Povera Italia

16 Settembre 2009

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Manuela Scroccu

I due atti di citazione con i quali “L’On. Dott. Silvio Berlusconi” ha chiesto alla società Nuova Iniziativa Editoriale s.p.a., editore del quotidiano L’Unità, al suo direttore responsabile Concita De Gregorio, alle giornaliste Natalia Lombardo e Federica Fantozzi,all’opinionistaMaria Novella Oppo e alla scrittrice Silvia Ballestra, autrici degli articoli che hanno fatto infuriare il presidente del Consiglio dei Ministri, un risarcimento complessivo di due milioni di Euro, oltre alla condanna alla pena pecuniaria di duecentomila euro ciascuna per la violazione della legge n° 47/1948 sulla stampa, si possono ancora leggere sul sito online del quotidiano fondato da Antonio Gramsci. Trentadue paginette che sarebbero pure divertenti, sembrano uscite da un copione di Sabina Guzzanti (e di Guzzanti si parla, comunque, visto che sono soprattutto le dichiarazioni di Guzzanti padre, riprese dalla De Gregorio, a far infuriare Berlusconi), se non rappresentassero l’ennesima cannonata all’art. 21 della Costituzione italiana, se non costituissero un nuovo e profondo sfregio alla libertà di stampa in questo paese. Questa censura completamente al femminile appare fortemente simbolica nel contrapporre proprio cinque donne, agli antipodi rispetto all’ideale femminile che sembra popolare l’inconscio di Silvio Berlusconi, ad un egoarca ben determinato ad annullare il dissenso con ogni mezzo, anche attraverso strategie chiaramente intimidatorie. Concita De Gregorio, Natalia Lombardo, Federica Fantozzi, Maria Novella Oppo e Silvia Ballestra sono state accusate di lesa maestà, perché alla fine di questo si tratta, per avere scritto delle frequentazioni del premier con la escort Patrizia D’Addario, per averlo sospettato, nientemeno, di controllare l’informazione in Italia e infine, aggravante delle aggravanti, per aver messo in discussione la potenza sessuale del capo del governo. Anche un’innocua battutina di Luciana  Littizzetto, citata in uno degli articoli incriminati, diventa strumento diffamatorio ed eversivo contro il premier e, di riflesso, sentendosi lui stesso incarnazione del “Volk” che l’ha designato alla guida del paese, contro la stessa nazione. Silvio Berlusconi ha il sacro terrore della libertà di stampa e d’informazione perché il concime che ha permesso al suo potere politico di crescere con salde radici è sempre stato il saldo controllo  dei mezzi di comunicazione. Non aver capito questo, soprattutto a sinistra, ha dato all’attuale premier ben 15 anni di vantaggio. Leggi ad personam, smantellamento dello stato sociale, svuotamento delle istituzioni democratiche, il disprezzo e il fango gettato sui principi costituzionali sono stati possibili solo con la mistificazione della realtà attraverso la manipolazione mediatica. I cittadini, l’ 80% dei quali si affida soltanto alle televisioni per informarsi, sono ormai da tempo semplici “utilizzatori finali” (loro si) di uno spettacolo  manipolato e censurato che, in ogni caso, non possono scegliere di non vedere. Per mantenere il potere, “il miglior Presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni” ha perseguito pervicacemente l’azzeramento di ogni dissenso, complice la miopia a volte complice delle attuali forze di minoranza, attraverso abili campagne stampa atte a screditare le ultime voci critiche rimaste, in modo da togliere linfa ad ogni possibile opposizione. L’Italia è governata da una nuova forma di autoritarismo che non ha bisogno di manganelli e olio di ricino ma preferisce i salotti ovattati di Vespa e i telegiornali di regime che costruiscono notizie – non notizie riciclando filmati di Youtube sui gatti che suonano il piano e  abolendo la domanda, ormai sostituita dalla dichiarazione. Ora Berlusconi appare in crisi, screditato internazionalmente e schiacciato dalla fronda interna al PDL, e, come Don Rodrigo, scatena i suoi “bravi” contro quella che ha definito la “minoranza comunista e cattocomunista, che detiene la proprietà del 90% dei giornali” in questa, così l’ha definita, “povera Italia”. Questa è la grave situazione in cui vive il paese e contro cui si scenderà in piazza, il 19 settembre a Roma, in difesa della libertà d’informazione. Mobilitazione e controinformazione, attraverso i giornali liberi ma soprattutto la rete: ecco l’arma più efficace che si può contrapporre al bavaglio di regime, la cui ultima espressione  in ordine di tempo è costituita dalla cancellazione del programma Ballarò per far posto ad un programma glorificatore del capo del governo nella sua incarnazione di “donatore di case prefabbricate ai poveri terremotati dell’Abruzzo”. In attesa che sempre più abitanti di questa povera Italia si riscoprano cittadini, non sudditi.

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