Lettera ad un comunista sardo

1 Luglio 2016
cristiano-sabino
Cristiano Sabino

Caro compagno… posso chiamarti ancora così o provi imbarazzo dopo tutto ciò che è accaduto al nostro movimento internazionale? A me piace ancora questo detto, “stesso pane”: esprime ciò che volevamo essere e la radice della società nuova che volevamo costruire.
Te la ricordi, dico, la società per cui ci battevamo? Libertà, democrazia, giustizia sociale, uguaglianza, autodeterminazione e indipendenza dei popoli e pace.
Mi ricordo quando, con la tua bella bandiera rossa, ti imbarcavi ad Olbia per andare a manifestare a Roma. Cantavi risonanti canzoni partigiane ed eri un fremito perché scendevi in piazza contro il tiranno di Arcore pieno di tutte quelle buone ragioni che leggevi sul Manifesto o su Liberazione.
Spesso ci siamo incrociati nelle strade e nelle assemblee. Mi sentivo così vicino ai tuoi ideali e ai colori che indossavi, ma appena iniziavamo a discutere mi accorgevo che una voragine impronunciabile ci separava. Usavamo le stesse parole ma il senso era profondamente diverso.
Sembrava che nei tuoi racconti la Sardegna scomparisse o esistesse soltanto in funzione dell’Italia, come una sua “regione”. Tutto ciò che di importante animava le tue narrazioni avveniva a Roma, Milano o qualche altra città continentale e tu stesso ti collocavi alla periferia di ciò che avveniva di bello, importante e mobilitante. Che tu fossi di Rifondazione, antagonista, disobbediente o chissà che altro, la Sardegna e le sue lacerazioni secolari scomparivano nelle tue belle e combattive parole.
Quando il discorso si spostava sulle lotte dei popoli oppressi l’incomprensione aumentava. La Palestina, il Kurdistan, persino il Paese Basco e la Corsica erano lotte degne di nota mentre la Sardegna era e restava una regione periferica nei tuoi pensieri. Andavi ai corsi di catalano organizzati dall’Università e quando ti davo un volantino scritto in sardo protestavi chiedendone uno in italiano. Mi parlavi della morte dell’identità e dell’internazionalismo proletario senza più frontiere, prendendomi in giro per il mio passatismo indipendentista; poi ti mettevi la maglia azzurro-savoia e andavi a festeggiare quando vinceva quella che tu continuavi a chiamare “nazionale” italiana. Dicevi di essere cittadino del mondo e in effetti lo eri, cittadino di un mondo diviso in stati che tu chiamavi nazioni, dove ai popoli veniva progressivamente proibito tutto per dominarli meglio: lingua, abitudini, cultura ed esercizio della memoria storica.
No, il rosso della mia bandiera non era lo stesso rosso di cui tu coloravi la tua.
Mi dicevi che il partito comunista deve essere grande e che “non possiamo fare da soli” e io non riuscivo a capire questo ragionamento, perché il partito comunista è nato come una organizzazione internazionale per fare la rivoluzione e rovesciare lo stato di cose presente, e non per fare il pilastro patriotticico ad uno stato inventato dalla borghesia e dalle classi possidenti sue alleate.
Mi dicevi che bisognava salvare il “nostro paese” dalle grinfie di Berlusconi e quindi bisognava fare fronte comune e io faticavo il doppio a capirti. Da una parte non riuscivo a sentire mio quello stato nato con una “rivoluzione passiva” a rimorchio di equilibri internazionali reazionari – Gramsci lo leggevo anche io, anche se mi davi del nazionalista – e poi non capivo come facessi a confidare in quella massa di funzionari e burocrati che avevano distrutto il movimento comunista sciogliendolo in una “cosa” che odorava di ultraliberismo guerrafondaio a chilometri di distanza.
Abbiamo preso strade diverse io e te. Io ricostruivo con pazienza la storia di quello che era stato il tentativo del Partito Comunista Sardo, tu intanto ti spostavi sempre più a destra ingoiando rospi su rospi pur di “battere le destre”. Oggi ci incrociamo per strada e quasi manco ci salutiamo con un cenno.
Le nostre diversità sono venute fuori come ferite a cielo aperto. Tu non usi più la bandiera rossa. Nel frattempo hai fatto carriera, oppure sei passato al qualunquismo organizzato o ti sei dato all’associazionismo per non sentire il peso della tua coscienza in fiamme. A volte ci ritenti come quando hai aderito da poco all’ennesima rifondazione dell’ennesimo partito comunista in cui la Sardegna, i sardi e la lotta alla colonizzazione non hanno alcuno spazio e nessuna importanza, anzi semplicemente spariscono sotto al tricolore bello in vista che continua a campeggiare nel simbolo.
Io sono orfano del tentativo di costruire un partito comunista sardo o per lo meno un partito dei lavoratori sardi, come spesso usavamo chiamarlo all’orientale.
È vero, neanche il mio indipendentismo sta tanto bene. Da movimento di critica al sistema e alla radice stessa dello sciovinismo italiano è diventato altro. Paradossalmente ha preso le stesse brutte malattie della sinistra italiana: opportunismo, clientelismo, trasformismo, leaderismo condizionati dai salotti televisivi e dalle colonne dei giornali di proprietà dei possidenti.
Ma no, non ho cambiato bandiera. Liberazione nazionale e liberazione sociale sono sempre la mia bandiera, la mia unica bandiera, visto che si tratta di due facce della stessa medaglia. La pace, la giustizia, la libertà e l’eguaglianza rimarranno miraggi se non partiremo da qui, se non metteremo in cima ai nostri pensieri la Sardegna e i sardi, riconoscendone l’oppressione secolare e la necessità di fare pulizia in questa terra di tutto ciò che la ammorba e la opprime a partire dal clientelismo e dalla corruzione che rende irrespirabile l’aria. Ma senza il rosso vivo della nostra bandiera le cose prenderanno una brutta piega, il trasformismo sarà eretto a sistema e i sardi si lasceranno andare al razzismo più bieco, convinti che i loro nemici e la causa dei loro problemi sono i quattro disperati che arrivano in cerca di lavoro e di speranza, anziché le multinazionali senza scrupoli che hanno occupato e sfruttato fino al midollo la nostra terra, usandoci come bracciantato a poco prezzo finchè ne avevano bisogno e come discarica a cielo aperto una volta terminato il ciclo produttivo.
No, non ti sto proponendo di entrare in nessun partito, non c’è un partito comunista e indipendentista sardo. In realtà non ti sto proponendo nulla, perché non credo di avere nulla da proporre a nessuno. Sto solo ragionando a voce alta, perché nel farlo continuo a vedere quella società di libertà, democrazia, giustizia sociale, uguaglianza, autodeterminazione, indipendenza e pace che prima o poi – ne sono certo – tante braccia e tante teste costruiranno in questa terra, liberandola da seicento anni di schiavitù e dimenticanza.

