Serve un New Deal

16 Marzo 2013
Stefano Deliperi
Sta per iniziare la nuova legislatura.  Apre il Parlamento scaturito dalle recenti elezioni politiche in Italia. Attese da tempo. Gli italiani hanno votato, come il Cielo ha voluto.
Il centro-sinistra (P.D. – S.E.L. – Centro Democratico – S.V.P.) ha prevalso di misura alla Camera dei Deputati, al Senato della Repubblica c’è la totale ingovernabilità.
Stavolta sarà molto difficile anche acquistare o anche prendere in leasing senatori o deputati, come secondo la magistratura inquirente avvenuto negli anni scorsi.
La novità, prevedibile, è stata il MoVimento 5 Stelle.   La proiezione personalistica di Beppe Grillo e di Gianroberto Casaleggio, secondo tanti, la rivolta civile, secondo molti.
La svolta, prevista, è arrivata, in ogni caso.   L’Italia sarà comunque diversa.
Forse torneremo alle urne a breve.    Troppi veti e poche proposte concrete non bastano per mettere insieme il pranzo, la cena e il futuro per decine di milioni di italiani.
Però, nel caso in cui centro-sinistra e M5S vengano colpiti da insana voglia di aiutare davvero gli italiani, alcune proposte per risparmi ed equilibrata crescita si possono fare.
Alcune fra tante: dal taglio di qualsiasi contributo pubblico ai partiti (fra l’altro già deciso con referendum nel 1993, il cui voto venne squallidamente aggirato) e dalla tassazione degli immobili ecclesiastici adibiti ad attività commerciali all’assegnazione onerosa mediante gara ad evidenza pubblica delle frequenze televisive digitali, dalla tassazione delle transazioni speculative sui mercati valutari (c.d. Tobin tax) dal drastico taglio di tutte le opere pubbliche inutili e devastanti per l’ambiente (es. ponte sullo Stretto di Messina, nuova linea alta velocità Torino – Lione, diga Monte Nieddu-Is Canargius, ecc.).
C’è solo l’imbarazzante ònere della scelta e le entrate e i risparmi sarebbero nell’ordine di decine di miliardi di euro, rendendo assolutamente non necessari gli inasprimenti fiscali ai danni di milioni di lavoratori, pensionati, inoccupati, sottoccupati, disoccupati, infanti.
Ma tanto, tantissimo, potrebbe esser fatto dalle regioni e dagli enti locali. Anche dalla Regione autonoma della Sardegna. Anche qui qualche esempio.   Partiamo dalla crisi di uno dei settori portanti dell’economia sarda, l’edilizia.
E’ uno dei settori portanti – è bene ricordarlo – anche perché ben il 38,2% della popolazione residente ha solo la licenza media e ben il 24,5% solo quella elementare o, addirittura, alcun titolo.   Vuol dire che il 62,7% dei residenti in Sardegna in età lavorativa (dai 15 anni in poi) è privo di qualifica professionale (da Sardegna Statistiche, anno 2009).
L’edilizia in Sardegna è in crisi.  L’hanno da tempo certificato i sindacati e recentemente anche l’A.N.C.E.    Tanto per cambiare, rappresenterebbe l’alibi per dare l’assalto speculativo alle coste e alle altre aree d’interesse ambientale. Storia vecchia e stupida.
In tre anni (2008-2011) il comparto dell’edilizia sarda ha perso ben il 40,86% degli addetti. Si è passati da 44.032 operatori del settore, censiti dalle Casse Edili sarde, a “soli” 26.176.    Le imprese del settore sono passate da 7.978 a 6.100, con una perdita secca del 23,35% (dati sindacati del settore Fillea C.G.I.L., Filca C.I.S.L., Feneal U.I.L.).
Ma è solo una parte.   Basta ricordare la chiusura delle attività della Scuola Edile di Cagliari, ente di formazione e di qualificazione delle maestranze impegnate nell’edilizia.  Sembrerebbe un aspetto secondario, marginale, in realtà costituisce una “spia” di una situazione molto più profonda.   Viene meno l’aspetto fondamentale per il necessario dinamismo del settore, la formazione, la qualificazione e la riqualificazione professionale.
Oggi quello che è in crisi è il modello tradizionale dell’impresa edilizia e dell’operatore dell’edilizia. Mettere un mattone sopra l’altro – volendo estremizzare e semplificare – significa consumare risorse e territorio, significa disporre di ricchezze inesistenti da investire, significa contare su acquirenti scarsi e privi di liquidità. Non è consentendo le peggiori speculazioni immobiliari e dilapidando il patrimonio ambientale collettivo che si riesce a superare una crisi ormai strutturale.
Spazio per le imprese e i lavoratori nel settore c’è ed è ampio nelle ristrutturazioni del patrimonio edilizio esistente, pubblico e privato, nelle ristrutturazioni per il miglioramento della qualità energetica, nel risanamento e riqualificazione dei centri storici.  Pensiamo soltanto alla realizzazione di tutti quegli interventi legati alla riqualificazione ed efficienza energetica (coibentazione, tetti fotovoltaici, sistemi di riciclaggio idrico, manutenzioni, ecc.) che possono impiegare personale adeguatamente riqualificato.
Ma non solo.
In un vero e proprio new deal sardo dovrebbe assolutamente trovare adeguato spazio un piano di sistematico risanamento idrogeologico, con interventi di consolidamento e rinaturalizzazione di costoni, pendii, letti fluviali, demolizioni di opere incongrue e ripristini ambientali, forestazioni naturalistiche.  Un piano di salvaguardia del suolo e di protezione del territorio che coinvolgerebbe migliaia di progettisti, tecnici specializzati e maestranze con obiettivi realmente di pubblico interesse.
Analogamente un piano per la ristrutturazione e il risanamento delle reti idriche isolane, che attualmente perdono circa l’85% dell’acqua trasportata (dati Ordine dei Geologi, ottobre 2011).
Centinaia di milioni di euro di provenienza comunitaria del piano operativo FESR 2007-2013 troverebbero la migliore forma di investimento.    Evitando i rischi di disinvolti giochi finanziari da centinaia di milioni con i fondi comunitari sulla pelle dei sardi.
Come si vede, le opportunità ci sono, il sostegno finanziario anche.    Finora è mancata la volontà e l’intraprendenza di un’Istituzione regionale che dovrebbe rappresentarci tutti e spesso, invece, ci fa vergognare d’essere sardi.
E – come ha autorevolmente proposto l’economista Giorgio Nebbia – non sono altro che ambiti d’intervento comuni a tutta l’Italia.
Un vero e proprio new deal nazionale, concreto e senza fronzoli, forse keynesiano, che farebbe solo del  bene all’ambiente, all’economia, all’occupazione.

1 Commento a “Serve un New Deal”

  1. Un New Deal per l’Italia. | Gruppo d'Intervento Giuridico onlus scrive:

    […] di un New Deal ha bisogno oggi […]

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