Un giornale è un giornale è un giornale

11 Giugno 2023

[Roberto Loddo]

Ho letto la lettera dei figli di Enrico Berlinguer su Repubblica, oggi, 39 anni dopo la morte del loro padre. Una lettera critica sulla scelta della nuova Unità diretta da Sansonetti di utilizzare l’immagine dello storico leader del Pci a fini di propaganda pubblicitaria.

Per i figli di Berlinguer il nuovo giornale non ha nulla della vecchia Unità e nemmeno del patrimonio politico e culturale di quella grande storia. Purtroppo, la loro lettera non indica nelle conclusioni dove sarebbe andata a finire questa straordinaria eredità politica.

Probabilmente non c’è una sola risposta. E ho dei dubbi che l’attuale panorama politico, giornalistico ed editoriale possa rivendicare quella storia. Forse nemmeno un’unghia di Berlinguer. Per questo a me non interessa condannare la nuova Unità comprata da Romeo e diretta da Sansonetti. Non mi interessa giudicare la nuova linea editoriale e nemmeno chi ci scrive. “Un giornale è un giornale è un giornale” diceva Luigi Pintor, parafrasando una citazione di una poesia di Gertrude Stein.

Della nuova Unità non posso accettare la scelta di aver messo nel dimenticatoio i giornalisti e i poligrafici che hanno lavorato nel giornale fondato da Antonio Gramsci fino al 2017. Cancellati e spazzati dal dibattito pubblico e non considerati nemmeno dalla nuova unità. Non solo dal punto di vista dei loro diritti, ma anche simbolicamente. Come se non esistessero. Come se non valessero più nulla.

L’altra cosa che non accetto è l’assenza di legalità e umanità che ha caratterizzato il licenziamento brutale della mia amica Angela Azzaro. Licenziata perché “superflua e non necessaria”. Nemmeno il più piccolo giornale di periferia rimane in silenzio di fronte al licenziamento di una sua giornalista e addirittura candidata alla direzione dell’edizione online del quotidiano.

La memoria può essere alterata e dimenticata. Basta guardare chi sono oggi gli eredi di quella grande storia. Basta aprire gli occhi per capire dove siamo finiti. Ma la cosa su cui non possiamo transigere, su cui non possiamo rimanere in silenzio, sono i diritti dei lavoratori e delle lavoratrici.

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