Lella Costa, la sostenibile leggerezza dell’essere

1 Marzo 2013
Francesco Mattana
Se al giorno d’oggi è diventato normale ammirare il talento comico di una donna il merito è anche di chi, come Lella Costa, ha aperto una breccia. È diventata una beniamina del pubblico utilizzando le armi più nobili: l’intelligenza arguta, la simpatia cordiale, la coerenza tra immagine pubblica e vita privata. I suoi monologhi hanno fatto scuola: dopo quasi trent’anni di successi, si è meritata sul campo il diritto di scrivere un libro sull’ironia. Come una specie di sorriso, edito da Piemme, è un piccolo gesto di generosità, che trae la sua grandezza proprio dall’umiltà con cui l’autrice lo ha concepito.

Che cosa l’ha spinta a privilegiare il registro della comicità nel mestiere di attrice?

In parte è una sorta di vocazione. Però già da Adlib, il mio primo testo scritto da sola, proponevo un pezzo finale sulla malinconia. Questo perché ritengo che ci sia una linea di continuità tra il ridere e il piangere.

Chi è stata la sua fonte d’ispirazione principale?

Franca Valeri è stata, ed è tuttora, il mio punto di riferimento. Un’attrice di grande spessore intellettuale, capace di costruire la sua comicità sulla sottrazione. La sintesi sublime del suo percorso artistico l’ha espressa nel titolo della sua autobiografia: Bugiarda no, reticente.

La vostra generazione però aveva sottovalutato l’importanza della leggerezza, di cui era maestra la Valeri.

Verissimo. Personalmente però mi considero fortunata. Negli anni dei collettivi leggevo sì Il capitale (faticosamente), ma scoprivo anche l’intelligenza e la grazia letteraria di Alberto Arbasino. Ho scoperto che esisteva una tematica attorno all’omosessualità non grazie a Oscar Wilde, ma leggendo Anonimo lombardo.

Lei è stata attiva protagonista di molte battaglie civili. Se la sente di fare un primo bilancio?

Col tempo la mia passione politica si è evoluta in militanza per il sociale (da anni collaboro con piacere alle iniziative di Emergency). Sicuramente il mondo non ha preso quella piega che immaginavo da ragazzina, però alcune cose per fortuna sono cambiate. Le leggi sui diritti sono una  grande vittoria della mia generazione. Permettere a una donna di praticare l’aborto è una regola di civiltà basilare, soffro molto al pensiero che nel 2013 ci siano molti politici che strumentalizzano il tema per fini di consenso politico.

Nel suo libro c’è una parte in cui ironizza sulla sessualità femminile. Le donne hanno imparato a scherzare sul tema?

Le donne possiedono un’autoironia superiore rispetto agli uomini. Abbiamo imparato a coltivarla nei secoli: alle spalle degli uomini, hai modo di osservare tante cose. Fuor di dubbio che desideriamo essere gradite e apprezzate. Gli uomini però sono più martellati dall’ansia di prestazione. Poi abbiamo il vantaggio della sincerità tra di noi, ci permettiamo delle confidenze molto spinte.

Il luogo comune descrive Milano come città indifferente al sociale.

Esatto, è proprio un luogo comune. Il fatto è che Milano non è una città univoca, è tante cose. Il trionfo della Lega ha portato a credere che Milano fosse solo quella cosa lì (gli affari, l’effimero della moda). Milano non è affatto una città indifferente.

Molti hanno un’immagine di Lella Costa come donna saggia, seria e impegnata. Cosa possiamo fare per alleggerire un po’questo ritratto?

Ad esempio possiamo dire che sono una collezionista di scarpe. Faccio un mestiere in cui l’estetica è importante, questo è innegabile. E bisogna smantellare lo stereotipo secondo cui una donna per far ridere deve essere brutta. Si ricorda la Tv delle ragazze, alla fine degli anni Ottanta? Facevamo una comicità molto grottesca, paradossale. Eppure eravamo parecchio carine.

La stessa Franca Valeri era tutt’altro che brutta.

Non aveva il sex-appeal prorompente di Sophia Loren, ma nessuno l’ha mai percepita come una donna brutta. Mi viene poi in mente Bice Valori: faceva i caratteri, si imbruttiva ma era una donna affascinante. Monica Vitti era bellissima, e provo una grande pena per l’alzheimer che le ha devastato la vita.

Non dimentichiamo poi Mariangela Melato.

Ho molto pudore a parlarne, il mio amico Renzo Arbore sta attraversando un momento di grande dolore. Le sono stata vicina nel momento della sofferenza scrivendole degli sms, senza essere invadente. Lei era felice di questo. Come diceva Shakespeare, Mariangela era una ragazza senza pari.

Parliamo della sua esperienza a Mediaset. Molti dicono che il Cavaliere è cambiato dopo la sua discesa in campo.

Secondo me l’atmosfera in quelle reti è diventata più pesante dopo il ‘94. Mi è dispiaciuto molto vedere professionalità importanti come Sandra e Raimondo costrette a fare lo spottino elettorale. Sandra, che aveva l’abitudine di parlare schietta, una volta mi disse che la TV in generale era diventata molto maleducata. Aveva ragione.

Lei fu la prima conduttrice di Amici. È soddisfatta di come si è evoluta la trasmissione negli anni?

Ho molta stima di Maria. Credo che tra tutte le cose che ha fatto in TV Amici, anche nella sua evoluzione in talent-show, sia la migliore. Mi interessano meno C’è posta per te e Uomini e donne. Semplicemente non guardo quei programmi, non li sento nelle mie corde.

Che rapporto ha coi giovani? Li striglia?

Intanto usiamo il termine giovani ma è troppo semplificativo, vuol dire tutto e vuol dire niente. Considero un privilegio poterli ascoltare, e concepisco i miei spettacoli pensando a loro come possibili interlocutori. Spero che si esca da questa incapacità di progettare del nostro Paese, ovviamente molto più pesante per i giovani

Il modello femminile del futuro sarà Minetti o Virginia Raffaele che ne fa una riuscitissima parodia?

È uno di quei casi in cui la copia è molto meglio dell’originale. Ci si marcia troppo dicendo che questi sono i modelli della gioventù. Frequento abbastanza i giovani da sapere che i ragazzi che si formano su questa gente non sono la maggioranza. Dunque vincerà il modello Raffaele perché è un prodotto del lavoro e del sacrificio. Minetti è solo un prodotto di laboratorio.

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