Pašana

1 Novembre 2007

Giovanni Oliva

Clandestinamente, mi sono autoinvitato sotto la tavola celeste, imbandita (con ognibendiddio) per gli oppressi, gli sfruttati, i sofferenti, i perseguitati a causa della giustizia, gli emarginati e gli esclusi (con una parola comune: i poveri). Mi accontento delle briciole che cadono a terra. E delle gocce versate. Ecco un altro caso che vi vorrei raccontare, se mi prestate ascolto. E’ la storia di Pašana O.(si legge Pasciana) conosciuta anche come Anna e affettuosamente chiamata dai suoi innumerevoli famigliari Bica (nonna), madre prolifica con una discendenza che già supera il centinaio di persone (fra figli, nipoti e pronipoti sparsi in tutta Europa). Se ne è andata, vecchia di quasi ottant’anni, l’estate dell’anno scorso, all’alba, la vigilia di ferragosto. Era da tempo malata. Non la vedevo da diversi giorni. Quella notte, a causa di un forte mal di testa, non riuscivo a prender sonno e, fra gli altri pensieri, rimuginavo un po’ di sensi di colpa. Negli ultimi tempi l’avevo trascurata. L’indomani mattina vado al “kampo” (è la parola con cui nella lingua dei romá si chiama l’accampamento) per farle visita. Incontro suo nipote Alexander . “Dov’è Bica?”. “L’ hanno portata all’Ospedale.” “Sta male?” “E’ morta” “Se ne andata stanotte, ti ha cercato tanto, ieri mi ha fatto telefonare tante volte nel tuo studio, ma tu non c’eri” mi dice una donna. Se ne è andata senza ottenere la “pensia” (così chiamava la pensione) tanto attesa.
Pašana era nata nel 1927 a Zupa un paesino vicino a Niksic, nel Montenegro da una famiglia rom khorakhané. “Tessitrice”, così si legge nei suoi vecchi documenti jugoslavi, ancora giovane e bellissima si era sposata con Muradif H. e si era trasferita in un paesino vicino a Mostar dove era vissuta fino agli anni ’70 quando emigrò per raggiungere una parte dei suoi figli in Italia. Ultima destinazione: la Sardegna.
Con un permesso di soggiorno ottenuto nel 1987, Legge Martelli, “per iscrizione liste di collocamento”, Pašana era invecchiata senza trovare altro lavoro se non quello faticoso del mangel (si legge manghel e nella lingua dei romá significa chiedere, nel senso di mendicare), lavoro che la costringeva, in tutte le stagioni e con qualsiasi tempo, a girare per le città (soprattutto Sassari e Alghero), con il suo caratteristico sacco in spalla. Un lavoro che lei faceva con dignità mantenendo quel suo portamento quasi regale che rivelava un animo forte, ricco di esperienza, saldo nei principi. Sempre pulita e ordinata, nonostante i disagi di una vita da accampata. Amava i fiori, di cui la sua casetta (la barakina) era circondata e di cui spesso mi faceva dono (mia moglie si farà gelosa, scherzavo, portali a lei, mi diceva, accennando un sorriso). Amava fumare, beveva vino rosso e quando arrivava Ğugervdam, la festa grande, ballava, come una ragazzina. Abbiamo ballato assieme tante volte, al kampo, sollevando polvere e buon umore.
Era sorella di due partigiani iugoslavi, due giovani romá morti durante la guerra di liberazione contro il nazifascismo. Conservava con orgoglio un attestato nel quale erano riportati i loro nomi.Un foglio che sapeva di fumo, scritto in caratteri cirillici, con i simboli e le bandiere dello stato socialista (stella e falce e martello), ingiallito, ormai consumato dal tempo, bagnato dalla pioggia degli innumerevoli accampamenti di fortuna, asciugato davanti al fuoco benedetto dei bivacchi notturni. Me lo fece vedere e, commossa, me lo affidò chiedendomi di restaurarlo e incorniciarlo. Perché si conservasse quella memoria.
Guardando la televisione alla vista dei bambini affamati del terzo mondo una volta mi disse, con la stessa infantile ingenuità di mio figlio, che avrebbe voluto adottarne qualcuno. Non capiva perché, la nostra società ricca e sprecona, non facesse tutto il possibile per aiutarli a vivere.
Anni fa, iniziò a manifestare i sintomi di varie patologie (algie diffuse, cefalee, bronchiti) che a seguito di ricoveri ed esami portarono i medici a diagnosticare una “cardiopatia ischemica con prolasso valvolare mitralico ed enfisema polmonare”. Entrava ed usciva dall’Ospedale.
