Turchia e dintorni. L’anno che verrà

2 Gennaio 2020
[Emanela Locci]

Quello appena trascorso è stato un anno travagliato per la Turchia, non è passato giorno che la stampa internazionale non abbia riportato per iscritto le “prodezze” del presidente Erdoğan.

L’inizio dell’anno scorso ha visto i politici turchi impegnati in una delle campagne elettorali più difficili e anti democratiche da quando è stato abbandonato il sistema del partito unico.
Con il supporto del partito ultra nazionalista, il partito al potere è riuscito a rimanere tale, ma ha perso città strategicamente importanti, come Istanbul e Ankara. Per queste due città l’Akp non ha riconosciuto valido il voto e ha ripetuto l’elezione, ricevendo un’altra sonora batosta. A questo punto non restava che riconoscere la sconfitta, e la lotta all’opposizione si è fatta più sottile, con metodi messi già in pratica dopo il tentato golpe del 2016.

Passo dopo passo, destituzione dopo destituzione, il presidente sta sostituendo tutti i sindaci democraticamente eletti, con commissari governativi. Questa situazione si sta ripetendo costantemente e sono moltissimi i sindaci di municipalità con maggioranza della popolazione curda che, accusati di far parte di Gulen o di essere vicini al Pkk, perdono il potere politico a favore dei commissari. In questo modo il governo cerca di controllare il territorio nazionale, in questo modo il governo sta violando le più elementari regole della democrazia, il diritto di voto, e soprattutto che quel voto poi venga rispettato nel tempo e che chi lo ha espresso si senta rappresentato dalla persona a cui ha affidato la sua preferenza.

Tutto ciò mentre in Turchia si continuano sistematicamente a violare anche i diritti umani. Ne sono palesi, evidenti esempi la detenzione di Osman Kavala, il mecenate che non ha ottenuto la libertà neanche durante l’ultima udienza, malgrado non vi siano nei suoi confronti elementi idonei ad una condanna per i reati di cui è accusato, ossia essere uno dei finanziatori della rete Gulen e di essere implicato nel tentato golpe.

Come se non bastasse a delineare un quadro tragico non possiamo dimenticare le decine di donne che anche quest’anno sono state uccise, ferite, mutilate, da uomini, spesso familiari. Una mattanza che è accresciuta numericamente anche a causa della politica governativa che utilizza la questione femminile in chiave islamista e che relega la donna negli spazi privati, privandola di quelle opportunità, anche e soprattutto lavorative che ne potrebbero decretare l’emancipazione e in sostanza la libertà.

È questa ormai una parola che sembra senza fondamento e significato in una nazione in cui è altissimo il tasso di disoccupazione femminile, in cui è parimenti alto il tasso di emigrazione femminile: donne che non si riconoscono più nella libera e moderna Turchia creata da Mustafa Kemal Atatürk e che scelgono di partire all’estero per cercare maggiore fortuna: per essere libere, per essere sé stesse. Questo concetto di libertà si può applicare anche per la comunità gay, che sta vivendo un periodo di repressione e che non trova la difesa, ma semmai l’avversione dello stato nei loro confronti.

Dal punto di vista internazionali, la politica turca è chiara: rafforzamento su tutti i fronti. Dalla Siria alla Libia, la parola d’ordine è Forza. La situazione siriana sfruttata per il raggiungimento degli obiettivi di rafforzamento nazionale interno dopo le sconfitte elettorali: cerchiamo e combattiamo un nemico esterno in modo da rilanciare e ravvivare un senso di orgoglio e patriottismo nazionale. In Libia invece è solo una questione di potere: potere economico, potere politico. Riproporre nel panorama internazionale una Turchia forte, vincente. E poi dove lo mettiamo il petrolio libico?

Certo ad Ankara servirebbe! Anche in considerazione dei continui problemi economici, legati all’instabilità di un sistema economico che non riesce a supportare l’espansione strutturale di cui si è fatto portatore il governo. Basti pensare all’impegno e agli investimenti in Africa, alle spese militari continue e consistenti, che legano sempre più la Turchia alla Russia e la allontana dall’Occidente. E come cantava un nostro illustre cantautore: L’anno vecchio è finito ormai. Ma qualcosa ancora qui non va.

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