No barrique no party

1 Dicembre 2011

Piero Careddu

Ricordare Bartolo Mascarello a sei anni dal suo commiato dalla terra è per me ancora motivo di commozione e tenerezza. Pur non avendo mai avuto la fortuna di conoscerlo dal vivo ho fatto con lui numerose chiacchierate al telefono quando, primo e forse unico ristoratore sardo, gli ordinavo qualche cassa dei suoi fantastici Barolo, Dolcetto e Freisa per la mia cantina. La biografia di Bartolo è un romanzo d’avventura e relegarlo sul trono del più grande barolista di ogni tempo sarebbe paradossalmente riduttivo viste le gesta spesso eclatanti che ne hanno caratterizzato il percorso esistenziale.  L’uomo ha passato la vita, forse inconsapevolmente, a dimostrare che si può essere trasgressivi e rivoluzionari conservando e difendendo una tradizione dai modernismi che distruggono le identità e le memorie.
L’ultimo dei mohicani era un soprannome affibbiatogli da un suo illustre  collega dalle visioni enologiche completamente diverse; Bartolo utilizzò questo scherno trasformandolo in una delle sue performances che fecero storia: durante un convegno sulle nuove frontiere del Barolo, alla presenza dei grandi nomi dell’enologia internazionale, si presentò con altri tre o quattro vignaioli ortodossi mascherati da pellerosse con veri copricapi da indiano d’america. Il messaggio era fin troppo chiaro: i mohicani sono gli ultimi ma ci sono e sono in salute! In che cosa consisteva il tradizionalismo resistente di Mascarello?
Per chi non è addentro alla materia è, prima di ogni altra cosa, importante sapere che più o meno fino alla fine degli anni 70 il Barolo classico si era fatto conoscere nel mondo come un vino prodotto dal melange di uve nebbiolo provenienti da vigneti vicini ma diversi come posizione, microclima e a volte natura del suolo. In pratica il barolista della tradizione, oltre ad essere un grande viticultore, ha un’enorme capacità di sfruttare le differenti caratteristiche dei vari cru assemblandole alla perfezione per ottenere un Barolo di personalità. La nouvelle vague che emerse negli anni ’80 affermava il concetto contrario del produrre vini da uve provenienti da un solo cru e per giunta fatte maturare in quegli strumenti che per Bartolo rappresentavano la morte del vino: le odiate barriques, botticelle di rovere nuovo da 225 litri che avrebbero la funzione di arrotondare il vino, conferendo profumi eleganti di vaniglia e maggiore conservabilità. Il nostro eroe aveva combattuto nelle montagne langarole tra le fila della resistenza antifascista e per lui battersi a viso aperto per le proprie convinzioni era una ragione di vita. Qualcosa che poteva aiutare a meglio cogliere la personalità di questo vignaiolo era la libreria del salone di casa dove ti riceveva per una chiacchierata e per un’eventuale acquisto delle sue bottiglie: allineate in perfetto ordine tutte le raccolte dei Quaderni Piacentini, Marx, Togliatti, Marcuse .  Anche negli ultimi anni, costretto da una malattia bastarda a stare in sedia a rotelle, non rinunciò a qualcuna delle sue monellerie e fece parlare di se in tutto il mondo per una denuncia per turbativa di campagna elettorale. Correva l’anno 2001 e Berlusconi e Rutelli correvano con i loro schieramenti alla carica di premier. Due solerti militanti di Forza Italia, durante una passeggiata nella via principale di Alba, vengono colpiti da una bottiglia del famoso Barolo Mascarello del 95 esposta nella vetrina di una gioielleria.
Apriti cielo: l’etichetta, oltre ai canonici riferimenti di legge, porta disegnato un muro di mattoni arancioni con la scritta NO BARRIQUE NO BERLUSCONI! I due non hanno niente di meglio da fare che chiamare i carabinieri i quali, non avendo a loro volta niente di meglio da fare, “arrestano” la bottiglia e denunciano Bartolo il quale, afflitto da ben altri problemi legati alla salute, se la ride della nuova birichinata che finisce in poche ore su tutti i quotidiani. Importante sottolineare che Mascarello vendeva tutta la produzione prima ancora di imbottigliare e per questo non aveva affatto bisogno di trovate pubblicitarie gratuite. Le alzate di testa di questo vecchio contadino, fiero rappresentante di una cultura piemontese intrisa di valori in semiestinzione, hanno spesso rischiato di mettere in secondo piano la incommensurabile grandezza dei suoi vini. Baroli legati alla terra e al sudore. Vini da sognare e per sognare, dall’impianto gotico e fiabesco. Aiutati nel racconto dalla tenerezza delle etichette dipinte a mano da Bartolo.
Tutto si può racchiudere in una citazione del suo amico Giorgio Bocca: “Cos’ hanno di speciale i vini di Bartolo Mascarello? Niente. Sono solo perfetti”.

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