SI

16 Marzo 2016
trivelle
Marco Ligas

Non lo scopriamo oggi ma è innegabile che il nostro Presidente del consiglio sia una persona compiacente: magari non verso gli elettori, perché li considera un intralcio alla democrazia così come lui la intende, ma sicuramente è compiacente nei confronti di chi detiene il potere. Con loro non si tira mai indietro. Anzi talvolta mostra una sensibilità inaspettata che mette in evidenza soprattutto nei rapporti con la Confindustria, con chi coordina e dirige le politiche finanziarie e oggi con i petrolieri.

Usando queste prerogative ha imposto che la data in cui si svolgerà il referendum sull’uso delle trivelle sarà il 17 aprile. Poteva benissimo scegliere la stessa data in cui si svolgeranno le amministrative ma ha preferito anticiparla.

Non è sbagliato perciò definire questa decisione una furberia, perché i referendum, si sa, non sempre sono valutati iniziative importanti nella vita politica del paese; non a caso spesso la partecipazione dei votanti non raggiunge le percentuali necessarie, soprattutto se i tempi di informazione dei cittadini sono limitati come in questo caso.

Se il referendum non raggiungerà il quorum i petrolieri potranno dunque essere soddisfatti: continueranno sine die le loro attività nei nostri mari, li inquineranno in nome di una filosofia fondata sulla crescita e sull’aumento del PIL e, naturalmente, non tralasceranno le considerazioni sulle notevoli opportunità lavorative che questa attività garantirà. Il nostro presidente, orgoglioso e col solito atteggiamento saccente, continuerà ad informarci che il paese è destinato a raggiungere risultati clamorosi.

Intanto non si è preoccupato di comunicare che la separazione delle due consultazioni elettorali comporterà una spesa aggiuntiva di circa 300 milioni di euro, né capisce o finge di non capire quanto sia irresponsabile far gravare sulla comunità una spesa di queste dimensioni del tutto evitabile. Tanto più in questo periodo quando le condizioni di vita di milioni di persone peggiorano.

È di queste settimane infatti la notizia relativa alle restrizioni dei servizi sanitari. Non smetteremo di ribadirlo: d’ora in poi chi avrà bisogno di cure specialistiche dovrà, se potrà, pagarsele interamente e non limitatamente ai costi del tiket; chi non ne avrà le possibilità sarà costretto ad arrangiarsi e, quindi, a subire le conseguenze di un servizio sanitario sempre più inadeguato.

Già queste considerazioni sono sufficienti per contrastare il disegno di Renzi e del suo governo, teso a sostenere le iniziative dei petrolieri mentre ignora i bisogni del paese.

Ci sono anche altre ragioni che inducono a votare SI al referendum del 17 aprile. È innanzitutto indispensabile evitare il pericolo di un’ulteriore dispersione di petrolio nei nostri mari; questi processi, se realizzati, provocheranno enormi danni non solo di natura ambientale, ma anche economica con un notevole ridimensionamento delle attività produttive non legate necessariamente al petrolio e localizzate nelle zone costiere. Ed è paradossale che chi parla di nuova occupazione non prenda in considerazione queste ipotesi e le sue conseguenze.

Né irrilevanti sono i pericoli relativi all’estrazione del gas perché la fauna marina non ne trarrà certamente dei miglioramenti.

È vero che la vittoria del SI al referendum, come ricorda Stefano Deliperi in questo numero del manifesto sardo,  non modificherà la possibilità di compiere nuove trivellazioni oltre le 12 miglia marine, quindi avrà effetti limitati; però è fondamentale dare un segnale politico a questo governo arrogante e impopolare: la politica energetica non può offuscare la tutela ambientale e dell’intero ecosistema.

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