Un Fondo Monetario per il futuro dell’Europa

1 Settembre 2018

Hans Kundnani

[Gianfranco Sabattini]

L’integrazione politica dell’Europa è pensata dagli europeisti come un evento positivo di per sé, o una possibile alternativa alla marginalizzazione degli Stati ai quali gli europeisti appartengono, perché convinti che solo la realizzazione degli Stati Uniti d’Europa possa evitare la disaggregazione del Vecchio Continente.

Dopo l’interruzione che il processo d’integrazione ha accusato con la crisi del 2007/2008 e il diffondersi di movimenti antieuropei, nati come reazione agli esiti negativi della crisi, la proposta di istituire un Fondo Monetario Europeo è stata considerata positivamente dalla Commissione Europea, perché ritenuta strumentale rispetto al processo interrotto, che può essere rilanciato attraverso il preventivo approfondimento dell’integrazione dell’area euro con l’istituzione di un ministero dell’economia e delle finanza e la trasformazione del Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM – acronimo dell’espressione inglese European Stability Maechanism) in un Fondo Monetario.

La creazione del “Fondo” è oggetto di attenzione da parte degli analisti dei problemi europei, non solo perché essa è uno dei punti dell’accordo tra i partiti che daranno luogo al nuovo governo in Germania, ma anche perché la proposta di istituire il “Fondo” è stata avanzata inizialmente dal Presidente francese Emmanuel Macron, che sin dal suo insediamento all’Eliseo ha manifestato la ferma intenzione di rilanciare il processo di integrazione, con un impegno non riscontrabile in molti dei suoi predecessori politici francesi.

La proposta, fatta propria dalla Commissione, è valutata dagli analisti secondo due differenti prospettive: per alcuni di essi, la proposta di Macron dovrebbe essere realizzata in funzione della costruzione di un’Europa “protettiva”, contraddistinta da una maggiore solidarietà; secondo altri, per la Germania (o almeno per una parte consistente della classe politica tedesca) la proposta dovrebbe essere lo strumento per il potenziamento del controllo dei bilanci degli Stati membri, al fine di rendere più efficaci le regole fiscali dell’Eurozona e di favorire l’aumento della competitività europea.

Le differenti visioni che i due principali Paesi dell’Unione Europea hanno della costituzione del “Fondo” dimostrerebbe, a parere dell’analista Hans Kundnani (“L’Unione Europea è la brutta copia del Fondo Monetario”, Limes n. 1/2018), che una maggiore integrazione, realizzata attraverso l’adozione di un Fondo Monetario, potrebbe risultare non “automaticamente giovevole” per tutti i Paesi membri dell’Eurozona. “La trasformazione dell’ESM in un Fondo Monetario Europeo – afferma Kundnani – potrebbe inserirsi nel filone dell’allarmante mutazione dell’UE innescata dalla crisi dell’euro. Benché da allora l’integrazione sia proseguita – gli Stati membri hanno di fatto ceduto quote di sovranità in modi prima impensabili – vi è ragione di credere che questa fase del progetto comunitario sia qualitativamente differente da quelle che l’hanno preceduta. Non è da escludere che, sullo slancio dello slogan ‘più Europa’, emerga una UE profondamente dissimile dal progetto idealizzato nell’immaginario europeista”. I timori di Kundnani non sono del tutto infondati.

La Germania è sicuramente aperta all’idea di istituire, per l’Europa, un Fondo Monetario; lo dimostra il fatto che di esso viene fatta menzione, come si è detto, nell’accordo di programma della “grande coalizione” destinata ad esprimere il governo tedesco per i prossimi anni; sulla sua costituzione, però, pesa il pensiero dell’ex ministro delle finanze Wolfgang Schäuble. Questi, pur escluso dal nuovo governo, prima di lasciare l’incarico, non ha mancato di indicare quali dovrebbero essere i compiti dell’”Fondo”, se mai sarà istituito. In un documento non ufficiale, Schäuble ha auspicato che il fine del “Fondo” sia quello di prefigurare il rischio di default per quei Paesi che dovessero mancare di mantenere i loro conti pubblici in regole.

A tal fine, la Germania, secondo Schäuble, dovrebbe proporre, all’interno del “Findo”, l’istituzione di «un meccanismo di ristrutturazione dei debiti” dotato delle forza necessaria a garantire in caso di necessità una plausibile condivisione degli oneri fra il “Fondo” e gli Stati i cui conti pubblici accusassero un deficit. In altri termini, mentre l’obiettivo esplicito per la Germania dovrebbe essere quello di introdurre una disciplina idonea a motivare gli Stati a ridurre i loro debiti, quello implicito delle raccomandazioni di Schäuble, invece, sembra essere, secondo Kundnani, non tanto la realizzazione di un’”Europe qui protège”, secondo la proposta di Macron, quanto quello di ridurre l’esposizione tedesca a futuri salvataggi simili a quelli effettuati nei confronti di Grecia, Spagna, Portogallo, Irlanda e Cipro.

Al riguardo, non va dimenticato che Schauble, nelle sue esternazioni contrarie all’adozione di una politica europea di solidarietà nei confronti degli Stati maggiormente in crisi, ha sempre riflesso un atteggiamento critico largamente condiviso dall’opinione pubblica tedesca. Basti ricordare – come fa Kundnani – che alla vigilia del summit straordinario tenuto a Bruxelles nel 2015 per discutere della crisi greca, l’inflessibile Schäuble proponeva, nel caso la Grecia avesse rifiutato di accettare le condizioni dei creditori, “di trasferire 50 miliardi di beni pubblici patrimoniali greci in un fondo fiduciario in Lussemburgo, per poi privatizzarli. E di espellere ‘temporaneamente’ la Grecia dall’Eurozona”.