9 Commenti a “Lettera ad un comunista sardo”

  1. cabula salvatore scrive:

    “Le nostre diversità sono venute fuori come ferite a cielo aperto. Tu non usi più la bandiera rossa. Nel frattempo hai fatto carriera, oppure sei passato al qualunquismo organizzato o ti sei dato all’associazionismo per non sentire il peso della tua coscienza in fiamme”. Sono uno di quelli che con la bandiera ROSSA del PARTITO COMUNISTA ITALIANO ho partecipato a centinaia di manifestazioni dagli anni 70 ( a Brescia, Bologna, Milano, ecc ecc) ancora prima che Berlusconi nascesse politicamente,. Ho continuato a usare la bandiera ROSSA con Rifondazione Comunista . Ora non non c’è più niente purtroppo di rosso da sventolare , il ROSSO è rimasto comunque nella mia testa e nel mio cuore . Nel frattempo a differenza di quanto pensi . non ho fatto carriera, non sono passato al qualunquismo organizzato ecc ecc e men che meno ho la coscienza in fiamme . Dovreste guardare invece dentro i meandri variegati del vostro indipendentismo il quale dalla nascita del PSd’aZ ne ha fatto di Strada, Quante sigle esisto ormai ognuna integrata dentro le varie coalizioni per avere la poltroncina. Sono sardo ho vissuto 40 in padania , ho difeso la mia bandiera, orgoglioso della mia appartenenza , e non mi sento ne inferiore ne traditore. Mi sento Sardo, Italiano, Europeo, cittadino del mondo.

