Radici

16 Marzo 2021

[Amedeo Spagnuolo]

“Ho girato abbastanza il mondo da sapere che tutte le carni sono buone e si equivalgono, è per questo che uno si stanca e cerca di mettere radici, di farsi terra e paese, perché la sua carne valga e duri qualcosa di più di un comune giro di stagione.” Quando ho letto per la prima volta la luna e i falò di Cesare Pavese avevo circa quindici anni e nello scegliere quel capolavoro dalla libreria stracolma di mia sorella, mi ero fatto guidare dall’istinto anzi dall’attrazione che aveva esercitato su di me il titolo di quel libro che continuo ad amare ancora oggi.

Nel variegato mondo di significati costruito da Pavese in questo che, secondo me, è il suo miglior libro, emerge con forza l’importanza “strutturale” che ha per ogni individuo il suo legame con le radici che però nella visione di Pavese assume un significato molto peculiare egli, infatti, quando parla delle radici non si riferisce, principalmente, al luogo in cui siamo nati e quindi a dove il destino ha deciso di farci vivere, piuttosto ai legami profondi che, in qualsiasi luogo, siamo capaci di creare in modo che la nostra vita abbia un senso nonostante la sua durezza. In parte è proprio quello che è successo a me che, pur essendo nato a Napoli e avendo in quella città delle radici molto profonde, si è ritrovato poi a condurre la sua vita in Sardegna pensando, inizialmente, che sarebbe stata una destinazione provvisoria e che invece è diventato il luogo nel quale ho affondato nuove radici riuscendo a mantenere ben salde quelle vecchie. Tutto questo è accaduto, a parer mio, proprio perché in entrambi i luoghi, la città di Partenope e la capitale barbaricina, mi è capitato di creare legami molto forti che hanno, appunto, come dice Pavese, dato un significato alla mia esistenza. La premessa sulle radici mi serviva per far comprendere meglio al potenziale lettore la sofferenza che mi assale quando osservo la desolazione che negli ultimi anni sta attanagliando Nuoro, principalmente a causa del fenomeno dello spopolamento che sta interessando il capoluogo barbaricino e tutto il Centro Sardegna. Come si può, infatti, mantenere le radici ben salde in un luogo che sta lentamente morendo economicamente e socialmente sotto lo sguardo indifferente delle istituzioni locali e nazionali? Da un anno a questa parte, quasi a voler dare il colpo di grazia all’economia fragile della Barbagia, è poi arrivato il Covid che sta devastando tutto il mondo e che nel nostro territorio, insieme alla la tragedia dei tanti che ci hanno lasciato, sta contribuendo in maniera determinante a far scomparire una dopo l’altra centinaia di attività commerciali e artigianali. Il Covid però, si spera, prima o poi andrà via, ma dopo il suo nefasto passaggio cosa resterà del fascino della civiltà del Centro Sardegna?

I dati sullo spopolamento nuorese sono impietosi, tra il 2015 e il 2020 Nuoro ha perso 2308 abitanti pari al 7% della sua popolazione, questo significa che il capoluogo barbaricino sta attraversando una crisi demografica senza precedenti che di questo passo lo porterà all’estinzione. Questo fenomeno però è collegato strettamente all’altra ferita profonda che fa soffrire la Barbagia ovvero la dispersione e l’abbandono scolastico, infatti, a causa della grave carenza di percorsi specifici di formazione e di sbocchi professionali coerenti con il territorio, i giovani sono costretti ad abbandonare la propria terra d’origine per non farvi più ritorno. Se a questo aggiungiamo l’altissimo numero di diplomati che scelgono di frequentare l’università fuori dalla Sardegna e l’altrettanto alto numero di “neet” cioè di giovani che non studiano e non lavorano, il quadro generale diventa veramente desolante.

In questo panorama grigio e povero di prospettive porta un po’ di luce il progetto della “Rete delle associazioni – comunità per lo sviluppo” formato da 25 associazioni presenti in tutta l’isola che si sono alleate per indicare quali possono essere le soluzioni che potrebbero salvare il Centro Sardegna dallo spopolamento. La Rete ritiene indispensabile un piano straordinario per sostenere le aree interne che si deve basare su tre capisaldi fondamentali: un efficiente e moderno servizio sanitario accessibile a tutti i sardi; un sistema formativo delle aree interne che, tenendo conto delle specificità presenti sul territorio, crei una sana sinergia tra territori, università e ricerca; Il diritto alla mobilità, per le persone e le merci con un piano regionale dei trasporti che affronti anche, finalmente in maniera seria, il problema della continuità territoriale.

È ovvio che per attuare un progetto di sviluppo così impegnativo è necessario che a guidarlo sia una classe politica di spessore con competenze reali che allo stato attuale non si riesce assolutamente a vedere nella prassi politica dell’attuale governo regionale guidato da Christian Solinas. A conferma di ciò è sufficiente osservare in che modo è stata gestita, fino a questo momento, l’emergenza sanitaria della nostra regione. Insomma, le soluzioni per risolvere la profonda crisi nella quale è caduta la Sardegna ci sono. Innanzitutto c’è bisogno di una classe dirigente degna di questo nome che possa sostituire quella attuale che, pur essendo formata anche da individui nati in Barbagia e dintorni, evidentemente non ha a cuore il destino della Sardegna centrale anche perché, probabilmente, in essa, come si diceva in precedenza, i suddetti individui non hanno mai affondato le loro radici, preferendo a quelli che Pavese definiva legami forti e profondi, la gestione avida ed egoistica del potere.       

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