Sulla crisi della sinistra

12 Febbraio 2014
crisi della sinistra
Sergio Caserta

Ricorrono trent’anni dalla morte improvvisa e prematura di Enrico Berlinguer che privò la sinistra italiana di un dirigente politico, si direbbe oggi leader carismatico, di grande spessore; è stato ricordato ieri in un convegno, promosso dall’ARS “Enrico Berlinguer. La serietà della politica” con la partecipazione di eminenti studiosi e diverse personalità, e ancora è emerso lo straordinario valore della sua opera, certo non priva di limiti ma tale da segnare ineludibilmente la nostra storia recente. Tutti gli atti del convegno sono pubblicati sul sito dell’Associazione omonima www.enricoberlinguer.org .
Il percorso del PCI, mutò sensibilmente a causa della sua scomparsa che determinò un’acuta lotta per la successione e una difficile transizione, risolta definitivamente con la “svolta della Bolognina” che determinò la fine di quel partito. Gli ultimi anni di Berlinguer, la fine dei “70 e l’inizio degli “80 furono contrassegnati dall’avvio di grandi cambiamenti: innanzitutto sul piano economico, l’avanzata delle destre mondiali del “pensiero unico” con l’affermazione di Ronald Reagan e Margareth Thatcher, la guerra in Irak per il petrolio, l’avvento della robotica e dell’informatica che misero definitivamente in discussione l’impianto fordista del sistema produttivo industriale, con una conseguente grave crisi delle grandi fabbriche e soprattutto, si disse, con la scomparsa della classe operaia.
La differenza tra PCI di Berlinguer e PSI di Craxi, fu che si collocarono l’uno all’opposizione di quel processo restandone sconfitti (sciopero Fiat), l’altro integrandosi nel cambiamento, quindi inizialmente con maggiore lungimiranza, ma assumendone gli aspetti deteriori fino all’autodistruzione.
La lotta della sinistra per migliorare le condizioni sociali delle classi subalterne ha conosciuto alterne vicende fin dagli albori della nascita del pensiero sociale, non credo si tratti di una questione meramente antropologica, i rapporti di forza tra le classi, il corso economico, il contesto internazionale, il regime di pace o di guerra, la cultura prevalente in un dato periodo storico, sono fattori decisivi per le sorti del socialismo. Che cosa sarebbe stato il comunismo russo se non avesse dovuto affrontare la terribile guerra con Hitler?
Questo non per giustificare le “empietà” della nostra classe politica, lo sfascio è sotto i nostri occhi, penso si tratti di fare un grande lavoro di ricostruzione di un pensiero politico ed economico che sia in grado di dare risposte alle domande dell’oggi. Sono in discussione principi fondamentali: la nozione stessa di sviluppo economico e di “benessere”. L’impossibilità di proseguire in una crescita illimitata, per le conseguenze drammatiche sull’ambiente e per la vita di milioni di persone, rende ben più difficile una politica redistributiva e di welfare, la penuria d’acqua, i cambiamenti climatici, l’esodo d’intere popolazioni affamate dalle carestie e dalle guerre, sono situazioni che Marx non dovette tener presente nel suo lavoro che fu in ogni caso decisivo per comprendere la natura del capitalismo.
Quindi prima ancora che cambiare il segretario del PD (operazione a parer mio necessaria e anche urgente) è fondamentale trovare un altro Marx, perché positivismo e darwinismo sociale non sono più fondamenti di un nuovo socialismo.

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