Una scuola in declino

1 Marzo 2013

Graziano Pintori
In Sardegna l’organico complessivo(*) della scuola nell’anno scolastico 2011/12 era di 26.319 unità, di cui 18.972 docenti e 7.347 personale a t a, gli edifici scolastici sono 1600 disponibili per 387 autonomie scolastiche (n. 237 previste per l’a.sc. 2013/14); gli alunni sono 220.000 (n. 213.637 previsti per l’a.sc. 2013/14). Il MIUR nell’a.sc. 2010/11 aveva assegnato le seguenti riduzioni d’organico: scuola Infanzia – 2; scuola Primaria – 336; Scuola Sec. 1° grado – 55; scuola Sec. 2° grado – 644 pari a -5,18%.  La media nazionale è -3,96%, quella sarda risulta la seconda dopo la Calabria e pari alla Basilicata. Gli alunni in provincia di Nuoro sono 31.401, distribuiti su 28 Autonomie Scolastiche (pari a 800 alunni ciascuna) con un calo di -11. Oltre la scure ragionieristica ben affilata dello Stato, in Sardegna è inesorabilmente attivo il decremento demografico, che si manifesta con – 4.193 alunni, decretando la fine delle sezioni o classi sottodimensionate, infatti il -2 unità del ministero a Nuoro diventa – 7.
I dati della Sardegna ci fanno capire che la scuola italiana è scarsamente considerata dalla politica e dai responsabili della finanza, essa è valutata come qualsiasi azienda in crisi. Sulla scia delle cosiddette riforme avviate negli anni ’90, come la riforma Berlinguer sui cicli scolastici, che in apparenza tracciava un nuovo concetto organizzativo del sistema scolastico, mentre,in realtà, tale riforma, con il supporto della Bassanini, si rendeva concreto su altri due punti base: Autonomia Scolastica e Tagli. Un binomio nefasto di cui ancora oggi, con gli interventi sempre più illiberali dell’era berlusconiana, se ne subisce gli effetti. E’ vigente un tracciato culturale che incanala le istituzioni scolastiche a rivendicare sempre più autonomia, perché convinti che gli effetti devastanti dei tagli, ritenuti acriticamente fisiologici, inevitabili, necessari, possano essere attutiti entrando in competizione con le altre scuole pubbliche.  Tutto il contrario di vedere la scuola come bene pubblico primario e democratico, da difendere ad oltranza facendo fronte comune contro l’impoverimento generalizzato del sistema pubblico. Dal mio punto di vista la scelta di “navigare” per conto proprio ha creato due tipi di scuola: a) quelle in cui si pagano tasse e contributi più alti dalle famiglie (Licei), perciò appannaggio dei nuclei familiari più agiati; b) altre scuole più modeste e attive in luoghi e quartieri più popolari, perciò più agibili ai meno abbienti (tecnici, professionali). Davanti a questo scenario possiamo dedurre che “la scuola è il luogo della riproduzione dell’ordine sociale esistente”, magari non come ai tempi di don Milani, ma poco ci manca, considerati i meccanismi di selezione ancora simili a quel periodo.
Nei territori dove prevalgono un’economia debole e condizioni sociali conflittuali, in cui si riscontra un inarrestabile spopolamento, la scuola anziché farsi più presente, più concreta nel suo ruolo di agenzia del sapere e della formazione, tende a rendersi più lontana, invisibile. Infatti, la politica dei tagli in questi luoghi, vedi Nuoro e provincia, ma in generale tutta la Sardegna, si abbatte con più veemenza perchè risaltano di più i nervi scoperti dell’abbandono scolastico, dello spopolamento, del vuoto politico, sociale e economico. In questi casi i “rami secchi” del sistema scolastico da recidere e bruciare avviene con più determinazione, perchè non degni di particolari attenzioni, di “cure specialistiche” per evitare il decadimento del tessuto socio-culturale. Tutto il sistema scolastico è stato privato di anima, d’identità, di quelle particolari caratteristiche che un tempo aiutavano l’utente nella scelta ponderata verso certi filoni di studio e di formazione; oggi le autonomie scolastiche, le istituzioni globali, le scuole a rischio per mancanza di fondi, oppure per calo iscrizioni“tirano a campare” nell’ansia da sopravvivenza, immerse nel grande brodo dell’incertezza. Infatti, il Dirigente Scolastico e il Direttore S G A si trovano a governare più scuole, talune senza fondamenta numeriche, tal altre senza consistenza finanziaria a causa dei tagli e dei mescolamenti senza criterio dei vari ordini di scuola, sparpagliate su diversi comuni privi di idonei collegamenti viari e informatici.. Scuole accomunate da un unico elemento: il contenimento della spesa, che i responsabili delle strutture devono far di conto come se stessero amministrando dei salumifici.
Il destino comune di tante scuole impedisce la conduzione di analisi secondo l’ordine e il grado di appartenenza, come a dire che i problemi sofferti da una scuola elementare sono gli stessi che si trascina una scuola superiore. Esclusi alcuni istituti con tradizioni storiche, educative e formative vanto della scuola pubblica di un tempo, per lo più licei, che ancora operano nei capoluoghi e in qualche altro centro, in Sardegna le scuole convivono con il dramma del rischio di scomparsa più che in altre parti. Tutte le scuole sono colpite dal virus del “dimensionamento”, ossia della riduzione delle risorse, davanti alle quali la regione Sardegna, sempre supina alle volontà oltre tirreno, si attiene come se non fosse in grado di rappresentare le problematiche legate all’insularità, all’orografia, alla forte sofferenza occupazionale, sociale, economica e allo spopolamento incombente. La questione scolastica in Sardegna mette in evidenza la latitanza dello Stato, sempre più deresponsabilizzato nei confronti delle comunità e dei territori più poveri, lontani…..invisibili.

(*) Fonte CGIL -FLC

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