Premio Carlo Magno e papa Francesco

1 Maggio 2016
Papa Francesco durante l'udienza generale del mercoledìGuido Viale

L’establishment dell’Europa che conta, quasi al completo, è andato in Vaticano a farsi prendere a schiaffi (cristiani) da papa Francesco. L’occasione della trasferta è stato il conferimento al papa del premio Carlo Magno. Lo scopo era quello di ricavare dalla visita un po’ di quella legittimazione che il papa si è conquistata sul campo e che quei leader stanno perdendo con la velocità di una valanga. Missione fallita: l’Europa propugnata da Francesco è l’opposto delle scelte messe in atto, vertice dopo vertice, da una classe dirigente ormai allo sbando: mai è emerso così chiaro che da una parte c’è il cristianesimo di Francesco (che non è tutto il cristianesimo europeo: larga parte di esso è impegnato a usare la croce come una clava in testa a profughi e immigrati e a tutelare il proprio “stile di vita non negoziabile”, disattendendo i due temi centrali della predicazione del papa, la difesa dell’ambiente e la giustizia sociale,). Dall’altra ci sono le politiche europee dell’austerità (per i poveri) e dei respingimenti.

Al centro di questo contrasto, ovviamente, c’è l’atteggiamento verso profughi e migranti: la questione su cui l’Unione europea, già messa a dura prova dalle sue folli politiche economiche, si sta sfasciando. ”Sogno un’Europa – ha detto Francesco – in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito a un maggiore impegno con la dignità di tutto l’essere umano”: un’Europa che sappia trattare con dignità, e alla pari, i suoi figli e i nuovi arrivati: “che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo”. Per farlo “non basta il solo inserimento geografico delle persone”, cioè l’accoglienza, che pure non c’è. Perché “la sfida è una forte integrazione culturale” che ci porti a riscoprire “l’ampiezza dell’anima europea, nata dall’incontro di civiltà e popoli, più vasta degli attuali confini dell’Unione e chiamata a diventare modello di nuove sintesi…La sfida è aggiornare’ l’Europa” che va rifondata con l’accoglienza dello straniero e la capacità di combinare insieme le diverse culture. Cioè, “con la capacità di integrare, la capacità di dialogare, la capacità di generare” mentre oggi “sembra aver perso la sua capacità generatrice e creatrice”, cercando di “dominare spazi più che generare processi di inclusione e trasformazione”.

Alla diagnosi e alla denuncia delle cause Francesco accompagna l’indicazione della cura: “Dobbiamo passare da un’economia liquida, che tende a favorire la corruzione come mezzo per ottenere profitti, a un’economia sociale, che garantisce l’accesso alla terra, al tetto per mezzo del lavoro”. Terra (che vuol dire agricoltura sostenibile, ma anche ambiente), casa (che vuol dire anche comunità) e lavoro sono i temi intorno a cui il papa era andato esponendo il suo progetto sociale fin dal suo incontro con i movimenti popolari del 28 ottobre 2014, per poi svilupparlo nell’enciclica Laudato sì. “Ciò – ha precisato – richiede la ricerca di nuovi modelli economici, più inclusivi ed equi, non orientati al servizio di pochi, ma al beneficio della gente e della società”. Per questo occorre passare da un’economia che punta al reddito e al profitto in base alla speculazione e al prestito a interesse [la finanza, n.d.r.]a un’economia sociale che investa sulle persone creando posti di lavoro e qualificazione”. Una questione che riguarda soprattutto i giovani, emarginati, svalorizzati, costretti a emigrare, impossibilitati a crearsi una famiglia, a cui il papa dedica alcuni passi salienti del suo discorso.

Di fronte a questo atto di accusa di un cristianesimo sulla strada di un rinnovamento radicale contro una élite che sta trascinando l’Europa in un abisso di crudeltà, cinismo, miseria e anche, non dimentichiamolo, stupidità, Schultz ha cercato di giustificarsi mettendo sotto accusa “le forze centrifughe della crisi che tendono a dividerci”, “gli egoismi nazionali” e “la questione dei profughi” perché “era dalla seconda guerra mondiale che non vedevamo più tante persone in fuga in tutto il mondo”.

Come se tutto questo non dipendesse anche dalle politiche che l’Unione ha avallato. E Junker si è limitato a constatare che “la soluzione non è rinchiudersi nel proprio bozzolo”. Non sarà questa classe dirigente a portarci fuori dalla spirale mortifera denunciata da Francesco. Per dare corpo alle indicazioni che promanano dal suo sforzo di rinnovamento ci vuole una rivoluzione che faccia piazza pulita di un establishment completamente asservito ai diktat della finanza e renda protagonisti del cambiamento, in una rinnovata unità ancora in gran parte da costruire, i gruppi, le reti e le mobilitazioni che lavorano, sia sottotraccia che alla luce del sole, spesso inconsapevoli delle responsabilità che gravano su di loro, a realizzare un’Europa completamente diversa. A partire da coloro che sono direttamente impegnati sul fronte più caldo: quello dell’accoglienza e della costruzione di una nuova prospettiva di vita che veda lavorare insieme profughi, immigrati e cittadini europei.

Pubblicato oggi su Il Manifesto

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