Sull’occupazione militare della Sardegna

5 Maggio 2023

[Aldo Lotta]

Nella saga cinematografica di Matrix il protagonista Neo è convinto che esistano due realtà ben distinte: una rappresentata dall’esistenza che conduciamo tutti i giorni, l’altra nascosta e non accessibile a tutti.

Oggi sembra che tale distopia esistenziale caratterizzi in pieno la nostra società: non in quanto nuovo paradigma conoscitivo frutto della ricerca nel campo della fisica quantistica, ma più semplicemente come risultato di una profonda influenza condizionante e coercitiva dall’alto su individuo e collettività.

Ecco quindi, proseguendo sul filo (forse delirante, ma suggestivo) della metafora fantascientifica, la sostanziale indifferenza con cui individui e famiglie si muovono dentro l’inferno (inedito nelle attuali proporzioni) di guerre simulate che infuocano in questi giorni l’enorme poligono NATO che è ormai di fatto la Sardegna. Indifferenza che, tuttavia, lascia il posto ad una cinica e scellerata complicità tra le fila della classe dirigente regionale.

Nei fatti, i territori sardi saranno invasi quasi fino alla fine del mese di maggio da più di 10.000 militari, con più di 40 tra navi e sommergibili, centinaia di mezzi terrestri, compresi i carri armati Leopard 2 e di mezzi aerei (compresi i droni killer, di imminente fabbricazione a Domusnovas e da vendere a Stati in guerra), tutti inevitabilmente carichi di armi e munizioni. Ciò a gratuito beneficio dei più di 20 Paesi coinvolti.

Per di più ciò avviene al centro del Mediterraneo, in un’area letteralmente cruciale, che tende ad assumere sempre più una propensione militare e aggressiva, a scapito di una naturale e storica vocazione di ponte culturale e commerciale dell’Europa con i Paesi del nord Africa e medio-orientali. In una nazione che nelle righe della sua costituzione (quindi legge fondamentale dello stato) “bandisce” tassativamente la guerra, limita il commercio di armi e aderisce a trattati internazionali che impediscono la vendita di armi verso Paesi belligeranti. E In una regione, infine, che ha ulteriori ragioni giuridiche, legate all’autonomia, che le consentirebbero di ribellarsi, sulla base di un diritto palese, alle pretese di uno Stato centrale sempre più votato ad armare la nazione e le coscienze dei suoi abitanti.

Ma, come in Matrix una parte di umanità combatte e resiste, così attraverso il movimento “no war” in Sardegna si sta assistendo ai segnali di una volontà di resistenza, in nome degli stessi principi costituzionali calpestati più volte da chi dovrebbe proteggerli ed attuarli: venerdì 28 aprile, durante una manifestazione pacifica, organizzata in concomitanza con Sa die de sa Sardigna nei pressi dell’aeroporto militare di Decimomannu, si sono registrati momenti di tensione tra attivisti e forze dell’ordinecon lo scellerato utilizzo pesante di idranti e lacrimogeni da parte della polizia.

Episodi come questo vanno, tuttavia, a rafforzare la convinzione che sia necessario e urgente un vasto risveglio delle coscienze sulla necessità di far valere i diritti fondamentali delle persone, a cominciare da quello della sopravvivenza e di un futuro dignitoso. E’ ciò che sta avvenendo in Sardegna, soprattutto nel contesto delle nuove generazioni, con un forte incremento della partecipazione di giovani attivisti alle azioni pacifiche di resistenza e ribellione contro il disprezzo e negazione dei principi costituzionali e alla loro risposta agli appelli sempre più numerosi di associazioni che propugnano la pace e la smilitarizzazione.

Partecipazione attiva evidente anche in occasione del grandioso e coloratissimo corteo del 25 aprile a Cagliari, e destinata ormai a ripetersi nelle tante manifestazioni in programma, a cominciare dall’imminente, nazionale, “Staffetta dell’umanità per la pace” prevista per domenica 8 maggio e che in Sardegna avrà un’impronta quanto mai attuale e significativa.

Nell’immagine esercitazioni militari a Capo Teulada (Ansa)

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