Turchia e dintorni. La nuova Turchia di Erdoğan

16 Ottobre 2017

[Emanuela Locci]

Il protagonista incontrastato, nel bene e nel male, della nuova stagione storica che sta attraversando la Turchia è Recep Tayyip Erdoğan. Noto agli addetti ai lavori che ne seguono le vicende da circa venti anni, con le sue manovre politiche è ora quasi costantemente presente nei maggiori mass media internazionali. Ma chi è il nuovo padrone della Turchia? Quali sono stati i suoi esordi sulla scena politica turca? Come si è distinto e quali sono state le fasi della sua ascesa politica?

Nato a Istanbul il 26 febbraio 1954 da una famiglia originaria della provincia di Rize, dopo essersi laureato nella facoltà di Economia e Commercio dell’Università di Marmara ed essersi sposato con Emine, ha intrapreso l’attività politica alla fine degli anni Settanta. Ha iniziato la sua carriera politica nelle fila del filo islamico Partito del Benessere guidato da Necmettin Erbakan, che è stato per anni l’instancabile fondatore e leader di partiti di ispirazione islamica.

Erdoğan è stato una figura di spicco del Partito del Benessere (in turco Refah Partisi) di ispirazione islamico-conservatore, ed è diventato una figura politica di rilevanza nazionale come sindaco di Istanbul, incarico che ha ricoperto dal 1994 al 1998. Nel 1998 fu arrestato e giudicato colpevole di incitamento all’odio religioso per aver declamato pubblicamente i versi del poeta e sociologo Ziya Gökalp: «Le moschee sono le nostre caserme, le cupole i nostri elmetti, i minareti le nostre baionette e i fedeli i nostri soldati… ».

Uscito dal carcere, ha fondato il Partito per la Giustizia e lo Sviluppo (AKP), a cui ha impresso un carattere più moderato rispetto ai precedenti partiti islamici. Nelle elezioni legislative del 2002 l’AKP ottiene il 34,3% dei voti, diventando il primo partito del paese e ottenendo una schiacciante maggioranza in parlamento per via del sistema elettorale turco, proporzionale ma con uno sbarramento posto al 10% dei voti validi, oltrepassato nell’occasione soltanto da un altro partito, il Partito Popolare Repubblicano (CHP).

In seguito alla vittoria elettorale, replicata nelle elezioni amministrative di due anni dopo, Erdoğan, escluso dal corpo elettorale fino alla fine del 2002 per via della precedente condanna, ha dapprima appoggiato l’elezione a Primo ministro del suo compagno di partito Abdullah Gül, dopodiché – restituito dei suoi pieni diritti elettorali attivi e passivi, anche grazie a un emendamento costituzionale – ha assunto egli stesso la carica di Primo Ministro, carica confermata da successive elezioni. Ha fondato un partito che si professa moderato dal punto di vista religioso, eppure le sue iniziative anche recentissime, come l’essere andato a pregare nella moschea Eyup Sultan, come facevano i sultani ottomani prima di salire al potere, mostra una propensione verso una religiosità non troppo velata, mentre invece sono velate la moglie e le figlie. Tutte immagini che fanno a pugni con la prima fase della sua carriera, nettamente riformista, che l’ha visto prima sindaco di Istanbul, una metropoli che ha contribuito a ricostruire, fino alla carica di Primo Ministro impegnato nella candidatura della Turchia all’ingresso nell’Unione Europea . Una politica in netta contrapposizione rispetto agli atteggiamenti seguiti dopo il 2010, quando quasi insofferente alle critiche che da più parti piovevano, reagisce scagliandosi contro i media nazionali e esteri, reprime con il sangue le manifestazioni che si susseguono nella capitale storica. Con la sua leadership di stampo islamico la Turchia ha virato notevolmente rispetto alle politiche internazionali seguite da altri famosi leader quali Suleyman Demirell e Tansu Çiller, che durante i loro mandati governativi avevano lavorato per un avvicinamento graduale ma costante della Turchia all’Europa e agli Stati Uniti.

Dopo dodici anni al governo Recep Tayyip Erdoğan è il primo presidente della repubblica turca a essere stato eletto con il voto a suffragio universale diretto. Le elezioni presidenziali turche rappresentano una cesura con il passato, e non solo per il metodo di voto. L’ormai ex premier Erdoğan, con questa sua vittoria elettorale consecutiva, ha dato un altro colpo all’opposizione laica diventando, tra l’altro con un risultato quasi annunciato, il nuovo capo dello stato turco.

La sua elezione ha da subito sollevato polemiche e riflessioni da parte dell’opposizione che ha posto l’accento sull’orientamento filo islamico del presidente e ha immediatamente lanciato l’allarme per un’esacerbazione della deriva islamica e autoritaria nel paese. Islamica, ovviamente con riferimento agli orientamenti politici del presidente, autoritaria perché già in passato quello che è definito “il Sultano” ha già dato prova di una forte propensione al personalismo e anche in occasione della sua elezione ha dichiarato senza mezzi termini che intende governare il paese e mantenerne il controllo anche nelle sue nuove funzioni. Previsioni confermate dagli esiti del referendum dell’aprile scorso, che ha decretato un rafforzamento del suo potere e come contraltare uno svuotamento delle prerogative del parlamento e della magistratura. Il referendum indetto dal governo, che è in parte una risposta al tentato colpo di stato del luglio 2016 ha definitivamente e istituzionalmente sancito la leadership di Erdoğan. Egemonia che all’interno della Turchia non viene scalfita neppure dalle accuse di corruzione, che colpiscono anche alcuni membri della sua famiglia. Erdoğan è saldamente in sella e il suo potere si è notevolmente rafforzato nell’ultimo anno, sia per effetto del referendum, sia come conseguenza del tentato golpe. Gli oppositori, veri o presunti, vengono continuamente repressi, arrestati, privati delle più elementari libertà personali. Si ricorda che la Turchia vive dal luglio 2016 in stato di emergenza, questo implica tutta una serie di limitazioni alle libertà personali e politiche.

Intanto a livello internazionale ci si chiede come sarà questa nuova Turchia, che affonda le sue radici storiche, sociali e culturali in un impero e che è diventato nazione moderna con un padre della patria come Mustafa Kemal Atatürk. La deriva islamica del governo turco preoccupa i paesi europei, che però fino a questo momento si sono dimostrati spettatori e non attori in una situazione che considerando la posizione geostrategica della Turchia avrebbe delle ripercussioni anche in Europa, soprattutto in materia di immigrazione e lotta al sedicente Stato Islamico (Isis).

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