Mi informai presso gli uffici della CGIL se Pašana avesse diritto a una qualche assistenza pensionistica, almeno la minima, che le risparmiasse le ingiurie quotidiane di un lavoro itinerante esposto a tutte le intemperie. Certo, mi risposero, alla sua età e nella sua situazione, ha diritto alla pensione sociale.
Si fa la domanda all’INPS. Dopo nove mesi, nel dicembre del 2000, poco prima di Natale, la risposta: “la domanda di Assegno sociale non è stata accolta per i seguenti motivi: il permesso di soggiorno risulta scaduto alla data di presentazione della domanda”.
Ah, ecco, il permesso di soggiorno. Pašana ne aveva goduto per diverso tempo, rinnovato negli anni, anche per motivi umanitari (in corrispondenza della tragedia della guerra civile nel suo paese d’origine). Poi, a causa dei suoi ricoveri, le era scaduto, senza che lei provvedesse in tempo a chiederne il rinnovo. Né i suoi figli né io né gli altri amici, ce ne eravamo resi conto.
Si fa quindi subito richiesta per il rinnovo, convinti che non ci sarebbe stata difficoltà ad ottenerlo. Non potendo più giustificare la sua presenza in Italia per ragioni di lavoro, la Questura di Sassari chiede di dimostrare come si mantiene. Ha diritto alla pensione sociale (se avesse il permesso di soggiorno). Ma senza permesso di soggiorno niente pensione. Niente mezzi di sussistenza dimostrabili, niente permesso di soggiorno. Il circolo è vizioso. Qualcuno suggerisce che potrebbe figurare a carico di uno dei figli, che gode già di un permesso di soggiorno e che può dimostrare di percepire un reddito. Va bene. C’è Elver (per i famigliari e gli amici Ago, Agostino per i gagé, e poi Branco e chissà quale altro nome ancora; ogni rom è ricco perlomeno di nomi): stimato artigiano del rame, un vero e proprio artista, titolare di una regolare attività di lavorazione di metalli, beneficiario di un prestito d’onore (primo rom in Italia). E’ figlio di Pašana, con la quale vive ad Alghero máskar e borori (nella pineta). Ma Pašana può dimostrare di essere sua madre? C’è il certificato di nascita originale. Controlliamo e in effetti Elver risulta figlio di … Fatima ?!?
La vita riserva mille sorprese. La carta scritta le moltiplica.
Chi è questa Fatima? A chi appartiene questo nome? Come c’è finito nel certificato di nascita di Elver? Fatima era uno dei soprannomi di Pašana quando viveva in Jugoslavia (mi dicono). Qualche parente, magari ubriaco (mi dicono), è andato a registrare il nuovo nato nell’anagrafe del paese, rilasciando le generalità dei genitori ad un impiegato, magari ubriaco (mi dicono). Nessuno se ne era accorto, fino ad oggi. Così Ago (Elver) risulta figlio di Fatima (Pašana ). Briciole di allegria. Se non fosse per la burocrazia, che non ammette scherzi.
Pašana non capisce. Ma come, non riconoscono che Ago è mio figlio? Ci prendono in giro? Perché ci trattano così, come bestie?
Per diversi anni si è cercato di trovare una soluzione a questo problema di ordinaria burocrazia.
Senza riuscire a risolverlo. Abbiamo tentato tante strade. Alcuni funzionari interpellati non capivano le ragioni dell’insistenza e dell’urgenza. A che le serve il permesso di soggiorno? Non deve temere. Nessuno la caccerà dall’Italia. E’ nonna di giovani e bambini che sono già cittadini italiani. Ah, è per la pensione? Una questione di soldi? Veramente sarebbe una questione di diritti. Alla fine, frustrato, anch’io l’ ho quasi abbandonata “al suo destino”. Veniva in studio, sempre più provata e mi chiedeva: Giovanni qualcosa di nuovo per il permesso di soggiorno? E la pensia, perché non mi arriva? Non sapevo cosa rispondere. Mi vergognavo per l’ottusità delle nostre leggi e dei nostri regolamenti e per me stesso incapace di dipanare l’imbroglio.
Pašana se ne è andata senza ottenere la “pensia”. Ha dovuto fino all’ultimo accontentarsi delle elemosine. Ha subito tante umiliazioni, non solo quelle che qui vi ho raccontato. Se ne è andata, offesa e risentita nei nostri confronti.
Qualche goccia bagna i miei fogli. Un calice rovesciato sulla tavola celeste? Gocce d’acqua. Lacrime di pianto o commozione? Piove. Presto, come tutti gli anni, l’acqua che scende dal cielo allagherà il kampo , máskar e borori , trasformandolo in un pantano.

