Ritorno al passato

16 Ottobre 2008

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Manuela Scroccu

Il fantasma del passato viene evocato sempre più spesso nell’odierno scenario politico. In maniera nostalgica e propagandistica, questo governo di destra celebra un’ Italia mitizzata che potremmo collocare genericamente “prima del Sessantotto”. Un’Italia in cui ci si toglieva il cappello di fronte al maestro di scuola, in cui si portava il grembiule, in cui si rispettavano i genitori, in cui nessun vento di ribellione aveva ancora intaccato lo status quo e la vita scorreva tranquilla. Un’Italia che in realtà non è mai esistita, costruita a tavolino dalle menti dei propagandisti – pubblicitari di regime e che sembra uscita dalle immagini di Carosello, o peggio da una fiction televisiva di quart’ordine. Un’immagine fortemente rassicurante, capace di esercitare un salutare effetto anestetizzante su una società sempre più impaurita e spiazzata di fronte alla complessità della modernità. L’esaltazione delle “buone e vecchie cose di una volta” non ancora intaccate dal lassismo del Sessantotto, dal sindacato, dagli immigrati, dalla prostituzione di strada (che poetiche le care case chiuse di un tempo!), utili capri espiatori accomunati confusamente in un unicum indistinto individuato come causa del degrado, è solo apparentemente in contrasto con il culto della velocità e del nuovo che hanno costituito l’humus culturale del berlusconismo. In realtà, il nuovismo ne rappresenta proprio l‘altra faccia della medaglia e non è altro che un nuovo trasformismo, vecchia malattia cara all’Italia, geneticamente modificato dal possesso e dall’uso spregiudicato dei mezzi di comunicazione televisivi. Non deve sorprenderci, dunque, quest’uso strumentale del passato il quale diventa un’immagine retorica a uso e consumo del presente. Tale visione, in realtà, rifiuta la storia e i meccanismi che consentono di ricostruire la  memoria storica del paese.  Una società costruita su queste basi non ha bisogno di riconoscersi in radici concrete come quelle che affondano nella Resistenza e tanto meno nel Risorgimento. Anzi la realtà storica, con le sue complessità, può diventare  un inutile e pesante orpello di cui liberarsi, per trasformarsi in un “prodotto” più vendibile, in una storia “immaginaria”. Tale meccanismo ha contagiato anche esponenti della sinistra in cerca di normalizzazione, che si sono prestati a flirtare in modo ambiguo con la teoria del riconoscimento delle “ragioni dei vinti” in nome di una non meglio specificata pacificazione nazionale. A questo passato che si distacca dalla storia e che si ridefinisce a seconda delle necessità, fa da contraltare una democrazia che, paralizzata dal conflitto d’interessi, dall’urto deflagrante con la “maledetta” globalizzazione e dall’ossessione della sicurezza, sta attraversando una profonda crisi di sistema. L’opposizione è uscita, nei fatti, dal Parlamento (sempre più svilito nei suoi poteri e nelle sue prerogative). La sinistra, sempre più parcellizzata, sembra smarrita e lo stesso vocabolo appare, ormai, del tutto svuotato e privo di significato (si legga, a tal proposito il bel saggio “Sinistra senza sinistra”, appena uscito per Feltrinelli). Non a caso, in assenza di chiavi di lettura, molti vanno con il pensiero al ventennio fascista paventando il ritorno dell’uomo solo al comando. Le violenze contro gli extracomunitari, che hanno lasciato indifferenti molti cittadini “onesti”, rimandano ai tempi nefasti della pubblicazione del Manifesto sulla razza del 1938. Gli attacchi ai sindacati e al mondo del lavoro ci riportano a tempi delle manganellate agli scioperanti e le minacce alle voci libere ci fanno pensare all’olio di ricino ai dissidenti. Tali  considerazioni, a guardar bene, tradiscono la stessa paura che domina la società, in particolare di quella parte che si riconosce nella sempre più liquida sinistra, l’incapacità di tracciare una strada alternativa e di colmare un impressionante vuoto politico. Un saggio uomo di lettere come Asor Rosa ha fatto storcere il naso a molti fautori della normalizzazione e del dialogo sostenendo, in un suo articolo, che il magnate di Arcore è peggio del dittatore di Predappio. Attraverso l’analisi puntuale della continuità storica della nazione, dall’Unità ad oggi, l’anomalia italiana, anche nei confronti del fascismo, diventa ben visibile: una dittatura di tipo nuovo, democratico-populista, fondata non sulla violenza e sulla coercizione esplicite, ma sul consenso esercitato con astuzia e con il sapiente uso di un potere mediatico senza precedenti. Un’ideologia potente che ha trasformato i cittadini in consumatori, la collettività in una somma di solitudini, sempre più divise e incapaci di pensare al bene comune. La storia compie percorsi tortuosi, e non sempre nella giusta direzione.

1 Commento a “Ritorno al passato”

  1. Cristina Ronzitti scrive:

    “Un’ideologia potente che ha trasformato i cittadini in consumatori, la collettività in una somma di solitudini, sempre più divise e incapaci di pensare al bene comune.” Qualche giorno fa durate il tg di rai 1 (nemmeno su rai 3) Carlo Debenedetti (non Bertinotti o peggio Agnoletto) ha detto che siamo un popolo che non vuole riconoscere le proprie crisi e i propri problemi e che è per questo che vota Berlusconi, un uomo appunto che guida una coalizione che sta trasformando la misitificazione dei fatti in un’arte. Ne abbiamo tutti avuto sotto gli occhi la prova, e aggiungo più volte, nei soli ultimi 10 giorni: un esempio a caso la dichiarazione di inviare l’esercito nelle scuole (l’ho vista alla tv) e la successiva smentita accompagnata dall’accusa rivolta verso la stampa di aver diffuso notizie false con l’obiettivo di infiammare le folle …….

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