  2. Pierluigi P scrive:

    si, certo, lei non ha fatto carriera, non ha tradito, non è passato al qualunquismo etc etc signor Cabula.
    per anni tutti quelli delle formazioni comuniste avanti a difendere l’indifendibile pur di avere un assessorato o un posto nelle giunte pd. Però siete tutti puliti.
    il problema vostro è che continuate a non vedere, a voler negare la contraddizione coloniale che fa soffrire la nostra terra. E quando ve la fanno notare, come sempre dite che la situazione in cui viviamo è figlia di altro, e non del colonialismo italiano, oppure pronti a dire (ma siamo alle elementari?) “eh però e voi del psdaz” (LOL). Ricordatevi che negare un fenomeno storico si chiama negazionismo. Che tristezza.
    Ma c’è una buona notizia: quelli come lei stanno sparendo dall’ambiente politico. E nuove generazioni nasceranno, mosse sempre da ideali di libertà ed eguaglianza, ma con una consapevolezza diversa. Senza il negazionismo storico della sinistra italiana. Sarà un peso in meno che muoverà la storia.

  3. cristiano sabino scrive:

    Caro Salvatore, non ho scritto questa lettera per difendere l’indipendentismo che d’altronde non difendo ma attacco frontalmente (anche se tu confondi il sardismo con l’indipendentismo, ma questo è un altro discorso). Non condanno neppure chi è andato o va tutt’oggi con la bandiera rossa in continente, io stesso ci sono andato, per esempio a Genova nel 2001 a contestare il G8 e a Roma qualche anno fa contro l’abolizione dell’articolo 18 che voleva Berlusconi, cosa che poi ha fatto il PD senza trovare opposizione.
    quello che volevo dirti è che i comunisti in Sardegna non hanno fatto i comunisti ma i supporter di una logica coloniale che non fa onore né all’analisi né alla prassi del pensiero comunista. E ciò a mio avviso è imputabile ad una lenta ma inesorabile metamorfosi del comunismo “italiano” stesso che da pensiero e prassi rivoluzionaria è diventato apologia dello statalismo, del centralismo e dello status quo. Questo volevo dirti. Mi spiace non esserci riuscito, ma non pretendo certo di esaurire la discussione con una lettera..

  4. andrea sotera scrive:

    E’ tutto vero cio’ che hai scritto, ma c’e’ ancora qualcuno che si vergogna della metamorfosi del suo partito, ma nessuno dico nessuno impedisce a nessuno di avere la bandiera rossa nella pelle.

  5. Nicola Culeddu scrive:

    Caro Cristiano,
    la tua “analisi” ha un vizio di forma, non comprende nessuna autocritica, le tue parole sono fondamentalmente una maniera di descrivere “il comunista che vorrei”. Attraverso le tue parole si evince una decisa posizione didattica: il comunista è come dici tu o non è un comunista.
    Secondo la mia, limitata, opinione quello che hai fatto tu è il tipico errore della Sinistra negli ultimi 20 anni, ci si è concentrati nella descrizione di un modello ideale di partito comunista, di militanti e dirigenti, che ha perso aderenza con la realtà dei fatti. Infatti mentre ci si scannava su chi era (o è) più comunista ,fuori il mondo cambiava e le classi di riferimento ci hanno mollato, riducendo la parola comunista ad una etichetta, talvolta con accenni negativi (Stalint, PolPot etc etc). Bisogna ripensare al ruolo dei comunisti nella storia attuale senza continuare a guardarci all’indietro o peggio continuando ad idealizzare
    La posizione del “cerchiamo di cambiare da dentro” è stata applicata in innumerevoli occasioni, e se ha una sua ragione logica nelle piccole realtà, questa è stata subito chiaramente smentita nel caso elezioni in grandi centri e altri livelli istituzionali.
    Cosa fare? Secondo me bisogna ragionare di come togliere queste patine velenose di superiorità che permeano il movimento comunisa in Sardegna ed in Europa, ragionando seriamente su come rilanciare, se esiste, un modello comune di alternativa al liberismo e ai governi delle Banche e delle lobby.

