Perché vogliamo la pace e il negoziato

8 Novembre 2022

[Gabriella Lanero]

La Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco aderisce alla piattaforma Europe for peace della rete Pace e disarmo e del Coordinamento provinciale di Cagliari Prepariamo la pace di cui sottoscrive e sostiene tutte le richieste. Di seguito riportiamo il testo dell’intervento presentato al sit-in di Cagliari da Gabriella Lanero.

E’ importante la scelta di organizzare una manifestazione cittadina che offra alle associazioni e ai gruppi della società civile l’occasione di incontrarsi e di esprimere le richieste del negoziato di pace e il rifiuto delle armi nucleari.
A chi ci rivolgiamo?
Sono diminuite le speranze che le istituzioni italiane onorino il principio costituzionale di ripudio della guerra e rappresentino la volontà pacifista che anima gran parte della società civile.
Come cittadini europei ci rivolgiamo, quindi, alla comunità sovranazionale europea, nata dopo il disastro di due guerre, che nei trattati istitutivi esprime la volontà di pace, stabilità e sicurezza, la tutela delle minoranze, il principio di non discriminazione su base nazionalistica, perché non continui a sostenere la guerra con l’invio di armi, perché si adoperi per un negoziato di pace. L’auspicio è che si costituisca un’onda di pressione, un’alleanza della società civile, formata dalle reti, i movimenti, i sindacati e tutte le forze europee progressiste e democratiche, che consenta, fra gli stati divisi da diversi interessi, il prevalere delle posizioni di chi sostiene lo stop alla guerra e la mediazione del negoziato.
L’Europa, per la sua storia e posizione geografica è ponte fra i mari e fra i continenti; nel suo territorio imperi e stati hanno unito e separato popolazioni e spostato confini. Confini che sono stati luoghi di coabitazione e di movimento dove i popoli e le lingue hanno convissuto e si sono mischiate se non sono intervenuti i nazionalismi, che con le loro bandiere hanno agitato masse verso interessi di supremazia, di conquista, di rivincita, di contrapposizione, di guerra.
La guerra in Ucraina è un esempio di questo, generata da un sistema economico che le organizzazioni internazionali non sono in grado di governare in modo democratico.
Le istituzioni europee si sono rivelate incapaci di mantenere la pace perché ha prevalso il principio dei blocchi contrapposti, la visione egemonica delle relazioni internazionali.
Per questo dobbiamo sollevare l’attenzione dalla narrazione diffusa che propone la guerra come una questione di territorio e d’indipendenza.
Non possiamo limitarci al ragionamento semplicistico su chi ha diritto alla difesa e chi ha il torto dell’aggressione.
Non abbiamo bisogno di domandarci chi guadagna e chi perde nella guerra.
Guadagnano i centri di potere che sovrastano le istituzioni democratiche, gli apparati militari e industriali che fanno profitti sulla produzione e vendita di armi, sulla distruzione e sulla ricostruzione. Guadagnano gli affaristi dei mercati, gli speculatori che profittano dell’instabilità per alterare i flussi e i prezzi delle merci, del gas o del grano.
In una società, come anche quella italiana, dove si allarga a dismisura la forbice della disuguaglianza, perdono i più poveri, i fragili, i lavoratori dipendenti o piccoli imprenditori, soffocati dall’aumento dei prezzi, dalla crisi energetica e alimentare. Perdono nel presente e nel futuro i cittadini più giovani e gli anziani, perché alla crescita di spesa per gli armamenti e alle priorità imposte dall’ “economia di guerra” corrisponde in maniera inversa la diminuzione di quelle per la sanità, per lo stato sociale in generale, per la scuola.
Nell’ordine mondiale continuano a perdere i paesi più poveri, meno industrializzati e tecnologicamente avanzati, le cui prospettive di sviluppo sono piegate all’interesse dei blocchi economici dominanti che, attualmente, si scontrano, non solo in Ucraina, ma nei vari punti cruciali, proprio come nelle due guerre mondiali, del Medio Oriente, dell’Africa, del Pacifico. Il rischio è che il puzzle della guerra a pezzi si componga e degeneri nell’escalation mondiale, con l’uso di armi nucleari.
Per questo la richiesta della piattaforma Europe for peace è rivolta all’ONU, anche questa istituzione democratica preposta alla pace e alla sicurezza, ma nel suo funzionamento contradditoria e inefficace.
Si chiede una Conferenza di pace capace di andare oltre i veti, che dia voce più forte ai paesi, demograficamente più consistenti, che non applicano le sanzioni, che non accettano i protezionismi a queste sottesi, che chiedono un ordine policentrico, oltre la logica dei blocchi e della deterrenza nucleare.
Che dia voce più forte soprattutto ai paesi che da alcuni anni si stanno facendo promotori del Trattato per la proibizione delle armi nucleari (TPNW), cui i paesi con armi nucleari (USA, Russia, UK, Francia, Cina, Israele, India, Pakistan e Corea del Nord), il Giappone, l’Australia, l’Italia e la gran parte degli alleati Nato non aderiscono.

Noi stiamo dalla parte di chi perde, delle donne ucraine che conosciamo perché da anni lavorano con i nostri vecchi, per mantenere le famiglie in un paese le cui ricchezze sono accaparrate da oligarchi e investitori esteri, dalla parte dei bambini che abbiamo accolto con le loro madri, lontani dai padri cui è stato impedito di partire, dalla parte di tutte le persone che patiscono la guerra nei territori devastati. Siamo coi giovani soldati costretti, spesso inconsapevolmente, a combattere e mandati a morire, coi pacifisti ucraini e russi, con gli obiettori di coscienza di entrambe le parti.
Siamo con tutte le vittime delle guerre e con quelle della fame, delle carestie provocate dalla crisi climatica e dalla distruzione dell’ambiente che la guerra aggrava, ovunque sia.

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