Per Gaza, per un risveglio delle coscienze

18 Maggio 2021

[Aldo Lotta]

Nella narrazione biblica il piccolo Davide uccide il gigante Golia. Il significato del celebre episodio ha permeato la cultura occidentale in forma di insegnamento etico, monito e incitamento sociale.

Le persone, i popoli oppressi, pur male armati e fragili, hanno dalla loro una forza morale, un richiamo alla giustizia, la cui intensità è tale da poterli portare ad abbattere qualsiasi ostacolo che la bieca autorità, la prepotenza del più forte, intenda ergere o scatenare.

Tale forza non può che essere, in natura, contagiosa. In effetti dalla fine degli anni ‘40 del “secolo buio”, dopo le tragedie delle due guerre mondiali, un risveglio di coscienze ha portato a codificare i principi alla base di tale anelito morale alla giustizia globale sotto forma di trattati legali. Sono nate in Europa le Costituzioni democratico-progressiste, di cui la nostra è certamente una delle più sagge e avanzate. Soprattutto, sono state solennemente sanciti i diritti universali dell’uomo, prima con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo, redatta dall’Assemblea Generale della Nazioni Unite, e in seguito attraverso la Carta Europea dei Diritti Fondamentali.

Riguardo, poi, alle devastanti conseguenze delle guerre sull’umanità, tra il ‘49 e l’’80 sono state firmate a Ginevra almeno sei diverse convenzioni rivolte a salvaguardare i prigionieri, le vittime civili e i rifugiati. Paradossalmente, proprio 70 anni fa, in coincidenza con questo risveglio delle coscienze politiche, prendeva inizio un processo tragico a cui ancora oggi siamo costretti ad assistere: la persistente e progressiva conquista, colonizzazione e oppressione di un intero popolo, quello palestinese, colpevole di preesistere ad uno Stato israeliano (ora Ebraico) istituito in modo dissennato e ipocrita dalla stessa Comunità Internazionale.

E da 70 anni nel mondo occidentale, nella civile Europa, non appare degna di considerazione mediatica e politica (e anzi tacciata di antisemitismo) qualsiasi voce si sollevi per denunciare le ingiustizie e i crimini dei governi israeliani. Tra questi:

  • La vergognosa condizione di apartheid civile e giuridica, per cui i palestinesi non hanno gli stessi diritti degli ebrei e sono sottoposti al giudizio esclusivo del tribunale militare;
  • Il quotidiano luttuoso aggiornamento del conteggio delle vittime palestinesi (dei bombardamenti certo, con impennate impressionanti, ma anche della pratica indiscriminata della detenzione e delle esecuzioni extragiudiziali persino di minori);
  • Il lunghissimo muro della vergogna e dell’annessione, equipaggiato di barriere elettroniche, permeabile solo attraverso i suoi famigerati check point.

La ribalta mediatica è certo in questi giorni, come in occasione delle passate agghiaccianti operazioni israeliane chiamate Margine Protettivo e Piombo Fuso, straripante di bollettini e commenti. Ma, a parte le cifre che vengono aggiornate minuto per minuto, le parole chiave scontate sono, tra le altre: “conflitto”, “guerra, “risposta”, “mediazione”.

Ma ecco che, di fronte a questo battage ottuso, ciò che appare veramente oltremodo assordante è un vuoto e un silenzio. Mi riferisco a noi stessi, alla classe civile, e intendo un vuoto di memoria storica e, quindi, di visione e riflessione sulle cose.

Ciò che abbiamo di fronte non è una guerra, non è un conflitto tra due nazioni. È una pluridecennale aggressione illegale di conquista, persistente e soffocante, su un popolo autoctono da parte di uno Stato auto-definitosi esclusivamente su basi religiose (di conseguenza fondato su un’apartheid). E’ un’operazione di persistente insediamento coloniale, portata avanti con la distruzione di case, di villaggi, di oliveti, e con l’espulsione di decine di migliaia di profughi le cui generazioni in quelle case e in quelle terre vivevano da decenni o da secoli. E la nostra storia, in Europa, è piena di riferimenti tragici a tale condizione. Come è gremita da personaggi che chiamiamo martiri, eroi, per il fatto di aver difeso, anche per noi, i principi di libertà e uguaglianza.

Il silenzio è sotto le orecchie di tutti. Ma è soprattutto politico: la classe politica italiana ed europea ha sempre taciuto di fronte alla feroce evidenza dei fatti, astenendosi dal chiamare le cose col loro nome e dal dar voce alle decine e decine di risoluzioni dell’Assemblea del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite contro Israele. Ma tali risoluzioni, mai rispettate unicamente grazie al prepotere degli Stati Uniti, sono nate sulla base della semplice ottemperanza alle norme del diritto internazionale, mentre il diritto a cui la nostra nazione e la UE sembrano fare riferimento, ben più antico e primordiale, è quello del più forte.

Non resta dunque, come membri consapevoli di una società civile, iniziare ad imporre alla politica le regole del diritto. Anche con la consapevolezza che quanto capita in quella regione del medio-oriente bagnata dal nostro stesso Mediterraneo, ci riguarda molto da vicino ed è una chiave di volta dell’intero processo geopolitico. Le numerose e nutrite manifestazioni di questi giorni, con la presenza di tanti giovani, sono un segno di un risveglio ampio della nostra coscienza etica e solidale e possono ridare fiato alle speranze e alla volontà manifestate in quei non tanto lontani giorni di 70 anni fa.

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