Le aziende agricole

16 Febbraio 2008

Gianluca Cogoni

Per una volta, il lavoro si è preso una rivincita sulle speculazioni! Martedì 12 febbraio, la nota vicenda delle aste giudiziarie ai danni di numerosi agricoltori e allevatori sardi è stata segnata da un episodio che rassicura per il futuro. Come si ricorderà, tutto ebbe inizio nel 1988, quando la Regione sarda promulgò una legge (la n. 44/88) con la quale finanziava, a tassi agevolati, mutui alle aziende agro-pastorali sarde. Fino al ’92 ciò accadde per quattro volte, senza che però nessuno, in Regione, si ricordasse di far notificare tali provvedimenti dalla UE, come prevedevano le leggi comunitarie. Quando questo avvenne, con la legge regionale n. 17/92, sùbito partì da Bruxelles una procedura d’infrazione, con la motivazione, fra le altre di natura più strettamente finanziaria, che “gli aiuti in questione fossero atti a falsare la concorrenza ed alterare gli scambi tra gli Stati membri”. La lunga istruttoria fra Italia e UE si risolse con la sconfitta della prima e l’obbligo di recuperare le somme erogate. Da quel momento, le circa 7.000 aziende che, in gran parte, avevano chiesto i mutui non tanto per apportare migliorìe alle proprie aziende, quanto per colmare debiti precedentemente contratti, sovente con gli stessi istituti di credito eroganti, si trovano a dover restituire le somme senza la copertura della Regione. Per diversi anni, tuttavia, le banche si limitano a esigere dalle aziende solo gli interessi; qualcosa cambia solo negli ultimi tempi, quando, casualmente, il Banco di Sardegna, che detiene la quasi totalità dei crediti, passa alla Banca popolare dell’Emilia Romagna. Nel giro di pochi mesi, le banche si ricordano degli oltre 700 milioni di euro di crediti e decidono di riscattarli nel minor tempo possibile, procedendo in sede legale e portando alla vendita all’asta fra le 5.000 e le 7.000 aziende (per un totale di circa 30.000 persone coinvolte). Immediatamente si organizza una protesta, col paese di Decimoputzu (CA) e Altragricoltura in prima linea, che porta, dopo settimane di durissima lotta e innumerevoli vendite all’incanto, a un’interruzione delle aste fino al 31/7/2008, come previsto dall’art. 47 della Finanziaria. In questi giorni, tuttavia, qualcosa si è aggiunto: Francesca Pinna, giovane imprenditrice avicola moglie e madre di tre figli, ha ottenuto, dal Tribunale ordinario di Cagliari, la sospensione dello sfratto dall’immobile nel quale abita con altre due famiglie (per un totale di 15 persone). Significative le motivazioni: il Tribunale ha ritenuto che la somma con la quale è stato aggiudicato l’immobile sia ingiusta e non risponda al vero prezzo di mercato. Nell’udienza del 6 giugno 2007, infatti, nonostante da una consulenza tecnica d’ufficio risultasse che nel fabbricato vi fossero due unità immobiliari abitative autonome con cortile, l’immobile venne posto in vendita semplicemente come “area edificabile con sovrastante fabbricato” (di cui, peraltro, non si specificava neppure l’uso a civile abitazione), “escludendo di fatto tutti quelli –la maggior parte – interessati a comprare una singola unità abitativa e per i quali il bene così come posto all’asta non era appetibile” e portando all’acquisto per la modestissima somma di 102.00 euro (a fronte di una stima di circa 600.000 e di un mutuo iniziale, contratto nel 1984, di 36 milioni di lire). Intensa, naturalmente, la soddisfazione delle persone coinvolte in prima persona, ma anche dei numerosi attivisti (oltre che di Altragricoltura, di IRS, Cagliari Social Forum, Comitato antiG8), che il 12 febbraio, dalle prime luci dell’alba, presidiavano il cortile in attesa dell’ufficiale giudiziario. C’è da chiedersi come sia possibile che a pagare le colpe di decenni di mancate politiche agricole, limitatesi a offrire aiuti a pioggia e non incentivi per la ristrutturazione produttiva, secondo la ben oliata macchina clientelare, siano soltanto migliaia di agricoltori. Come si può pensare di salvaguardare un’isola, e, come si proclama spesso, il suo territorio, già mortificati da Piani di Rinascita falliti, turismo predatorio ed emigrazione, senza tener conto del ruolo fondamentale svolto dall’agricoltura nella conservazione dell’ambiente e della cultura originaria? E qui l’analisi deve allargarsi alle politiche perseguite a livello italiano, che, da un lato, propagandano la tutela del made in Italy agro-alimentare, ma, dall’altro, permettono prima che poche grandi aziende s’impossessino delle piccole strangolate da prezzi dei prodotti agricoli fermi da decenni, e poi che vendano le loro stesse aziende per investire i capitali nella più redditizia speculazione finanziaria. Emerge con sempre più chiarezza la tragica insostenibilità alla quale andiamo incontro: un Occidente principale mercato di consumo dei prodotti agroalimentari, privo però di aziende agricole, localizzate dalle poche multinazionali laddove il lavoro costa meno e i controlli sanitari sono rari.

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