Luigi Pintor, un comunista

16 Maggio 2013

Pintor

Luciana Castellina
Mi dispiace moltissimo non essere presente a questo ricordo di Luigi  sopratutto perchè si tiene a Cagliari, la città senza la quale, sebbene non vi abbia abitato a lungo, non saprei nemmeno pensarlo.Lo so da sempre quanto Cagliari sia stata importante, ma da quando ho potuto leggere le lettere della sua mamma, che avevo conosciuto negli anni ’50 e ’60, già assai anziana – Dede Dore Pintor – recentemente raccolte in un bellissimo volume, ho potuto capirlo anche di più. Perchè queste lettere ci fanno penetrare nell’intimità della sua vita, ci restituiscono per intero la figura dei suoi familiari, dei suoi famosi e amati zii, che da sempre, pur senza averli conosciuti, da Luigi abbiamo sentito citare.
Parlo di questo libro  – “Da casa Pntor. Un’eccezionale normalita’ borghese” – perchè non si tratta solo di un ricordo personale, ma della testimonianza di un tempo e di una vicenda senza capire la quale resta difficile comprendere un tratto assai speciale della storia d’Italia, di cui Luigi, così come suo fratello Giaime ma anche una parte non irrilevante della sua generazione nata in un ambiente simile, è stata protagonista: come pote’ accadere che nel buio della società fascista degli anni ’30 emergessero consapevolezza e il senso del dovere civile, dell’impegno, sottraendo una leva di giovani destinata alle passioni letterarie (o musicali, per Luigi) perchè acciuffata dalla storia e scaraventata, prima nella Resistenza, poi nella milizia politica. E – va aggiunto – come fu che, per via del coraggio di Togliatti, essa fu catapultata nei più importanti incarichi del Pci, prendendo il posto di vecchi ed eroici compagni che per via della prolungata assenza dal paese che era stata loro imposta difficilmente avrebbero potuti interpretare gli umori della nuova Italia che si andava costruendo dopo il 1945.
Luigi Pntor e’ stato , al massimo livllo, uno di questi giovani. Per ragioni di eta’ io sono ormai una delle poche che posso ricordare quel tempo remoto e le vicende  travagliate che l’hanno percorso. Perchè già ben prima che il Manifesto nascesse,  si era avviato un modo nuovo di intendere il comunismo, un tentativo che abbiamo sentito possibile  gia’ nel grande corpo appesantito ma ricco del vecchio Pci, che poi, nel ’68, abbiamo sperato potesse reinverarsi nel rapporto con nuovi movimenti portatori di una rinnovata e più, aggiornata critica anticapitalista.
Ricordo questa nostra ambizione perchè non voglio che nel commemorare Luigi passasse l’idea, presente in molte pur rispettose e anche affettuose commemorazioni, di un grande giornalista, di un raffinato intellettuale, di un prodigioso polemista e anche  testimonianza di un grande impegno politico-morale, e però un irrealistico e sconfitto   profeta.  Nella storia de Il Manifesto – e del Pdup che nella fase iniziale abbiamo assieme costruito e cui Luigi ha dato il contributo che le sue straordinarie qualità gli consentivano – ci sono stati certo errori e sopratutto impazienze. Nonostante tutto quanto è avvenuto in questi ultimi decenni l’ipotesi cui Luigi ha fornito il suo impegno quotidiano risulta ancora fondata. Vorrei tornare a citare l’editoriale che Luigi scrisse il 28 aprile 1971 sul primo numero del giornale. ”La situazione – scriveva Luigi – esige molto di più di un rifiuto. Siamo convinti che c’è bisogno ed urgenza di una forza rivoluzionaria rinnovata, di un nuovo schieramento, di una nuova unità della sinistra, di un nuovo orientamento strategico complessivo. Pensiamo che solo per questa via sarà possible mettere a frutto il patrimonio che le esperienze del passato e del presente hanno accumulato”.
Questo suo editoriale potremmo ripubblicarlo oggi tale e quale ( se si eccettua qualche espressione datata). Non solo perchè in una situazione così gravemente deteriorata come la nostra restano ancora aperti gli stessi problemi, di come interpretare gli umori smarriti dei nuovi soggetti e come coniugarli con  quanto di meglio l’esperienza ha accumulato, ma perchè vi traspare una qualità che oggi sembra diventata rara e che nel pur tanto scettico e autoironico Luigi Pintor  era fortissima: l’ostinazione nell’impegno a tener aperta la strada per arrivare a una società che somigliasse a quello che noi intendiamo per comunismo. Un comunismo, Luigi non ha cessato di ammonirci, fatto anche di musica e di poesia. Perchè mai, del resto, avrebbe continuato ad andare per 33 anni a via tomacelli 146, proprio lui cui piaceva così tanto suonare il piano, andare al cinema, leggere romanzi, passeggiare con Isabella e scrivere ma non sempre e necessariamente di Berlusconi? Non lo avrebbe fatto se non ci fosse stata questa ostinazione. I comunisti sono anche questo: ostinati. Il che non vuol dire non essere attraversati dai dubbi necessari e dalla difficoltà di vivere, più grave che per altri, non solo perchè la vita gli aveva imposto dolori eccezionali, ma per via della sua estrema ipersensibilità, della sua speciale ironia che spesso si rovesciava in auto e altrui distruzione. Di tutto questo, del resto, del come ha patito le  contraddizioni che in lui stesso faceva nascere l’impegno, ha scritto lui stesso, mirabilmente, in Servabo.
Dieci anni fa, ricordo, poco dopo la morte di Luigi, venni a Cagliari per il primo ricordo in questa città. E mi rammento che invitai I compagni a raccogliere la memoria di quel passaggio politico che proprio qui è stato così significativo e corale: dalla sezione Lenin allora guidata da un compagno che abbiamo perso presto, Salvatore Chessa, fino al Manifesto. E’ la storia che vede Luigi protagonista ma che è anche storia collettiva, vostra e poi anche nostra di noi che vivevamo altrove. Per ormai molti decenni, nel bene e nel male, nonostante rotture e reciproci dissensi, le vite di chi ha percorso questo itinerario si sono intrecciate. Siamo tutt’ora, lo registro  nel mio tanto girare per l’Italia, un collettivo di cui Luigi finchè ha vissuto è stato protagonista. Nonostante fosse schivo e solitario Luigi non era un individualista. I suoi sacrosanti e permanenti dubbi, il suo legittimo scetticismo non l’hanno mai fatto sentire lontano, non  hanno mai dato luogo ad abbandoni. Perchè, lo ripeto, Luigi era comunista. La parola sembra oggi impronunciabile, ma la scrivo, anche perchè Luigi a questa definizione ci teneva.

2 Commenti a “Luigi Pintor, un comunista”

  1. fulvio de lucis scrive:

    Ho un ricordo ancora nitido di Pintor che conobbi durante l’avventura del gruppo del Manifesto di cui facevo parte a Savona.Un orgoglio individuale incancellabile. Pintor fu un personaggio eccezionale anche nei suoi errori. Un intellettuale fine e arguto che ha insegnato e trasmesso materiali preziosi ancora da elaborare e realizzare. Non sono mai stato a Cagliari è ho intenzione di venirci ovviamente come turista ma cercherò di venirvi a trovare e salutarvi anche in memoria di Luigi.

  2. diego valeri scrive:

    Ho iniziato a leggere Pintor molto giovane, è stato un maestro, con lui,Rossanda e molti altri del manifesto ho potuto tenere unite passioni e ragioni della sinistra senza perdermi in “fondo a destra”.

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