Un’altra esternazione di Schäuble, sulle finalità che il Fondo Europeo dovrebbe avere, non è meno intransigente di quella manifestata nel documento non ufficiale, fatto circolare prima di abbandonare l’incarico di ministro delle finanze; a suo parere, al “Fondo”, dotato del potere di regolari ispezioni e raccomandazioni, dovrebbe essere trasferita la vigilanza sui bilanci degli Stati; inoltre, all’interno dei suoi organi collegiali di gestione, il diritto di voto dovrebbe essere proporzionale al reddito dei singoli Stati, e solo chi ha più del 20% delle quote dovrebbe avere diritto di veto: in sostanza, secondo Schäuble, solo Berlino e Parigi.

Se ciò avvenisse, nell’area euro sarebbero definitivamente stabilite differenze fra livelli diversi di sovranità politica dei Paesi in base al censo, consentendo solo ai governi economicamente più influenti di usare il loro potere per far fare agli altri ciò che trovano più conveniente per sé.

Qualora la ripresa del processo di integrazione politica dell’Europa avvenisse sull’onda della crisi dell’euro e secondo le raccomandazioni di Schäuble, si avrebbe ragione di pensare che l’Unione Europea sia destinata a divenire – afferma Kundnani – “più coercitiva, oltre che più tedesca”; se ciò accadesse, nella ripresa del processo di integrazione diverrebbe centrale l’impiego della condizionalità esterna.

Il “principio di condizionalità”, collegato ai programmi di accesso alle risorse del Fondo Monetario Internazionale allo scopo di garantirne un uso adeguato, a partire dal 2002 è entrato a far parte delle linnee guida del governo dell’Eurozona; esso è stato accolto, in tempi precedenti la Grande Recessione, ad integrazione della procedura di indirizzo e verifica delle “performances” degli Stati richiedenti solidarietà e sostegno finanziario alle istituzioni comunitarie.

Il principio è stato applicato, dapprima, alla concessione degli aiuti alla Grecia nel 2010, e successivamente, soprattutto dopo l’adozione del Meccanismo Europeo di Stabilità, nella forma di “stretta condizionalità” nell’esercizio delle procedure di controllo seguite dall’Unione sulle politiche economiche degli Stati membri dell’Eurozona. L’intromissione nella sovranità statale, conseguente ai controlli comunitari e fondati sulla stretta condizionalità è stata tradizionalmente giustificata, sostenendo che ad essa si ricorreva per proteggere e garantire l’interesse “comune” alla stabilità nella zona euro.

Le limitazioni ai poteri sovrani degli Stati, seguite alla rigida applicazione del principio della stretta condizionalità, sono state poste in essere, però, in assenza di qualsiasi condizione di reciprocità, sulla quale è fondata l’appartenenza degli Stati membri all’Unione, e quindi all’Eurozona. Ciò ha spinto molti di essi a lamentare il fatto che le procedure condizionali implichino una cessione di sovranità statale, non solo perché avviene in assenza di reciprocità tra gli Stati, ma anche perché effettuata nell’ambito di un rapporto bilaterale tra gli Stati in condizioni di necessità e quelli chiamati a rispondere alla richiesta di aiuto; rapporto, nel quale la garanzia è costituita, non da uno specifico asset patrimoniale, bensì da un trasferimento di poteri sovrani dei Paesi richiedenti aiuto a soggetti istituzionali non legittimati ad esercitarli, com’è accaduto, è il caso di ricordarlo, in occasione della lettera Trichet-Draghi al governo italiano ai tempi della presidenza Monti.

La costituzione di un Fondo Monetario Europeo, a somiglianza del Fondo Monetario Internazionale, renderebbe particolarmente preoccupante l’estensione della condizionalità esterna per le sorti dei Paesi della cosiddetta “periferia”, costituita da quelli economicamente più deboli; il rischio infatti è che l’Europa diventi il veicolo di “trasmissione e imposizione” della volontà della Germania e degli altri Paesi enucleati intorno ad essa; o, più specificamente, che l’Eurozona, coincidente con il cosiddetto “nucleo”, emerso a partire dalla crisi dell’euro, si identifichi nel gruppo degli Stati non disposti a spingersi oltre nel processo di integrazione sin qui raggiunto, nella prospettiva di una “nuova Europa”, il cui principio legittimante non sia più quello della solidarietà, ma quello della competitività.

Quale che sia la composizione del governo espresso dalla “Große Koalition”, è indubbio che il Paese che più incarna la trasfigurazione dell’Europa sognata dai “padri fondatori” sia la Germania. Angela Merkel, destinata a presiedere il nuovo governo di coalizione, ha negli ultimi tempi sempre vagheggiato – sfferma Kundnani – un’Europa competitiva”; un’Europa, cioè, “capace di competere economicamente, e pure geopoliticamente, con altre regioni del globo”, anche a costo di “sacrificare quello stesso modello che l’Unione una volta rappresentava”.

Conclusivamente, la proposta di rilanciare il progetto di integrazione dell’Europa, con la costituzione di un Fondo Monetario Europeo simile al Fondo Monetario Internazionale, se si considera quanto è accaduto a seguito della crisi dell’euro, è inevitabile che, più che un’”Europe qui protège”, si prospetti, per i Paesi economicamente più deboli, un’”Europe qui surveille et punit”, come vuole la logica esclusiva e neoliberista di Wolfgang Schäuble.

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