L’elettrodomestico nel naufragio del nord-est

23 Novembre 2013

Elettrolux

Sebastiano Canetta e Ernesto Milanesi

La centrifuga del «modello bianco»: l’Italia Electrolux addomesticata dalla gestione Svezia. A Nord Est l’altra faccia degli imprenditori fai-da-te che si suicidano è rappresentata dalla pialla sull’occupazione operaia in fabbriche come Susegana e Porcia. Va in cortocircuito la «locomotiva» delle tute blu elettrodomestiche. E fra Veneto e Friuli un pezzo di Padania va in pezzi nell’Europa del capitale che cancella il lavoro.
La cronaca va riletta alla luce della storia secolare: c’era una volta la nicchia della fantasia produttiva, il riscatto dalla schiavitù dei campi, l’acciaio e l’elettricità che la facevano da padroni nel boom, il capannone legato a filo doppio con il Welfare, i pionieri della manifattura in grado di sventagliare intra-presa.
Oggi c’è Keit Mc Louglin, massimo dirigente di Electrolux, con la «procedura di investigazione»: rottamate le lavatrici di Porcia, congelati i figoriferi di Susegana, bruciati perfino i forni di Forlì. Tramonta così la parabola industriale dell’economia pedemontana a cavallo tra la Marca e Pordenone. Un salto nel buio: da chi aveva inventato l’elettrodomestico alla «focalizzazione organizzativa» del quadrato svedese dove si salva chi produce ma per Ikea.
Pordenone, 1916, il fronte di battaglia per Antonio Zanussi corre lungo la registrazione dell’omonima società industriale. Si dedica con passione alla meccanica e resta in trincea per quasi 40 anni. Poi passa l’azienda al figlio Lino: sarà lui a mettere d’accordo la refrigerazione con il design. Così la ditta di famiglia si specializza, anche nei forni a gas, e raddoppia la fabbrica costruendo uno stabilimento a Porcia.
E’ il percorso che compie, a partire dal 1926, un altro imprenditore di provincia a pochi chilometri di distanza. Ferdinando Zoppas con i figli manda avanti un’officina meccanica. Insieme, iniziano a farsi un nome nel mondo degli elettrodomestici. Zoppas si interessa al pezzo che manca, all’innovazione che cambia le sorti del mercato e quindi del lavoro. A Conegliano si immagina l’economia a partire dalla ricerca e si investe nelle competenze: nasce la prima lavatrice made in Italy.
Alla fine degli anni Sessanta Zoppas conta 4.000 dipendenti e si mette in diretta concorrenza con Zanussi che produce anche su licenza Usa. Il friulano ha già inaugurato una divisione «Elettronica» e cominciato a vendere i televisori targati Sèleco. Con le lavatrici Rex sono tra i prodotti che consentono di superare anche la Germania nel comparto elettrodomestici. Il marchio Zanussi è già globalizzato.
Nel 1961 la fabbrica si trasforma in Spa: tre anni dopo lo stabilimento di Susegana comincia a sfornare pezzi che si venderanno al resto dell’Europa. Non basta tuttavia a battere la concorrenza. Anzi. All’inizio degli anni Settanta, è Zanussi che si mangia Zoppas. Inglobata insieme ad altri marchi perché Zanussi nel frattempo è diventa una potenza anche finanziaria. E all’inizio degli anni Ottanta Zanussi arriverà a stipendiare 35 mila dipendenti, diventando la seconda Fiat d’Italia.
Nel 2013, Electrolux «investiga» la produttività sede per sede. Duemila posti di lavoro (su 4.500) più che a rischio in Europa. Significa, di fatto, un più che drastico «ridimensionamento» anche in Italia. Porcia salterebbe, a Milano si dimezzerebbe l’attività e Susegana sarebbe riciclata a beneficio dell’Ikea. In queste settimane, alla mobilitazione dei lavoratori fa riscontro l’attenzione istituzionale: sindaci, parlamentari, governatori impegnati ad intavolare una trattativa con il governo Letta; a Pordenone la manifestazione sindacale ha registrato perfino la presenza del vescovo Giuseppe Pellegrini.
Ma la vertenza Electrolux è soprattutto la metafora di un quadrante in tilt. Si rischia davvero di ritrovarsi un cumulo di macerie proprio lì dove, a cavallo del Duemila, soffiava solo il vento del mitologico Nord Est. Una società votata alla fascinazione del tutti padroni e padroncini. La voracità del piccolo, bello e vincente: predestinata alla bulimia del territorio, quanto alla demenza degli affari&finanza a misura di banche&bande. Il lavoro manuale frullato senza pietà, spesso con il ricatto della delocalizzazione selvaggia. Urbanistica e politica votate alla redditività dell’immobiliarismo: il ciclo del cemento ad alta rendita come surrogato della produzione di merci.
All’epoca, erano i figli dei «metal-mezzadri» a drogarsi di mercato in espansione lineare e continua. Padroni di un destino con il mutuo incorporato, consumatori di benessere a credito, comparse di The Truman Show in versione dialettale.
La generazione precedente aveva letteralmente ricostruito questi lembi di provincia, alternando metà giornata nei campi e il turno alla catena di montaggio in fabbrica. E trasformato le case con stalla annessa nelle prime villette, a metà strada fra il campanile e la zona industriale. Era il Veneto di «mamma Dc», per molti versi simile non solo nel paesaggio al Friuli pre-terremoto.
Oggi non ci si può più aggrappare alla liretta che nutriva l’export ai tempi del marco nella Germania unificata. E nemmeno immaginare la sbornia postuma dell’ideologia berlusconiana. O contare sulle larghe intese della sussidiarietà nazionale, declinata dal ministero dello sviluppo economico per Grandi Opere e lobby inossidabili.
A Nord Est, il «caso Electrolux» svela fino in fondo la deriva da incubo dopo i sogni ad occhi aperti. Legaland è spazzata via dai vikinghi. La Serenissima naufraga in un mare di capannoni in svendita. Il leòn ha i denti cariati, le ali mozze e il vangelo in tribunale. La tribù del Sole delle Alpi ha perso la sua guerra d’indipendenza.
Dalla Padania alla brace…Electrolux?

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