  6. Nicola Culeddu scrive:

    Parte II
    la questione Sardegna è talmente complessa che non basterebbero ore per descriverla, provo a dare un contributo.
    Parlare di ascari, servi e pecore non serve, questa è una semplificazione dannosa al dialogo e alla costruzione di un percorso di reale indipendenza. Di nuovo, ed è atteggiamento diffuso, si danno patenti e definizioni su tutti quelli che non aderiscono al “proprio modello interiore di indipendentista”.
    Sono consapevole dei danni fatti dalle politiche romane (avallate da una grossa fetta di classe dirigente sarda) alla nostra isola, ma sono altrettanto consapevole che molti dei danni non si possono addurre all’ignoranza e/o al servilismo. Qui trovo un errore tipico: applicare la consapevolezza e le conoscenze attuali ad un evento successo 50/60 anni fa. Secondo me è scorretto. Le scelte che si sono fatte erano figlie di quei tempi, ed è nostro compito attuale non ripeterle e minimizzarne e cancellarne gli effetti adesso. Questo deve essere fatto con accortezza ed intelligenza, riuscendo a coniugare positivamente il conflitto lavoro/ambiente, riuscendo a proporre modelli di sviluppo concreti senza idealismi o ipotesi di Shangri-La agricoli ed industriali, comprendendo le analisi sul passato ma, s evitando catastrofismi e meccanismi di denuncia fine a se stessa (modello M5S). Lo so che questo implica uno sforzo intellettuale di revisione dei meccanismi mentali che mi/ci coinvolgono, ma è una strada percorribile, con fatica ma percorribile.
    con affetto NC

  7. cristiano sabino scrive:

    Grazie anche a te Nicola per aver risposto, proseguendo un discorso che noi abbiamo già aperto e non su internet ma di persona, nelle tante occasioni in cui ci siamo incontrati in piazza e nelle lotte.

    Passando al tuo argomento desumo che il problema stia nel mio idealismo, cioè nella non corrispondenza degli altri comunisti al modello comunista che ho in testa. può darsi, ma tutte le mie argomentazioni sono frutto di idealismo? se si quali? perché? sarebbe interessante aprire il dibattito su questioni oggettive e fattuali e non sulle propensioni soggettive che ognuno di noi ha. va bene, al netto del mio idealismo, la questione nazionale sarda esiste o no per i comunisti? viene affrontata o rimossa? se viene rimossa perché? se viene affrontata come e con quale strategia?
    No Nicola, non credo che queste siano questioni imputabili al mio idealismo.

    Sulle categorie di “ascaro” ecc… allora dovremmo correggere un pò di nostra storia, suggerire a Marx di non essere poi così duro con il programma di Gotha e di non cacciare via dall’Internazionale Bakunin e Mazzini che tutto sommato erano bravi uomini. e dovremmo anche suggerire al compagno Lenin di non usare l’aggettivo di “rinnegato” verso Kautski, perché dopo tutto si tratta sempre del padre della seconda internazionale e capo del partito operaio più forte del mondo!

  8. Nicola Culeddu scrive:

    Cristiano
    per me non ci sono “problemi” ma solo diverse opinioni, che arricchiscono il dibattito. Il tuo idealismo è solamente un modo di pensare diverso dal mio e per questo onorevole e meritorio di attenzione, almeno da parte mia.
    Non vedo nessuna necessità di appellare, o peggio cacciare, chi non la pensa come noi, gli esempi che tu hai proposto sono relatvi ad altri periodi storici e a lotte di potere condotte con metodi che spesso sono stati brutali.
    Torniamo al punto: la questione nazionale sarda. E’ evidente che prima di aprire il discorso bisogna trovare un punto di partenza comune, ed è questo che secondo me manca. Tra indipendentismo, sovranismo e tutti gli -ismi che vuoi mi sembra che sia in atto una corsa a delle coniugazioni personali della tragica situazione che attanaglia la Sardegna in questi anni. . Allo stesso tempo l’insufficenza della classe dirigente è palese, ma questa situazione proviene dalla personalizzazione della politica e dalla perdita di identità programmatica dei partiti a favore di una creazione di strutture personali e personalistiche. In definitiva, che io sappia la questione sarda viene marginalizzata dai comunisti in Sardegna, ritenuta a torto non impellente, perlopiù impegnati a cercare alchimie che ne garantiscano la sopravvivenza. Nel mio piccolo, come ti dissi, non sono certo di essere pronto a restringere la mia azione politica alla Sardegna, mi sento Europeo e, per formazione internazionalista. Ma avremo modo di approfondire.

  9. cristiano sabino scrive:

    Nicola non hai risposto alle mie domande, ma solo spostato il problema sui limiti e i difetti dell’indipendentismo e della personalizzazione della politica. critiche che condivide, ma come ho scritto sopra a Salvatore Cabula non ho steso la presente lettera per dialogare con gli indipendentisti, ma con i comunisti..

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