Nuoro nel cuore del tempo fermo

16 Novembre 2011

Natalino Piras

Da oltre trent’anni faccio il cronista anomalo della città dove vivo: Nuoro. Ne sono cittadino alla stregua di altri quarantamila circa (36.647 secondo gli ultimi aggiornamenti) ma resto paesano. Come tanti che Nuoro abitano ma che non sentono come luogo di appartenenza. È una città difficile, centro di molte delle contraddizioni di un territorio sino a non molto tempo fa definito “società del malessere”. C’entravano banditismo e miseria, arretratezza nei costumi e nei codici relazionali, analfabetismo (ma non veniva presa in considerazione la scuola impropria e la sua tradizione) e costrizione all’emigranza. Sintomatico che Nuoro sia un luogo da cui ancora oggi è giusto scappare: non c’è prospettiva. Né di lavoro per i giovani né di recupero per quanti, in questo tempo di berlusconismo liberista anche senza Berlusconi, ne restano tagliati fuori. Non c‘è industria pure se Prato Sardo è zona industriale con le sue officine e fabbrichette, depositi e un centro commerciale munito di multisale cinematografiche.
Ma non c’è lavoro. Nuoro è una città dove si consumano molto libri ( diverse case editrici ma una libreria storica ha chiuso), giornali (ci sono due redazioni dei due più importanti quotidiani dell’Isola più un diffuso settimanale diocesano), riviste ( se ne fanno). La biblioteca pubblica è centro di un funzionante sistema di pubblica lettura. Il capoluogo della Barbagia è sede dell’Istituto Regionale Etnografico, del Man che fa opera di musealità e diffusione artistica. Nuoro è un luogo di scritture, di autrici e autori di fama nazionale e internazionale. Ci sono licei, scuole primarie e secondarie. Come in diversi altri punti periferici qui i tagli gelminiani si sono fatti più sentire che altrove. Precarietà e disoccupazione intellettuale si sono aggiunti al “travallu non bi n ’at, non c’è lavoro” del settore edilizio.
Mastros artigiani se ne trovano. Ma sono a sé stanti in un mercato oscillante tra l’elitario e lo stato di necessità. Sempre a prezzo forte ché in tutte le cose Nuoro è una delle città più care d’Italia: una forbice tra reali esigenze e consumo, tra reali possibilità di acquisto e disponibilità a pagare, in contanti e a rate. Funzionano mense di caritas cristiane e pure elemosine sotterranee. La crisi fa venire meno pure queste. Funzionano diverse apparenze. A parte gli stereotipi dell’interezza e della durezza del nuorese “tradizionale” emerge, a volte giusto, a volte apparenza e maschera, il fatto che Nuoro sia stata l’Atene sarda. Ma qui stenta a farsi strada l’università: per mancanza di autonomia monetaria e decisionale. Resistono circoli e associazioni, ma pochi sono di lunga data. Nuoro è una città senza tessuto culturale perché coltiva, come male endemico, la non-memoria. Consuma occasioni, manifestazioni e presentazioni a frequenza e velocità di internet. Ma non fa altro che ripetere un tempo fermo.
Non c’è né dibattito né dialogo tra le parti e ciascuno guarda all’altro affinché non ne venga superato e sopraffatto. Tutto questo produce una omologazione a quanto è prodotto ed elaborato, come messaggio e come sistema dominante, da fuori. Nuoro è stato un borgo di pastori e il “noi pastori” ne ha segnato economia e cultura. Ma né la fine del pastoralismo come marchio antropologico né il sogno industriale con i suoi fallimenti hanno prodotto vere mutazioni nel modo di pensare e di porsi. I traumi, seppur dolorosi, si è sempre cercati di sopirli dentro. Si sono create, dentro il quotidiano di una città che non è città e di un paese che del paese ha perso le coesioni e le vicinanze, una serie di stratificazioni, un linguaggio di gerarchia e subalternità invece che una rete di comunicazione orizzontale. Nessuno scambio solidale ma l’omologazione, ancora una volta, dei sinnos della civiltà pastorale, e ce ne sono di molti validi, a un codice improprio che non è né lingua né dialetto. Se era importante e giusto dire e sentire prima “io mi sono imparato”, come codice della non scrittura che entra e devasta per ricomporre tante lingua ufficiali e burocratiche, oggi stride alle orecchie sentire la ripetizione e le trasformazioni di frasi tipo “io mi sono scravato”. C’è molta violenza irrazionale nelle parole, specie dei giovani. Le parole riflettono una mancanza di ordine nel colloquiare comune che non è comunicare. Ci sono responsabilità famigliari, scolastiche, politiche: nelle famiglie frantumate, nelle scelte amministrative, nel lungo dominio di una classe politica, molto centrosinistra purtroppo. A Nuoro le periferie sono periferie, senza servizi e infrastrutture.
Non ci sono più vicinati e la case hanno perso da tempo la loro funzione di “cosa” etica ed estetica. Un romanzaccio irrisolto i piani urbanistici e regolatori con tanti luminari, sempre da fuori, che mai hanno saputo trovare rimedio all’irrisolto e alla bruttezza architettonica. Le strade sono sconnesse. Il traffico è caotico. Qualche anno fa c’è stato pure un continuo scoprire strafalcioni grammaticali, geografici e storici nella toponomastica. Per non parlare, nell’intestazione di piazze, vie e slarghi di un uso imitativo del sardo, con effetti ridicoli.
Nuoro è una città dove non si fa ricerca pur essendo per natura storico-geografica-antropologica-archeologica una immensa miniera. Pur essendo una città che storicamente ha prodotto e produce geni in campo artistico e di varie professioni. Solo che qui non attecchiscono. Tutto questo agitano i fantasmi della divisione. Ma nonostante tutto questo, Nuoro è una città di gente in gamba, quando ci si mette. Bisogna però che questo “essere in gamba” trovi referenti: famigliari, scolastici, amministrativi. Una politica dei partiti che ancor più che altrove superi i fantasmi della divisione. Perché noi rispetto ad altri centri e altri nord siamo ancor più a rischio povertà.
E se perdiamo progressivamente la capacità di confrontare per risolvere, non per affossare, diventeremo sempre più poveri.

1 Commento a “Nuoro nel cuore del tempo fermo”

  1. Renate Pillau scrive:

    “Nùoro è assediata da squallidi quartieri di case moderne senz’anima, mentre le campagne circostanti si spopolano. La città natale di Sebastiano Satta, di Attilio Deffenu e di Grazia Deledda offre gradevoli luoghi d’incontro in corso Garibaldi con la sua sfilata di vetrine e in piazza Vittorio Emanuele II, mentre non invita certo alla sosta la rinomata piazza Sebastiano Satta, con la casa natale del poeta e le sculture di Costantino Nivola. Quello di Nuoro è un fascino poco comunicativo: bisogna essersi già affezionati per sentire il desiderio di conoscerla più a fondo, tanto a vederci ‘il cuore della Sardegna’ secondo la poetica definizione di Satta.”

    Cosí si leggeva alcune decine di anni fa in una guida turistica – PRIMA della distruzione della Piazza Vittorio Emanuele tramite un ammodernamento a cuore freddo.

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