L’isola delle vacanze

16 Luglio 2020
[Antonio Muscas]

La Sardegna sembra un’isola spopolata, o meglio, un’isola in cui gli unici abitanti siano camerieri impazienti di accogliere a braccia aperte i turisti. Come poco tempo fa’ l’ha descritta un noto giornalista italiano, un’isola praticamente senza montagne, perciò fatta di sola spiaggia
Un’isola, o meglio, una grande spiaggia esotica la cui sola prerogativa sia ospitare hotel, resort e strutture di accoglienza di lusso in riva al mare, quando non addirittura anche dentro il mare.

A leggere la stampa sarda, l’isola rischia di affondare a causa dei flussi turistici ridotti e ogni qualvolta in un canale informativo italiano si parla di Sardegna è quasi solo esclusivamente per esternare preoccupazioni sull’eventualità che i turisti, a causa della pandemia, non possano giungervi per godere del suo caldo sole sdraiati a bordo di una favolosa piscina scavata tra le rocce granitiche in riva al mare.

L’unico turismo possibile sembra quello proveniente da oltremare. E come potrebbe essere diversamente se nell’immaginario generale nella nostra isola ci abitano solo camerieri? Persino noi sardi ci dimentichiamo di abitare in Sardegna ed è un fatto molto comune sentire sardi immedesimarsi più facilmente nei panni di un qualche turista straniero piuttosto che nei propri. Per questa ragione la Giunta Solinas deve aver pensato bene di “interpretare autenticamente” il piano paesaggistico regionale così da rimuovere ogni fastidioso vincolo e favorire nuova cementificazione delle coste.

In Sardegna dopo la quarantena non esiste più un problema sicurezza, esiste solo un problema di accesso all’isola
E ogni vincolo deve essere rimosso per riaprire i flussi turistici. Intanto nelle Baleari, con la riapertura al turismo internazionale, sono scoppiati nuovi focolai ed è stato disposto l’uso della mascherina ovunque, anche quando vi sia la distanza di sicurezza (escluso, ovviamente, in spiaggia).

Viviamo nel paradosso di volere, da una parte, favorire il flusso incontrollato di turisti e, dall’altra, adottare restrizioni generali severe e punitive per contenere la diffusione del virus. Il rischio per noi sarà perciò di ritrovarci a ferragosto con l’obbligo di indossare la mascherina ovunque, nel caso più grave di essere costretti nuovamente a casa, mentre treni e aerei vomitano visitatori entusiasti a cui comunque sentiremo di essere grati per aiutare la nostra economia. Ma, come si dice, la sicurezza prima di tutto! Soprattutto la sicurezza economica di certuni.

E intanto le attività produttive in Sardegna sono in ginocchio, non riusciamo a vendere neppure quel poco che continuiamo a produrre. Ma questo non pare essere un problema per nessuno, almeno non per i mezzi di informazione. Eppure basterebbe mettere assieme le cose per provare a costruire percorsi diversi. La pandemia ha ridotto i flussi di import-export dappertutto: quale miglior occasione per rilanciare le nostre attività, per promuoverne di nuove? La pandemia non ha cancellato con un colpo di spugna il fenomeno del riscaldamento globale, del depauperamento delle risorse e del consumo di suolo.

La lotta al riscaldamento globale si conduce riducendo le emissioni. La delocalizzazione delle attività produttive ha avuto come logica conseguenza la necessità di trasportare le merci per lunghe distanze, dopo averle adeguatamente trattate e mantenendole nelle corrette condizioni di conservazione se si tratta di merce degradabile. Il sistema dei trasporti necessita di infrastrutture che implicano consumo di suolo, risorse e energia. Il sistema dei trasporti internazionali rappresenta oggi una delle voci di emissione maggiori a livello globale ed è un settore in continua espansione.

Una risposta concreta di contrasto alle emissioni, al consumo di risorse e di suolo insensato, è la filiera corta. La filiera corta è anche una riacquisizione di sovranità, permettendo di sottrarsi alle dipendenze esterne e ai ricatti energetici e commerciali. La filiera corta è possibilità di controllare e gestire meglio la qualità del prodotto garantendo un rapporto più stretto e di fiducia tra produttore e utente. La filiera corta significa più posti di lavoro, migliore possibilità di verificare le condizioni dei lavoratori, il rispetto dei loro diritti, significa più ricchezza locale, riappropriarsi della conoscenza e della tecnologia, muovere passi avanti nel processo di autodeterminazione per sottrarsi alle decisioni e imposizioni esterne.

Lavorare alla riattivazione della produzione locale significa poterla pianificare sulla base delle reali esigenze, calibrandola adeguatamente, significa poter mettere in piedi progetti reali di produzione sostenibile poiché è più facile controllarne il processo. E, più ricchezza che rimane in loco, ricchezza distribuita meglio, lavoratori che lavorano il giusto, significa anche, tra gli altri numerosi vantaggi, più persone che possono godersi un po’ di ferie, permettersi una gita e qualche giornata di svago, e magari ogni tanto, durante tutto l’anno e non solo d’estate, usufruire dei servizi di qualche struttura ricettiva, non esclusivamente marittima, i cui gestori sono invece costretti oggi ad aspettare l’arrivo di qualche limone già spremuto dalle compagnie di trasporto e dagli autonoleggi.

Filiera corta è una risposta contro lo spopolamento, contro l’abbandono delle zone interne, è riqualificazione del nostro territorio, contrasto all’assalto speculativo e alla distribuzione delle nostre risorse, è utile e doveroso contributo contro il cambiamento climatico.

Ecco, basterebbe che i nostri mezzi di comunicazione cambiassero un poco la narrazione per aprirci scenari totalmente diversi. Basterebbe che noi avessimo la capacità di volgere il nostro sguardo altrove, e anche le nostre aspettative migliorerebbero. Qualche timore indotto e insensato svanirebbe, e nel contempo nascerebbe l’esigenza di prestare attenzione a cose realmente più importanti di cui troppo facilmente ci dimentichiamo.

Illusioni? Può darsi. Ma visto che sono decenni che viviamo nelle illusioni di sogni propinati da altri e i cui risultati, o meglio, i clamorosi fallimenti, sono lì davanti ai nostri occhi, non sarebbe ora di prendere davvero in mano il nostro destino, seriamente e responsabilmente, e cominciare a costruirceli da soli i nostri sogni, incluso fare ogni tentativo per realizzarli?

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