Sardegna e Costituzione

18 Agosto 2016
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Andria Pili

La Costituzione italiana non è la più bella del mondo. Per quanto riguarda i diritti sociali e ambientali e la proiezione ad un ordinamento politico-economico più giusto, le costituzioni sorte dalle rivoluzioni bolivariane sono quelle cui ogni progressista dovrebbe ispirarsi. I principi fondamentali della costituzione portoghese, con il riconoscimento del diritto dei popoli all’autodeterminazione e ad insorgere contro l’oppressione, sono migliori di quelli italiani.

In Sardegna, la Costituzione come base di una «italianità civica» è una delle narrazioni dominanti dell’italianità dei sardi – la più amata dalla Sinistra unionista – inserita entro il processo di alienazione del nostro popolo. Per un italiano, l’appartenenza all’Italia passa per un legame immaginario tra gli individui della penisola con la condivisione di eventi chiave che hanno avuto luogo in questo territorio (la Romanità, l’Umanesimo e il Rinascimento, il Risorgimento e la Resistenza), un’arte ed una letteratura in una lingua comune.

Per un sardo, data la realtà oggettiva manifesta almeno per geografia quanto per l’uso di una lingua differente, l’italianità è qualcosa cui si deve tendere per migliorare la propria condizione subalterna. Prima per la borghesia sarda del XIX secolo, poi per tutta la società, italianità è sinonimo di modernità e progresso; per contro, la sardità è qualcosa da rifiutare, uno stigma da levarsi di dosso. Ciò è evidente innanzitutto nella diglossia che ha relegato l’uso della lingua sarda ai contesti ritenuti inferiori e la lingua italiana in tutti gli ambiti socialmente rilevanti. Italia come porta verso il mondo. Sardegna come isolamento.

Non a caso, il docente di Diritto Costituzionale Pietro Ciarlo ha parlato della Costituzione come «identità degli italiani», stabilendo un legame necessario tra Costituzione e Nazione italiana. Come se gli italiani non fossero stati tali prima del 1948. Si tratta di un ragionamento contraddittorio che si sposa bene con la colonizzazione dell’immaginario dei sardi, i quali sono da quasi due secoli chiamati ad aderire ad una nazione estranea alla propria. Il prorettore di UniCa ha comunque ragione sulla base di quanto contenuto nel testo costituzionale.

Infatti, sono contenuti due articoli fondamentali: l’unità e indivisibilità della Repubblica (art.3); ogni parlamentare rappresenta la Nazione (art.67). Stato e Nazione sono identificati indissolubilmente: la Repubblica non è un patto tra differenti comunità nazionali ma l’assorbimento di queste entro una nazione monolitica, che altro non è se non il velo ideologico di uno Stato unitario che ha storicamente rappresentato gli interessi del capitale settentrionale. Malgrado – mediante la celebrazione della Resistenza e dell’autonomia speciale – si cerchi di segnare un netto distacco dal passato sabaudo e fascista, lo Stato italiano conserva la sua funzione; allo stesso tempo, la Sardegna rimane nella sua condizione di colonia interna, così come la Questione Meridionale è sempre irrisolta. Molto interessante la questione relativa alle minoranze linguistiche (art.6), visto che per il riconoscimento del sardo come tale è stata necessaria la legge 482/1999, a differenza delle lingue ufficiali di altri Stati dell’arco alpino (francese, sloveno, tedesco).

Come porre un punto di vista indipendentista di fronte ad una riforma della Costituzione? Per le ragioni su esposte, distinguendosi dallo sciovinismo sacralizzante la Carta del ’48, ritenuta dotata di principi fondamentali irrinunciabili ed eterni; inoltre, rifiutando un atteggiamento settario ed estremista. Insomma, andrebbe rifiutata senza appello una riforma in senso centralista ma andrebbe sostenuta una riforma in senso opposto, verso l’autogoverno ed il riconoscimento della nostra nazionalità.

Un approccio meramente strumentale, in nome della stessa ragione che guida una lotta politica democratica e non violenta per l’emancipazione: creare le condizioni che possono favorire il processo di liberazione nazionale. Trovo sbagliato considerare l’autonomia – come l’indipendenza – in un’ideologia per sé stessa; si tratta di uno strumento, il cui utilizzo in senso reazionario o progressista dipende innanzitutto dalla forza di un movimento di liberazione nazionale e sociale. Il SVP a Bolzano, il PNV in Euskadi, CiU in Catalunya, l’autonomismo trasversale in Sardegna hanno mostrato come un’istituzione autonoma possa essere usata per il benessere delle élite ed il controllo delle forze centrifughe.

Al contrario, il recente processo indipendentista catalano ed i partiti nazionalisti in Scozia e Quebec hanno saputo utilizzare un’analoga condizione di autonomia verso la rottura con lo Stato centrale, con un legale referendum per l’indipendenza negli ultimi due casi. I nazionalisti còrsi sono arrivati al governo di una Collettività Territoriale con un’assemblea meramente deliberativa, avviandosi a trasformarla da strumento clanista e clientelare a strumento per gli interessi della maggioranza del popolo corso, entro un’evoluzione istituzionale che passerebbe anche per l’inserimento dell’isola nella Costituzione Francese, la cui revisione è ritenuta necessaria al fine di permettere la devoluzione di competenze votate dall’Assemblea Còrsa stessa.

La riforma Renzi-Boschi, con l’eliminazione della legislazione concorrente, rimette in discussione le competenze che la Regione Autonoma Sarda ha conquistato nel 2001, ad esempio su istruzione e ricerca: la clausola di salvaguardia metterebbe al riparo le autonomie speciali sino alla revisione degli Statuti, secondo una «previa intesa» con lo Stato le cui modalità non sono chiare. Tutto dipenderà dalla forza contrattuale e dall’interesse della classe politica autonomista; probabilmente, in Sudtirol e Valle d’Aosta possono anche permettersi una certa tranquillità – data l’egemonia esercitata dai partiti regionalisti – non così la Sardegna. Inoltre, gli effetti del riassetto centralista – con la clausola di supremazia e l’esclusività statale in importanti campi, come in materia energetica – potrebbero comunque sentirsi nelle autonomie speciali, come fatto notare da Esther Happacher, docente di diritto dell’autonomia consultata da Alto Adige e Valle d’Aosta.

Un partito indipendentista al governo dell’isola si sarebbe inserito nel dibattito per la revisione costituzionale, cercando di inserire le vertenze principali con lo Stato entro una lotta politica per ottenere maggiori diritti e competenze: piena sovranità su lavoro e istruzione; libertà dalla presenza militare; potere fiscale; bilinguismo perfetto. La Giunta Pigliaru, dopo essere stata inerte, si è schierata per il Sì a convenienza del partito di governo. La crescita del movimento sardo di emancipazione è l’unica garanzia per un uso progressista dell’autonomia; tuttavia, per farlo, è necessario che essa ci sia.

Foto Roberto Pili

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