Quel sì (sofferto) al 90 percento

4 Maggio 2011

Loris Campetti*

La Bertone non si governa senza e contro la Fiom. L’esito del referendum truffa con cui la Fiat puntava la pistola alla testa dei 1091 dipendenti minacciandone il licenziamento in caso di vittoria dei no, ha dato un esito impensabile senza la decisione delle Rsu Fiom di votare sì per scaricare l’arma di Marchionne: i «sì» sono stati 886, circa il 90 percento dei lavoratori, 111 i «no». Risultato impensabile a Pomigliano o a Mirafiori dove la Fiom è non rappresenta i due terzi dei lavoratori.
Sì per non morire, rifiutando di farsi scaricare addosso la responsabilità per la fuga dalla Bertone, da Torino e dall’Italia; ma la Fiom, dicono, non deve firmare lo scambio tra lavoro e diritti e procedere con le cause contro la Fiat che cancella il contratto e viola Statuto dei lavoratori e Costituzione.
Nell’angolo ora non ci sono i lavoratori Bertone ma la Fiat che non ha più alibi, deve investire e trattare con chi li rappresenta: la Fiom.
Basterà a Marchionne il voto dei lavoratori, accompagnato dall’indicazione delle Rsu Fiom di esprimersi criticamente, rabbiosamente, per il sì? Oppure pretenderà, come alcuni dei suoi collaboratori più assatanati, che Landini in persona vada a prostrarsi al Lingotto chiedendo «per favore, non abbandoni la Bertone e l’Italia»?
Certo la mossa del cavallo ha lasciato senza parole Marchionne, i falchi e le colombe della Fiat, la politica di ogni schieramento. Persino una piccola parte della Fiom (come Giorgio Cremaschi) contesta questa decisione e le Rsu della Bertone, e a chi lo fa risponde Giorgio Airaudo, segretario nazionale: «In questa vicenda, con l’aggressione della Fiat, l’assenza della politica, i sindacati divisi, ogni mossa va pensata e collegata alla situazione generale. In Fiom non c’è una tradizione di unanimismo ma non si può far venir meno la solidarietà verso chi è nell’occhio del ciclone, gli operai e i delegati della Fiom che sono operai anch’essi».
Ieri, di fronte alla fabbrica multicolore per le bandiere di tutti i sindacati, anche quelli che alla Bertone non esistono, si respirava un clima di attesa.
Con l’operaio che confessa: «Ne ho convinti parecchi a votare sì per evitare il plotone d’esecuzione. Ma con mia moglie, anche lei operaia Bertone, non ci sono riuscito».
Dei 7 delegati Fiom tre sono donne, la stessa proporzione «di genere» che c’è in fabbrica, 300 su 1.091. «Tra noi c’è un clima solidale – dice Pino, Rsu Fiom, il millesimo a deporre la sua scheda nell’urna – e siamo riusciti a difendere una comunità in cui le scelte sono sempre state condivise. Qui Marchionne ha fallito nel suo scopo». Cinzia è Rsu degli impiegati, la chiamano «Savoia» perché è una delle poche e pochi piemontesi: «Gli impiegati sono sempre impiegati. Alcuni ho dovuto convincerli a votare sì, con la maggioranza non ho fatto fatica. Il nostro è un ambiente difficile. Ma da noi c’è soltanto un’urna sia per gli operai che per gli impiegati, non sarà possibile notare differenze di comportamento». Un operaio si aggrega al capannello: «Votando tutti sì annulleremo il valore di un referendum-truffa. Marchionne avrà lo stesso consenso plebiscitario che avevano Saddam e Mubarak». Roberta e Simonetta sono Rsu, operaie alla verniciatura. Roberta: «L’ultima volta che ho varcato i cancelli della fabbrica per lavorare è stato nel 2006, ma non qui, alla Pininfarina in distacco». Simonetta: «Anch’io nel 2006 per una commessa della Mini e nel 2008 in distacco alla Pininfarina. Gli operai hanno capito la nostra scelta, per molti è stata una liberazione anche se tutti sanno che siamo vittime di un doppio ricatto. Qualcuno non ce la farà a votare sì, ma io li rispetto, pensiamo la stessa cosa e siamo parte della stessa comunità, nei momenti delle lotte e delle vittorie come nei momenti di difficoltà».
«Ci hanno strappato un sì ma non l’anima – dice quello che non è riuscito a convincere la moglie – ed è con noi, gli stessi di sempre, che Marchionne dovrà continuare a trattare».
Alle 13 aveva già votato l’85% degli aventi diritto, compresi i 300 in distacco in altre aziende Fiat, prima delle 18 le schede infilate nell’urna erano già più di mille, 1010 alla chiusura, il 93%. E prima ancora che venissero scrutinate, si è fatto vivo il segretario generale Cisl, quel Raffaele Bonanni che dando per scontato il no delle Rsu Fiom aveva chiesto a Marchionne di togliere pure la produzione della Maserati dalla Bertone ma di mantenerla in Italia, magari a Mirafiori dove già era stata varata la Newco, la nuova fabbrica dove è vietato scioperare e ammalarsi.
Ieri invece ha detto che la decisione delle Rsu di votare sì segna una «clamorosa sconfitta della Fiom», «un giorno di festa», una vittoria dell’unità sindacale. Aggiungendo che comunque fosse andato il voto lui e Angeletti avrebbero chiesto a Marchionne di mantenere la Maserati alla Bertone. Ai cancelli qualcuno invita Bonanni a «fare un salto da queste parti: glielo spieghiamo noi cosa pensano gli operai Bertone, quelli che stanno con la Fiom». Altro che rottura, la scelta è maturata congiuntamente e sono gli stessi operai che votano sì a dire a Landini di non firmare un ricatto doppio, e di andare avanti con le cause contro la Fiat.
Eppure, in molti non capiscono la differenza tra un’organizzazione sindacale e dei delegati eletti dai lavoratori a cui l’organizzazione deve rispondere. Il primo a non capirlo è Marchionne, che a differenza di Mirafiori e Pomigliano non ha chiesto il referendum alla Bertone dove i due terzi dei dipendenti sono della Fiom. Non sa Marchionne, come non lo sanno Bonanni, Angeletti e molti altri, che i padroni delle Rsu non sono la Fiom, la Fim, la Uilm o il Fismic ma i lavoratori stessi. Almeno in casa Fiom funziona così, ricordano Airaudo e Federico Bellono, segretario torinese. Per questo i 10 (su un totale di 15) Rsu Fiom, appena finito lo scrutinio hanno chiesto la verifica del mandato «perché non siamo riusciti a difendere lavoro e diritti e a strappare un buon accordo, come ci avevano chiesto i lavoratori. Oggi è convocata la riunione di tutte le Rsu, il Fismic fa sapere che è contro la rielezione. Peccato che il regolamento preveda che il voto è obbligatorio se la metà più uno dei delegati si dimette. E quelli Fiom sono i due terzi.
Sottovoce, ai cancelli ci spiegano che «il 65% dei consensi alla Fiom potrebbe aumentare ancora. Altro che clamorosa sconfitta». Il sindacato giallo, Fismic già Sida, attacca la Fiom di doppiezza mentre Sacconi applaude sostenendo che si conferma la validità degli altri referendum truffa di Pomigliano e Mirafiori, senza dire che Marchionne aveva annunciato la riconsegna della Bertone ai commissari liquidatori in caso di vittoria dei no: niente più cassa integrazione come negli ultimi 6 anni, solo 1091 licenziamenti.

da ‘ il manifesto ‘, 4.5.2011’

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