Turchia e dintorni: La Turchia e gli altri attori internazionali in Libia

1 Settembre 2019

Il presidente turco Recep Tayyip Erdogan riceve Al-Serraj.

[Emanuela Locci]

Negli ultimi mesi si è molto parlato nei media nazionali e internazionali della situazione di instabilità in cui versa la Libia, condizione che si protrae tra alterne vicende dalla caduta del rais Mu’ammar Gheddafi. La Libia, nazione molto vicina all’Italia e non solo dal punto di vista geografico, ma soprattutto da quello economico-energetico, sta vivendo una stagione prolungata di sofferenza sociale e precarietà politica probabilmente senza precedenti. Come sappiamo la società libica è frammentata e tribale e comporre un mosaico con tessere così scomposte non è facile.

Le due principali fazioni contrapposte sono rappresentate da un lato dalle truppe dell’Esercito Nazionale Libico sotto il comando del generale Haftar, dall’altro, il governo sostenuto dall’Onu di Fayez al-Serraj. Nell’intricato scacchiere libico non vi sono solo gli attori nazionali, ma anche e soprattutto attori internazionali. Ognuno dei contendenti ha infatti trovato degli alleati nel panorama internazionale. Il generale Haftar è sostenuto dalla Francia (almeno nella fase iniziale), dall’Egitto dalla Russia e dagli Emirati Arabi Uniti, mentre il governo di accordo nazionale presieduto da Al-Serraj ha raccolto il favore oltre che dell’ONU, dell’Italia, della Turchia e del Qatar. Interessante dal punto di vista geopolitico, il quadro di contrapposizioni nel mondo arabo, in quanto potrebbe radicalmente stravolgere gli assetti nel mondo arabo e non solo.

Quindi in un modo o nell’altro la Turchia è tornata in Libia. La sua presenza è giustificata a livello internazionale con l’esigenza del paese di essere presente nelle questioni inerenti al bacino del Mediterraneo, in linea con le direttive del governo dell’Akp che vogliono la Turchia quale paese pivot nello scacchiere vicino e medio orientale. La guerra in Libia non è solo uno scontro militare ma anche uno scontro economico, si combatte per il potere, si combatte per il petrolio libico. In questo quadro non bisogna poi dimenticare la dimensione regionale e religiosa del conflitto. Una chiave per la definizione e conclusione del conflitto potrebbe proprio risiedere nell’ampliamento del dialogo tra le potenze regionali, in primis la Turchia. Ankara, dopo l’incontro tra il ministro dell’Interno libico, Fathi Bashagha, e il suo omologo turco, il generale Hulusi Akar, ha recentemente riconfermato il suo appoggio al governo di Al-Sarraj, avvalorando gli accordi con l’invio di materiale bellico turco.

Il generale Haftar non si è fatto attendere, ha già dato disposizioni perché vengano chiusi tutti i negozi turchi o che vendono prodotti che provengono dalla Turchia. Cosa ancora più eclatante sono iniziati gli arresti e le deportazioni di cittadini di origine turca, anche se risiedono e lavorano in Libia da decenni. Questi fatti hanno scatenato la reazione turca i cui leader hanno dichiarato in numerose occasioni, anche internazionali, che difenderanno in ogni modo gli interessi turchi. Successivamente sei cittadini turchi sono stati rilasciati e hanno continuato la loro attività lavorativa scegliendo di non tornare in patria.

La tensione tra l’esercito nazionale libico e la Turchia non accenna a scemare, infatti a metà agosto la base militare di Misurata, dove vengono convogliati gli armamenti che provengono dall’estero, in particolare quelli turchi, è stata attaccata. Già in precedenza era stato abbattuto dalle forze di Haftar un drone turco, che secondo le fonti libiche “che stava bombardando in maniera indiscriminata i quartieri e le aree residenziali di Ghadian”, a sud di Tripoli. Insomma la situazione è esplosiva e ciò non fa che accrescere il clima di instabilità che già pervade la regione.

In tutta questa situazione dai contorni non delineati, non bisogna dimenticare che l’attuale instabilità della regione la rende appetibile per i gruppi terroristici. Gli otto milioni di libici, che si ritrovano in mezzo ad una guerra civile, in gran parte poveri, possono rappresentare un terreno fertile per la formazione o il rafforzamento di gruppi terroristici che potrebbero rappresentare una minaccia anche per l’Italia che non andrebbe sottovalutata. L’instabilità della Libia quindi non giova a nessuno nell’area del Mediterraneo e anche oltre.

 

 

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