Spettacolo. Quel fiume in secca

16 Maggio 2008

Rita Atzeri e Mario Faticoni

Nella società che ci circonda l’elaborazione del concetto di valore, merito, professionalità sembra trovare accoglienza in ogni settore meno che in quello artistico. Perlomeno è difficile trovare critici disposti ad argomentare su questo tema quando il riferimento specifico è allo spettacolo dal vivo.
Il compito di invitare la classe politica alla riflessione devono ancora una volta caricarselo sulle spalle gli operatori che quel settore animano con dedizione e competenza. Settore non marginale, non foss’altro per la quantità di risorse che gli vengono destinate, tra le quali bandi pubblici da milioni di euro su fondi europei, ministeriali e regionali susseguiti negli anni e portati avanti a scapito della manifesta pochezza dei progetti realizzati con la giustificazione unica di non lasciarsi sfuggire dei fondi. Questa volta la pietra dello scandalo è il progetto di “Un’isola in festival”, nato su bando del Mibac, cofinanziato dalla Regione Sardegna e dalle otto Provincie, gestito come braccio operativo dall’Ente Lirico di Cagliari, oltre due milioni di euro utilizzati per “stimolare la diversificazione dell’offerta culturale e la valorizzazione della programmazione legata alla contemporaneità, con particolare riguardo ai giovani e alla sperimentazione di nuovi linguaggi artistici”. La ricetta perché l’obiettivo venisse raggiunto è stata identificata nella creazione di un cartellone atto a far circuitare sul territorio regionale la produzione di spettacolo, sia esso di musica, teatro o danza, di compagnie filodrammatiche, associazioni turistiche Pro Loco, scuole di danza, Comuni….. e qualche professionista. Una diversificazione in piena regola, non c’è che dire, servita con assoluta discrezionalità, mancando trasparenza e quantificabilità nei pochi criteri, generalissimi, formulati. Niente di diverso dalla vecchia contribuzione a pioggia ex Legge 17 e dalla confusione tra professionalità e amatorialità ricevuta in eredità dall’Art. 56. Allora come oggi è la politica a decretare sulla testa di chi dove essere deposto l’alloro. Ma oggi c’è finalmente una legge sullo spettacolo, la n° 18, nei cui regolamenti attuativi potrebbe riversarsi un’inversione di tendenza, che premi qualità e merito, così che il caso “Un’isola in festival”, sotto accusa anche per improvvisazione e arbitrarie esclusioni, possa essere rubricato come un incidente, sia pur clamoroso, e superato. La Sardegna dello spettacolo attende altro: scuole di teatro qualificate, vaglio della qualità artistica tramite giudizi critici giornalistici, cimento della produzione in rassegne e concorsi con giurie all’altezza, e spazi informativi nei media ragionati, non episodici o di colore o amatoriali, con accordi tra istituzioni ed editoria.
Poi, certo, ha bisogno di circuitazione, ma congegnata ben diversamente. Esistono già circuiti teatrali in Sardegna, anch’essi non esenti da critiche. E’ un settore nevralgico, snodo di tante esigenze, risorsa democratica per la diffusione dell’arte dello spettacolo, spazio enorme per energie riformatrici. Tutta la grande produzione venutasi anche rocambolescamente a creare in questi anni potrebbe trovare spazio e dignità nelle varie altre direzioni in cui la circuitazione può incanalarsi: scuola, turismo, ambiti della sperimentazione, ed altro ancora fino al meritorio indispensabile teatro amatoriale. Può essere tutto ripensato e creato. Le risorse, come s’è visto, ci sono. A volte trabordano. “L’acqua si diverte a far morir di sete”, dice il titolo di una commedia. E’ la progettualità a mancare. In attesa, però, alt a camuffamenti. Se quello che si configura come un vero e proprio circuito regionale (261 eventi di spettacolo lo scorso anno) non è un circuito con le carte in regola, meglio l’attesa. Non c’è di peggio che un problema risolto con una falsa soluzione.

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