Migranti e Sacro Romano Impero 

1 Aprile 2015
Bangladeshi-migrant-worke-
Giuliana Mura

Nella nostra normativa il migrante  è  variamente chiamato  extra comunitario e clandestino.  Eppure il  diritto nella funzione stabilizzatrice nella  variabilità  delle azioni umane  gli  riconosce “l’accesso”, ossia  l’ingresso nel territorio  e “l’asilo” cioè l’accoglienza”.

Nel nostro Paese la legislazione sull’immigrazione e condizione giuridica dello “straniero” rivela  viceversa una  permanente instabilità: se mi è permesso un anacronismo  il processo si è invertito proprio  nel  luogo che fu origine universale dello “Ius “ nelle Province del Sacro Romano Impero  dove la “Lex” Romana si adattava alle consuetudini  dei popoli conquistati ed anche un “servus” come Caius poteva emanciparsi al civis  Gaio  tramandando  ai  posteri le “Institutiones”  ed il  prototipo dei moderni contratti . A partire dall’approvazione del Testo unico del 1998 con un susseguirsi di discipline  di” ingressi “ restrittivi corrispondenti a  forme di “espulsioni” sempre più  ampi l’unica ratio   rimane la  stabilizzazione del concetto di “irregolarità” . Da qui “Centri di accoglienza –identificazione –espulsione “ Il migrante non è  persona:  è una questione  di ordine pubblico e sanitario. Sia che giunga vivo denutrito malato che morto con addosso stracci maleodoranti portatore di epidemie. Se poi permane nel territorio da irregolare  diventerà  illegale e servirà  al P.I.L. come ignoto soldato dell’ esercito senza armi se non  le proprie braccia e  vittima ad ogni età di lavoro in nero. Sfruttato in italiano corrente o per dirla alla  Cicerone  schiavo  cui non è riconosciuto neanche il figlio che nasce secondo lo “ius soli”.  A parte  le analogie giuris – imprudenti non significa che la Repubblica Italiana deve accogliere indistintamente  ma viceversa che è necessario porre termini chiari nei flussi migratori secondo scelte politiche interne e Comunitarie Europee. Per citare  la dottrina di Niccolai e  Ciervo  “Il corpus normativo italiano è caratterizzato da un  doppio binario:  da un lato il T.U.  insieme  ad una  frammentata normativa  secondaria regola i flussi migratori all’interno  del nostro Paese, le cui cause  son da identificare nelle motivazioni economiche  dei singoli stranieri presenti nel territorio; dall’altro  invece la normativa  in materia  di diritto d’asilo (di derivazione comunitaria) stabilisce le modalità di ottenimento dello staus di protezione internazionale ed  una serie di tutele minime in materia di accoglienza in attesa  dell’esaurimento della procedura di riconoscimento del suddetto status”  Da ciò deriva la diversa denominazione data al l’emigrante.  Da una parte la UE stabilisce modalità  di ottenimento dello status minimo di protezione  internazionale al richiedente asilo secondo quanto previsto dalle Costituzioni  e Trattati internazionali sui diritti dell’Uomo, dall’altro le motivazioni economiche e di mercato costringono a prassi amministrative discriminatorie. Non si sottovaluti la  gerarchia delle fonti  vincolante in  materia di  riserva legislativa. Al  ragionamento   giurisprudenziale o dottrinale  è necessario anteporre una premessa di carattere costituzionale interno e sovra nazionale: il trattenimento come previsto è riduttivo della dignità,  libertà personale e fisica di spostamento secondo quanto previsto  per esempio dagli artt.2, 3 e 13 della Costituzione e la legittimità  costituzionale dei centri di identificazione ed espulsione rimane dubbia. Inoltre il “ costo “del trattenimento permane  eccessivo sia come diritto della persona che per le risorse necessarie di manutenzione dei centri.  Nell’Occidente  la carenza di controlli sui soggetti incaricati del servizio pubblico,  le condizioni di trattenimento  disumane nonostante  gli sforzi portano alla necessità di una radicale  rivisitazione degli istituti. Il rispetto dei vincoli di riserva legislativa derivanti dall’ordinamento comunitario  ed obblighi internazionali secondo  l’art. 117  ed il  diritto d’asilo dello straniero impedito nel proprio paese  nell’esercizio delle libertà democratiche pongono come improrogabile la definizione comune  oltre che di standards  normativi minimi  di cosa si intende per Libertà e Democrazie. In luoghi dove la movimentazione delle merci per profitto  ha marchi d’hoc e garanzie maggiori rispetto alle altre. In primis occorre una applicazione  autentica dell’art.11 Cost. Nel 1919 appena conclusa la Grande Guerra Antonio Gramsci scrisse in “Ordine Nuovo” “Noi socialisti non ci vergogniamo d’andar d’accordo col concetto popolare che fa del guadagnarsi il pane  il problema principale…. Ma la lotta  per liberare i popoli affamati  non è la guerra di questa specie d’ interventisti dell’ultim’ora. La loro guerra ha lasciato tali e quali i fossili politici , la mancanza di senso storico. Sostituiamo  alla loro commedia il nostro dramma, serio e degno di essere vissuto da una generazione di uomini. Liberi” ll ripudio della guerra come strumento di offesa alle libertà dei popoli e mezzo di risoluzione di controversie. L’ostacolo alla realizzazione  sono le industrie di morte  che consentono gli arricchimenti strumentalizzando  di volta in volta e secondo, per l’appunto, il “casus belli” , religione, razza, colore politico, sesso, opinione. Per costoro è mero  Capitale ed Imperialismo vario come i fini giustificano i mezzi.  Ha  poco da intervenire il guidice ad quo  invocando la Corte Costituzionale o  la  Corte Europea dei Diritti dell’uomo di Strasburgo . Se non si cambia considerando  le persone come centrali “Sei ancora  tu uomo del mio tempo. Sei ancora quello della pietra  e della fionda” . Cito  Rumi ricordando quando i  sardi ed  italiani lasciavano  la natia patria  perché perseguitati o senza lavoro “ Gli addii sono solo per coloro che amano con i loro occhi. Poiché  per coloro che amano con anima e cuore non vi è una cosa simile come la separazione “.

*Fonte immagine: Bangladeshi migrant workers wait at the Ras Jdir crossing on the Libya

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