2 Commenti a “Pašana”

  1. Filippo Deledda scrive:

    Quello che più mi rattrista, è che, la malattia più comune di questi tempi è la solitudine e la povertà d’amore. I sintomi più frequenti sono l’indifferenza, accompagnata dal desiderio di augurare al prossimo, ogni condizione di degrado economico e sociale. Complice del propagarsi di questa epidemia, è la politica, che da molto tempo oramai, ha preso in ostaggio la speranza e il bisogno d’amore e solidarietà della gente, promettendo di restituirla ai legittimi proprietari in cambio di un voto, o una preferenza politica. Per nostra fortuna un luminare, ha inventato il reality show , e col nuovo vuaierismo mediatico, l’indifferenza alla reale sofferenza umana che ci circonda, ha superato il limite, lasciando che l’indifferenza diventasse un capo d’abbigliamento, che tutti orgogliosamente vorrebbero indossare.
    Negli ultimi tempi l’uomo ha fatto un gigantesco salto nella scienza delle tecniche comunicative, che lo ha catapultato velocemente nel futuro ultramoderno, usando come vettore i media e come propellente le proprie emozioni. Cosa è un uomo senza amore, `e più importante amare o inventare Computer sempre più potenti e veloci. Viva l’amore, e spero che un giorno non troppo l’ontano, quella scintilla di divino che c’è dentro ogni uno di noi, riprenda a scaldarci il Cuore, facendoci inventare un mega Reality show in scala mondiale, dove tutti possono parteciparvi, e il vincitore sarà chi riesce a contribuire nel miglior modo possibile al benessere del prossimo e del pianeta

  2. Sonia Giagnoni scrive:

    Caro Giovanni,
    è triste notare come la stirpe di Pasana continui ad avere stesso trattamento…Il 2 febbraio scorso è nata una delle tante pronipoti di Pasana, ma il trattamento per la nipote che partoriva è stato peggiore di quello che avrebbe ottenuto una bestia! Mi sono lamentata, ma la persona a cui mi son rivolta mi ha risposto: “non se la prenda così, signora, queste son peggio delle bestie…ogni anno vengono qui, sgravano e se ne vanno…sono nomadi…” In questo caso nomade era usato per ingentilire il termine “zingaro” che sa troppo di razzista e LEI no, LEI NON ERA RAZZISTA!
    Ma quale nomade? Ma se il viaggio più lungo che ha fatto è stato da Alghero a Cagliari?
    Ad A. non è stata data una camera, è stata lasciata ore ed ore seduta su una sedia, invisibile agli occhi di tutti, veniva ignorata ogni volta che cercava di attirare l’attenzione di un’infermiera/ostetrica/medico per dire che aveva contrazioni…
    Alla fine, A. senza esser stata neanche visitata è stata mandata via! Non si sono neanche sforzati di darle del “lei”. “Va’, vai a casa ad accudire i tuoi figli e torna quando sei pronta!”.
    A. è analfabeta, ma è intelligente, e soprattutto è pratica di travagli e parti, visto che per la V° volta si trovava a transitare, invisibile, per quei corridoi, sa che sta per partorire, ma se ne va, che altro può fare?
    Arriva a casa,mette giù un piede,rompe le acque e dopo un corsa folle, con la piccola che già guarda il mondo, arriva e PARTORISCE IN BARELLA! Beate le bestie!

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