Eppure il Testo unico dei doveri del giornalista, all’articolo 9, quello dedicato ai “Doveri in tema di rettifica e di rispetto delle fonti”, parla molto chiaro: “il giornalista rettifica, anche in assenza di specifica richiesta, con tempestività e appropriato rilievo, le informazioni che dopo la loro diffusione si siano rivelate inesatte o errate”.

Appropriato rilievo significa consentire di controbilanciare la diffusione delle precedenti informazioni e non può avere razionalmente altro significato. Ed è evidente che questo appropriato rilievo, per casi riguardanti persone appartenenti a categorie emarginate accusate di reati gravi e infamanti, non è considerato necessario da nessuno.

In un caso come quello di Amin Ahmad Alhaj, per il quale i giorni dell’arresto è stato scritto davvero di tutto, vorrebbe dire dare altrettanto risalto alla notizia che egli è stato scarcerato.

D’altra parte non è questo il primo caso: un insegnamento in ordine alla prudenza da adottarsi dai giornalisti potrebbe venire dalla storia della così detta “cellula olbiese di Al Qaeda”, con una carcerazione preventiva portata all’estremo della scadenza dei termini (dopo più di 3 anni), conclusasi con una assoluzione piena di tutti gli imputati dal reato di terrorismo, dopo aver prodotto effetti pesantissimi sulla vita delle persone coinvolte.

In quella vicenda, l’assoluzione non ha ottenuto la giusta attenzione: se a livello locale se ne è parlato, dando anche voce almeno ai due imputati che ancora intendono vivere e lavorare a Olbia, ci vorranno comunque anni di copertura costante per superare l’eco delle indagini e del processo.

Inoltre, se al momento della pubblicizzazione dell’inchiesta i particolari che hanno condotto gli inquirenti a formulare le accuse sono stati ampiamente diffusi, non altrettanta eco hanno avuto le ragioni che hanno portato all’assoluzione; eppure è evidente l’interesse generale a capire come sia possibile che delle persone innocenti abbiano dovuto subire questo calvario giudiziario.