Perché siamo ritornati al modello di famiglia arcaico

1 Giugno 2020

Foto di Federica Zedda, in collaborazione con Giulia Cannas

[Lisa Ferreli]
In questo particolare periodo di emergenza sanitaria, il sistema famiglia è stato messo alla prova da una chiamata alla riorganizzazione, secondo una nuova quotidianità.

Davanti a una routine divenuta smart e a una socialità astratta, sulla figura genitoriale soccombe un ulteriore carico dovuto alla concentrazione in un unico luogo – la casa – di tutte quelle realtà prima concrete, come la scuola, che compartecipano nell’educazione dei figli. Un divenire che influisce anche sulla struttura famiglia e sui ruoli che ne determinano la sopravvivenza. In merito, secondo l’avvocata impegnata in diritto della famiglia e mediazione famigliare Margherita Zurru, «si è tornati a un modello di famiglia arcaico». Ma il parere è ancora in evoluzione.

Cambio di ruoli «All’inizio dell’isolamento abbiamo constatato che le coppie, soprattutto se con bambini, sono entrate in una fase di emergenza, sotterrando quelli che erano i precedenti problemi di relazione, comunicazione e assumendo ciascuno un ruolo». L’avvocata Zurru, impegnata inoltre con l’associazione Sakura – Legge e Psiche nel fornire (insieme alle psicoterapeute Vanessa Donaggio e Emanuela Cioccolanti) consulenza gratuita legale e psicologica a persone e famiglie durante il lockdown, sottolinea però una successiva «involuzione». «Ciò che abbiamo evidenziato soprattutto nelle coppie più adulte – prosegue l’avvocata, originaria di Nuoro – è che con il passare del tempo ci si è adattati a un modello arcaico, dove è alla donna che spetta la gestione della casa, dei bambini, dell’attività ludica e dell’assistenza durante e dopo la didattica a distanza». Secondo l’analisi dell’avvocata, ruolo invece nettamente riservato ai papà è «la spesa fuori: improvvisamente i supermercati sono popolati maggiormente da uomini, come se si trattasse di un’attività pericolosa demandata al forte di casa, che affronta le avversità esterne e poi torna nel focolare».

Mancano esempi «In una realtà influenzata dal sistema culturale predominante del patriarcato, temo che davanti al lento ritornare al lavoro saranno sempre le donne ad avere la peggio», sostiene l’avvocata, evidenziando inoltre una mancanza di buoni esempi «dall’alto». «La task force istituita per l’emergenza covid, ad esempio, è tutta al maschile” sottolinea Margherita Zurru, che prosegue: «sembra sempre che nei momenti di difficoltà spetti agli uomini a dover decidere, ma essendo generalmente meno coinvolti nel sovraccarico, mancherà sempre quel punto di vista atto a determinare un cambiamento, perché non si può pensare che la società in automatico cambi».

Dall’indagine di Ipsos per l’organizzazione italiana WeWorld, “Donna e cura in tempo di Covid 19”, emerge una situazione drammatica: in Italia il 60% delle donne ha gestito da sola il carico familiare contro il 21% degli uomini; con la ripresa delle attività produttive invece, dovranno prendersi cura dei figli da sole il 63% delle donne italiane, contro il 12% degli uomini. La graduale ripresa degli impegni lavorativi secondo l’avvocata Zurru dovrebbe coincidere con «una rinuncia ai privilegi». «Chiunque vuole tornare al lavoro – sostiene l’avvocata – ma temo però che presto ci troveremo ad avere delle mamme sacrificatissime che sceglieranno di stare a casa tra smartworking, didattica online e faccende domestiche, ed è un gran peccato».

La soluzione? «Un intervento legislativo che dia un effettivo e meno risicato sostegno economico alle famiglie sarebbe fondamentale e permetterebbe delle scelte più libere e equamente distribuite: il 72% dei 2,7 milioni di lavoratori che sono tornati al lavoro il 4 maggio sono uomini, perché? Probabilmente – dichiara la Zurru – anche perché le mamme stanno a casa perché cucinano meglio e badano meglio ai figli, in Italia purtroppo questa idea c’è. L’uomo però potrà raccontare a se stesso di compiere, tornando al lavoro, una scelta coraggiosa, ma in realtà gode del privilegio della libertà perché sa che a casa con i figli c’è la mamma. Iniziare perlomeno a riconoscere questo privilegio – conclude l’avvocata – sarebbe una valida soluzione».

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