Le scelte economiche di Draghi sotto la lente di Foucault

1 Luglio 2021

[Alfonso Gianni]

Le firme dei 65 economisti che insegnano in varie università del nostro paese, e non solo, contro le impresentabili nomine effettuate dal governo per il Nucleo tecnico per il coordinamento della politica economica, sono ormai diventate centinaia.

Troppo evidente è il contrasto fra un Piano che, per quanto criticabile, prevede il più ampio intervento di investimenti pubblici da molti anni a questa parte e il profilo intellettuale dei nuovi nominati. Non solo alfieri del neoliberismo, ma della sua versione peggiore, capaci di sostenere le tesi più estreme e strampalate di una teoria economica il cui fallimento storico è ormai consolidato. Negazionisti del cambiamento climatico, sostenitori della libera circolazione delle armi in mano ai cittadini, contrari all’acqua pubblica, fautori della liberalizzazione dei trasporti. Tutte tesi falsificate dalla realtà, oltre che contraddette dal semplice buon senso. Vi è quindi da domandarsi da cosa deriva una scelta talmente improvvida. E’ dovuta dalla “necessità” di tenere conto delle pressioni della destra presente nel governo, peraltro in altre faccende affacendata, vedi ddl Zan? Si tratta di una provocazione nei confronti dell’ala sinistra del medesimo, alla quale peraltro la stessa ha risposto zittendo chi elevava qualche protesta? Oppure è semplicemente la sottolineatura che il Nucleo conta poco dal momento che il sistema di governance delineato negli ultimi provvedimenti prevede che in ultima analisi la decisione è saldamente in mano al capo del governo? Ognuna di queste spiegazioni in realtà sarebbe già un’aggravante del quadro. Tuttavia nessuna di esse appare del tutto convincente. La sensazione che è che ci sia dell’altro, ovvero che lo scempio delle nomine sia un tassello di un processo di più ampio respiro. Anche perché a queste va certamente sommata la nomina a capo della Cassa depositi e prestiti di Dario Scannapieco, attivissimo ed entusiasta sodale di Draghi nelle grandi privatizzazioni degli anni Novanta. E’ vero che già  il suo predecessore, Fabrizio Palermo, sosteneva che la Cdp non sarebbe mai diventata una nuova Iri, poiché non ci sarebbe “la nuova via italiana al capitalismo misto, pubblico e privato […]  è il capitalismo paziente che investe lì dove ci sono i fattori per lo sviluppo”. Quasi un antipasto del Pnrr. Il che dimostra, nel profondo, una  linea di continuità fra questo governo e quelli che l’hanno preceduto. Ma anche l’accusa di una spudorata ripresa dei mantra del neoliberismo non è sufficiente a comprendere quanto sta avvenendo. Forse dovremmo fare ricorso alla categoria dell’ordoliberismo, teoria nata negli anni Trenta a Friburgo, pur con le attualizzazioni del caso e scontando il fatto che ogni teoria economica non esiste mai nella realtà allo stato puro, ma sempre in una tensione di adattamento al momento storico-politico e alle tradizioni del paese in cui si applica. Tra i molti che si sono cimentati con il tentativo di definire tale teoria per distinguerla dal neoliberismo, non accontentandosi di concepirla come un neoliberismo stato-centrico, vi è senz’altro Michel Foucault che alla fine degli anni ’70 (Nascita della biopolitica, Corso al College de France 1978-79) sottolinea che gli ordoliberali non si limitavano a tracciare limiti all’intervento pubblico in economia, ma volevano “porre la libertà di mercato come principio organizzatore e regolatore dello stato, dall’inizio della sua esistenza sino all’ultimo dei suoi interventi. Detto altrimenti: uno stato sotto la sorveglianza del mercato, anziché un mercato sotto la sorveglianza dello stato.” Quindi l’ordoliberismo non è affatto una versione gentile del neoliberismo. Il suo obiettivo è il rovesciamento del ruolo e della funzione dell’intervento pubblico, piuttosto che la sua limitazione e men che meno la sua sparizione. Esso si rende garante dell’implementazione del principio della concorrenza, non più come via libera agli spiriti animali del capitalismo, ma come strumentazione ordinata da un quadro legislativo.  Non è quindi un capriccio che tra le riforme collegate al Pnrr vi sia quella sulla concorrenza. L’intervento pubblico può tranquillamente avvenire in un quadro sovrannazionale, nel quale si impone una elite politicamente e tecnicamente agguerrita, in un quadro di a-democratizzazione dell’ordine politico, interno ai singoli paesi e internazionale, capace di resistere in primo luogo ai bisogni e alle aspirazioni  delle popolazioni ed anche, se si presenta il caso, alle grandi multinazionali quando esagerano nel volere costruire  uno spazio giuridico e fiscale proprio. Non è forse questa la storia fino ad oggi  dell’Unione europea? E Draghi ne è stato progettatore e interprete. Ma questo significa anche che se ci fosse una sinistra politica si alzerebbe l’asticella dello scontro.

Da Il manifesto

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