizi, plasticamente certificato dalle lunghe liste d’attesa, degne di un paese del terzo mondo. Un’organizzazione sanitaria costosa quanto inefficiente, una spesa farmaceutica che, nonostante i positivi sforzi compiuti dal precedente governo regionale, rimane alta. Un sistema ospedaliero che, fatta eccezione per alcune eccellenze di alta specializzazione, vedi i trapianti, presenta molte criticità. Il dramma dei Pronto soccorso: attese di ore per accessi il più delle volte inappropriati, che si traducono in alti tassi di ospedalizzazione, cioè un numero elevato e costoso di ricoveri ingiustificati. Un distorsione – a cui contribuisce l’atteggiamento dei medici di famiglia, fin troppo precipitosi nel liberarsi dei pazienti più impegnativi – che finisce per avere ripercussioni negative sugli stessi presidi ospedalieri, impossibilitati a svolgere la loro funzione primaria di diagnosi e terapia più fine e sofisticata, perché ingolfati dalla routine e dalla mancanza di adeguati servizi filtro a livello territoriale. Oggi, così come ieri, non si vuole capire che il nodo cruciale della nostra organizzazione sanitaria è il territorio, la mancanza di adeguati servizi assistenziali proprio dove più acuti ed impellenti sono i bisogni di salute dei cittadini. In compenso, bisogna ammettere che le cosiddette “riforme”, quella della sanità e quella del sistema degli enti locali in primis, sono riuscite nel difficile intento di dare un contributo decisivo all’accentuarsi degli squilibri territoriali: si svuota il territorio di servizi essenziali, si aggrava il processo di spopolamento delle aree più deboli, si favorisce la “desertificazione” sociale economica e culturale di ampi territori della Sardegna. Certo, sul piano della propaganda è molto più redditizio parlare di cinque nuove ASL anziché una o di un nuovo ospedale nell’area metropolitana di Cagliari, che non della necessità di assicurare idonei servizi di prevenzione e cura nelle aree più disagiate ed emarginate dell’isola. E’ di sicuro molto più gratificante, sopratutto sul piano elettorale, sbandierare le magnifiche sorti e progressive di un ospedale privato (Qatar foundation), il Mater Olbia, finanziato con i soldi pubblici (60 milioni di euro all’anno) e che funzionerà grazie ai 252 posti letto sottratti ai presidi ospedalieri pubblici. Niente di nuovo sotto il cielo, anzi d’antico. Niente che faccia pensare ad un inversione di tendenza, a qualcosa che metta al centro la persona, il malato, i bisogni di salute dei cittadini.

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