Poesia Visiva. Eugenio Miccini e il fuoco di Erbafoglio

15 Luglio 2007

Alessio Liberati

La recente “scomparsa” di Eugenio Miccini – le virgolette hanno ancor più senso per chi, come lui, ha lasciato il segno – pone l’accento, se ve ne fosse ancora bisogno, su uno dei più importanti movimenti di risonanza internazionale espressi dall’arte italiana nel ‘900: la Poesia Visiva, di cui Miccini fu protagonista di primo piano. Fu proprio lui nel ’63, insieme a Lamberto Pignotti, a coniare il termine “poesia visiva”, che da allora è stato adottato in Italia e nel mondo.
Chi scrive ebbe con lui un rapporto epistolare-telefonico, ma non per questo meno fruttuoso, perché portò alla partecipazione dell’artista a un importante numero della rivista di cultura poetica Erbafoglio, edita a Cagliari dal 1988 al 2003 (ma questa non è l’unica traccia che Miccini lasciò in Sardegna: qualcuno ricorderà la sua partecipazione alla mostra Canned Art, a cavallo tra il ’79 e l’80, all’Arte Duchamp di Cagliari). Quel numero era incentrato sul tema del Fuoco e venne concepito all’indomani dell’11 settembre 2001, il che diede al tema una luce e una gravità particolari. Miccini rispose subito, con tre opere, all’appello di Erbafoglio (e come lui risposero altri grandi nomi delle neovanguardie verbo-visive e dell’arte concettuale: Mirella Bentivoglio, Stelio Maria Martini, Luca Maria Patella). Tre opere – oggi visibili anche nel web, nell’archivio di poesia visiva di Erbafoglio http://erbafoglio.altervista.org/link.htm – in linea con le istanze della Poesia Visiva, un movimento che si distingueva e si distingue dalle precedenti avanguardie verbo-visive – Futurismo, Dadaismo, Lettrismo, Poesia Concreta, etc – per la sua (usando le parole dello stesso Miccini) “vocazione dichiaratamente ‘ideologica’, cioè per una battaglia delle idee”.
Nella società tecnologica e nella civiltà dell’immagine, la poesia visiva non poteva non fare i conti con l’uso di quel “neo-volgare”, già diffuso negli anni ’60, che nei linguaggi dei mass-media (pubblicità, giornali e oggi anche i siti web, le email e i videomessaggi) associa sempre di più la parola all’immagine. Ma non si può parlare semplicemente di “poesia con le immagini” o di “immagini con le parole”. Prima di tutto perché si tratta di una sintesi e di una complementarità tra il piano verbale e quello visivo, l’uno indispensabile all’altro nella fruizione dell’opera; il destinatario è quindi costretto a una lettura simultanea dei due piani, in cui il tutto prevale sulle singole parti e il risultato non è la semplice somma degli addendi.
Poi perché spesso quella sintesi ha un altro valore aggiunto, cioè quella “battaglia delle idee” di cui parla Miccini: la poesia visiva, fa notare Pignotti, “ironizza, contesta, critica e tende a capovolgere gli aspetti più negativi propri della società tecnologica e della civiltà dell’immagine” ed è “proprio la migliore ritorsione contro l’abuso delle immagini(..) nel rispetto della legge del contrappasso: quel che è fatto è reso”. La poesia visiva può allora rappresentare in sostanza “una merce respinta al mittente”, una sorta di “contropubblicità”, di risposta al “rumore dei media”. Miccini afferma: “provenendo io dalla letteratura…ho avvertito agli inizi degli anni ’60 che le parole non mi bastavano più, che esse risuonavano beffarde e incapaci di sopravvivere al rumore e alle ridondanze dei linguaggi”. A Firenze, dove nasce nel 1925, Miccini compie studi umanistici e inizia la sua attività letteraria, collaborando con varie riviste, tra le quali “Quartiere”, “Letteratura”, “Il Menabò”. Uno dei suoi lavori di poesia lineare è la raccolta “Sonetto Minore”, che Mario Luzi gli pubblica nella collana di poesia della Vallecchi. Le sue prime prove di poesia visiva risalgono al 1962. Nel 1963 fonda, insieme a poeti, musicisti e pittori – tra cui Lamberto Pignotti, Luciano Ori, Giuseppe Chiari – il Gruppo ’70 e partecipa al Gruppo ’63, iniziando l’esperienza della Poesia Visiva. E’ intensa la sua attività durante tutti gli anni ’60, con l’ organizzazione di mostre, spettacoli, dibattiti e pubblicazioni sulla poesia visiva. Nel 1969 fonda a Firenze il Centro Tèchne, dirigendone la rivista omonima e i “quaderni” dedicati alla poesia visiva, al teatro, al dibattito culturale di quegli anni.
Negli anni ’70 partecipa al Gruppo Internazionale di Poesia Visiva (o Gruppo dei Nove: Alain Arias-Misson, Jean-François Bory, Herman Damen, Paul De Vree, Eugenio Miccini, Lucia Marcucci, Luciano Ori, Michele Perfetti, Sarenco) e dirige con Sarenco la seconda e terza serie della rivista Lotta Poetica. Nel 1983 fonda il Gruppo Logomotives con Arias Misson, Blaine, Bory, De Vree, Sarenco e Verdi. È invitato nelle più importanti mostre internazionali (quattro volte alla Biennale di Venezia) e i suoi lavori figurano in molte collezioni pubbliche. Ha pubblicato oltre settanta libri di carattere creativo e di saggistica; in particolare Miccini è tra i più importanti autori italiani di libri d’artista. Il suo nome resterà legato alla Poesia Visiva e all’attualità di quel movimento. Nel’97 Miccini scrive: “Non si possono confinare quelle esperienze in quel preciso momento storico” (gli anni ’60).”Siamo convinti che la nostra tensione ideologica, il nostro riscatto siano ancora legittimi nei confronti di una civiltà che non è affatto mutata e che anzi ci sembra ancor più imbarbarita”. Come non dargli ragione.

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