Vecchiaia e capitalismo

16 Luglio 2020

Foto di Enrica Rivecchio

[Amedeo Spagnuolo]

Qualche giorno fa su Repubblica, precisamente nella rubrica diretta da Concita De Gregorio, “Invece Concita”, ho letto una bellissima email inviata da una ragazza di 29 anni, Benedetta Cerasoli, specializzanda in geriatria. La sostanza del suo discorso ruotava intorno al concetto che in un sistema economico come il nostro, concentrato in maniera maniacale sull’accumulazione del profitto, non solo ci sono alcune categorie di persone come gli anziani che con il passare del tempo diventano, per ovvi motivi cronologici, meno appetibili per la industrie farmaceutiche, ma diventano meno appetibili ed emarginate addirittura alcune specializzazioni mediche che si occupano degli anziani come la geriatria che di fatto, tra le tante specializzazioni mediche, è collocata ai margini sia per quanto riguarda gl’investimenti sia per quanto riguarda la ricerca scientifica e l’attenzione ad essa rivolta dai media.

Queste osservazioni espresse con estrema serenità e lucidità nascondono però una realtà terribile ovvero l’idea perversa che l’”inutilità economica” dell’anziano in qualche modo ne decreti anche la sua inutilità esistenziale. Quante volte è capitato anche a noi, di fronte alla morte di una persona anziana, chiedere quanti anni avesse e rispondere con la stupida riflessione “ah era molto anziano”, come se quell’anziano, dico per dire, di 85 anni non avesse ancora tanto da dare agli altri in termini di saggezza e di esperienza, come se dentro la sua anima non fossero ancora presenti sentimenti di varia natura: amore, tristezza, gioia, paura. L’orribile cinismo del capitale si è talmente incardinato nelle nostre società da penetrare in profondità nella maggior parte degli individui provocando in loro una mutazione antropologica spaventosa che ha praticamente cancellato dal loro mondo interiore tutto ciò che rendeva la loro vita degna di essere vissuta.

C’è un passaggio, in particolare, che mi ha colpito della lettera della dott.ssa Cerasoli e cioè quando dice: “La geriatria trova difficilmente una collocazione in un modello sanitario che ruota attorno a profitti economici. Come tutte le discipline che si occupano prevalentemente di prevenzione e di sostenibilità in un orizzonte di lungo termine, esercita una scarsa attrattiva in termini d’investimenti economici e politici”. E conclude il suo intervento dicendo: “Si dice sempre che i bambini sono il nostro futuro, certo, ma è pur vero che per noi adulti l’infanzia appartiene al passato e facciamo invece fatica a immedesimarci negli anziani, scordandoci che prima o poi lo saremo tutti. La vecchiaia è il nostro vero futuro, quello che ci attende tutti ma a cui vogliamo evitare di pensare perché ritenuto triste e inaccettabile, come la morte. Gli anziani sono il nostro passato e il nostro futuro allo stesso tempo, custodi della nostra memoria e specchio del nostro divenire”.

E invece noi abbiamo creato un mondo talmente cinico nel quale quasi tutti sono convinti che l’unica felicità possibile possa provenire dall’ opportunità di poter consumare nella maniera più compulsiva possibile. Stiamo però arrivando al punto di saturazione se anche il consumo non riesce più a colmare gli enormi vuoti emotivi che il sistema del profitto ha creato nei nostri giovani, non è un caso che la pratica orribile del suicidio adolescenziale sia molto più frequente proprio in quei paesi dove l’economia ha ormai assunto le caratteristiche di un moloch che chiede sacrifici enormi alla stragrande maggioranza della popolazione per continuare a rimpinguare la ricchezza “inutile” delle elites mondiali.

È ovvio che in un sistema talmente perverso gl’improduttivi vivranno sempre di più ai margini e ai giovani sarà somministrato un lavaggio del cervello talmente accurato da arrivare al punto di non ritorno ossia odiare tutti quegli esseri umani che mostrano una qualche forma d’imperfezione o di limitazione che possa oscurare il delirio di un pensiero dominante caratterizzato dalla follia di una ricerca volta a individuare la ricchezza come strumento utile a rendere sempre più perfetti i pochi detentori della ricchezza economica mondiale.
Casualmente, proprio in questi giorni in cui nella mia testa gironzolavano inquiete queste riflessioni scaturite dalla bella lettera della dott.ssa Cerasoli, stavo contemporaneamente leggendo il bellissimo libro di Lorenzo Marone, La tentazione di essere felici, la cosa stupefacente, per me, è che la conclusione della lettera pubblicata su Repubblica ha anticipato di poco la lettura dello struggente finale del libro nel quale, Cesare, l’anziano protagonista del libro, mentre si accinge a oltrepassare il varco che lo porterà nella sala operatoria, a causa di un infarto, per non farsi assalire dalla paura, si lascia andare a uno stupefacente elenco di cose che a lui piacciono e rendono la vita, anche quella di un anziano, degna di essere vissuta.

Concludo ringraziando la dott.ssa Cesaroli che in poche righe è riuscita a dimostrare concretamente i devastanti esiti del sistema capitalista in ogni campo, nello specifico nella dimensione vitale degli anziani, ma ringrazio anche lo scrittore Lorenzo Marone che con questo finale grottesco e scoppiettante rende giustizia alla categoria degli anziani non considerandoli solo come portatori di acciacchi e malattie e, dunque, piuttosto fastidiosi, ma anche individui ai quali piacciono ancora tante cose della vita: “mi piace il profumo di cucinato che proviene da una finestra aperta o la tenda che d’estate si sposta piano per far passare il vento, mi piacciono i cani che per ascoltarti inclinano la testa o una casa appena imbiancata, mi piace un libro che mi attende sul comodino, mi piacciono i barattoli di marmellata e la luce gialla dei lampioni, mi piace palpare la carne e il pesce crudi, mi piace il rumore di una bottiglia stappata, mi piace il vino rosso che si aggrappa al bicchiere, mi piace un vecchio gozzo scrostato…mi piace chi combatte ogni giorno per essere felice”.

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