Sulla politica delle armi

16 Giugno 2022

[Aldo Lotta]

Quanto accade oggi non solo in Europa ma da tantissimi anni in tutto il mondo non è solo una crisi spaventosa sostenuta da una guerra criminale. Esiste forse una guerra che non lo sia?

Si tratta di uno stato di male bellico, cioè una condizione costante e pervasiva, come da tempo papa Francesco ammonisce, che scuote mortalmente tutto il pianeta. In tale prospettiva, la tragica sequenza di eventi orridi alle porte di casa, che ci vede protagonisti in quanto impegnati come co-belligeranti di fatto è un frammento evolutivo decisivo, un momento potenzialmente pre-catastrofico di qualcosa di molto più vasto e ancora più temibile. Allora, quale è la regia, e quale la lettura del copione che regge tutto questo? E quali i rimedi?

Ben prima dell’invasione russa abbiamo assistito da spettatori increduli, terrorizzati o spesso indifferenti, ad una costante progressiva crescita della produzione di armi in tutto il modo, con punte, inusuali nella storia del dopoguerra novecentesco, in Europa e nel nostro Paese. Le regole internazionali e nazionali sono state regolarmente calpestate o semplicemente ignorate e il nostro PIL, i nostri vanti commerciali, si sono gonfiati a dismisura grazie al commercio criminale ma accettato di armi di tutti i tipi.

Le guerre hanno continuato ad essere alimentate da questo fenomeno e i paesi belligeranti hanno sempre più goduto delle vendite di gioielli mortiferi sempre più sofisticati. In una mostruosa sequenza autoalimentante, un percorso che contiene in sé il seme della distruzione dell’umanità. In tale cornice economicamente meritoria alcune regioni hanno ospitato, continuano ad ospitare, a produrre e a testare, dispositivi bellici di agghiacciante capacità distruttiva, in barba alle leggi e ai principi più salienti della nostra costituzione: la Sardegna in questo è sicuramente in testa alle classifiche ma non dimentichiamo, tra l’altro, le almeno 70 testate nucleari USA ospitate ad Aviano (Pordenone) e Ghedi (Brescia).

Le armi dunque, a parte i rari casi di presunto effetto [ci auguriamo solo] deterrente degli ordigni atomici, sono fatte per essere utilizzate. E non solo: come in tutti gli affari, la merce non deve deteriorarsi e prima della scadenza deve essere assolutamente sfruttata, a costo di essere svenduta. Ecco dunque che, insieme alle ragioni geo-strategiche, fondamentali, alle psico-socio-patie dei nostri governanti, alle politiche di dominio da parte di Stati autarchici e pseudo-democrazie, emerge il ruolo primario e imprescindibile di quel settore che già Eisenhower nel discorso di chiusura della sua presidenza aveva indicato come un pericolo incombente e mortale: il comparto militare-industriale.

Non possiamo negare a noi stessi che i gruppi di pressione a cui accennava il generale americano oggi sono assolutamente egemoni sullo scacchiere mondiale. Tali lobby, prevalentemente occidentali, condizionano inevitabilmente le scelte politiche a detrimento, almeno in questa prima fase, fondamentalmente delle popolazioni più povere e in particolare del sud del mondo ma, attraverso eventi a cascata, con prossime conseguenze nefaste per l’intera umanità. Dinamica che ricalca quella del degrado climatico e della distruzione ecologica del pianeta, attraverso un gioco di interazione-integrazione mortale tra i due fenomeni (cosi, ad esempio, “mentre nei Paesi ad alto reddito si attendono soluzioni efficaci per contrastare il cambio climatico, in Mozambico, dove l’impatto ecologico è praticamente pari a zero, si cercano soluzioni per resistere..ad eventi meteorologici estremi dovuti al riscaldamento climatico” *).

Non possiamo quindi non concentrarci fondamentalmente su tali aspetti. Non possiamo non chiedere a gran voce che si interrompa tale tragica reazione a catena. Certo, a proposito dell’orrore alle nostre porte, ci possiamo chiedere perché i soldati russi non arrivino ad aprire i loro occhi e ribellarsi, come già successo in alcuni casi nella storia. Ma, ascoltando anche Hannah Arendt e il suo folgorante insegnamento, sappiamo come loro stessi siano invischiati in un meccanismo punitivo e autoritario in cui il terrore della violenza vendicativa dei superiori, della cosca politica che detiene il potere, non può che facilmente annichilire qualsiasi reazione.

Penso invece che sia, prima di tutto e tutti, la società civile dei Paesi che si professano civili e democratici a doversi ribellare, in maniera trasversale, superando l’ignavia (penso anche alle vergognose assenze dei parlamentari italiani al momento delle votazioni per l’invio delle armi all’Ucraina), le divisioni interne e i confini tra nazioni, che indeboliscono o inibiscono qualsiasi battaglia decisiva per i diritti fondamentali.

Primo fra tutti questi diritti deve ergersi quello di poter rifiutare le guerre, tutte le guerre e, di conseguenza, la produzione e il commercio delle armi come fonte primaria di ricchezza di uno Stato e del suo popolo. Oggi in Italia e in tutti gli Stati che amano definirsi democratici, esistono organizzazioni e vaste reti, anche transnazionali, che fanno di tali principi la ragione del loro agire politico. In queste è necessario riconoscersi per la salvaguardia personale e delle generazioni future.

La storia, se ascoltata, insegna tantissimo, e ci può indicare le strade da intraprendere per riconquistare una vera rappresentatività nei parlamenti, rimettere al centro del vivere civile le regole costituzionali ricacciando indietro le logiche, oggi egemoniche, della sopraffazione, del colonialismo e della violenza sui più deboli.

Nell’immagine: Murale di Orgosolo.

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