Alla base del taglio c’è un intento antiparlamentare

24 Agosto 2020

[Roberta Calvano*]

Si parla troppo poco del referendum costituzionale del 20 e 21 settembre, e se ne parla male, a partire dagli spot sulle tv nazionali che lo definiscono “confermativo”, quasi la torsione plebiscitaria che da anni subisce fosse ormai istituzionalizzata.

Se proprio non lo si vuole chiamare col suo nome, “referendum costituzionale”, lo si dovrebbe definire più correttamente “oppositivo”, finalizzato com’è ad offrire uno strumento per cui la revisione costituzionale possa essere fermata dalle minoranze (motivo per cui non è previsto il quorum) se non ottiene una legittimazione più ampia nel voto.

Si parla poco e male del taglio dei parlamentari, e per questo rispondo, alla provocazione verso i “costituzionalisti del no” che secondo l’Huffington Post sarebbero questa volta troppo silenti, provocazione alla quale ha già risposto sul manifesto Gaetano Azzariti.
Nonostante siano apparsi diversi articoli di autorevolissimi colleghi che spiegano e rivendicano le ragioni del “no”, anche tra i costituzionalisti – e devo dire principalmente tra le costituzionaliste italiane – esiste un 99% (come nel resto della popolazione) che non trova spazio e non viene facilmente ascoltato, salvo poi dire che “i costituzionalisti tacciono”. I miei studenti direbbero “…ti piace vincere facile!”

Si può essere stati “costituzionalisti del no”, ed esserlo anche stavolta, non per un pregiudiziale rifiuto contro ogni riforma. Ma perché, quando la riforma è sorretta da ragioni sbagliate (antipolitica e facile demagogia sui costi della politica) e non correttamente innestata nel corpo della Costituzione, ignorando i contraccolpi che essa produrrà su garanzie e funzionamento della macchina parlamentare, il No diventa l’unica strada. Un caffè al giorno in cambio di una riduzione del margine della rappresentanza politica, in un paese oggi più che mai diviso e frammentato. E’ questo l’improcrastinabile taglio sui costi della politica?

Quanto al merito, per comprenderlo è centrale porre l’attenzione al rapporto tra istituti di garanzia della Costituzione e legge elettorale. Si dice oggi, tardivamente, che il taglio dei parlamentari sarebbe costituzionalmente sostenibile solo in presenza di una legge elettorale proporzionale. Questo stretto legame tra saldezza della Costituzione e materia elettorale è ben noto almeno dal 1993, quando il passaggio al maggioritario ha reso le maggioranze previste dalle norme sugli istituti di garanzia (revisione costituzionale, elezione del Presidente della Repubblica, dei giudici costituzionali, dei componenti laici del Csm) insufficienti a garantire scelte pienamente condivise e soddisfacenti.

Oggi, dopo un ondivago approccio al taglio dei parlamentari, non ci si dovrebbe accontentare di un adeguamento della legge elettorale, che possa garantire che ai ridotti numeri non corrisponda una totale esclusione delle minoranze, politiche, sociali, territoriali dal parlamento, ma si dovrebbe ampliare la discussione all’adeguamento dei regolamenti parlamentari, senza il quale la funzionalità dell’istituzione sarebbe compromessa. Per non dimenticare le già richiamate maggioranze previste per gli istituti di garanzia.

Le preoccupazioni sono dunque tante e condivise da tanti costituzionalisti. Questa volta però la scarsa attenzione dei mezzi di informazione sul referendum rende il compito veramente arduo. Abbiamo tutti bisogno dei media, pur nella consapevolezza del disperato ritardo della battaglia, per chiarire la posta realmente in gioco nel referendum costituzionale, e non abbiamo bisogno invece di polemiche strumentali sui costituzionalisti.

Ribadisco quindi il mio “no”, dovuto all’antiparlamentarismo alla base della riforma, e al suo non essere accompagnata da misure che valgano a rafforzare autorevolezza e funzionalità del parlamento, nel mentre se ne riducono le dimensioni. Un ultimo problema è quello per cui il taglio dei parlamentari è mal progettato: esso porterebbe infatti al risultato per cui alcune regioni vedrebbero il peso dei propri rappresentanti valere metà di quello di altre (es. Sardegna vs Trentino Alto Adige).

Una riforma quindi che farebbe figli e figliastri, mentre il paese ha bisogno più che mai di un parlamento nel quale si produca unità e non divisione, e che ridiventi urgentemente il luogo centrale ove discutere ed assumere scelte cruciali, come anche l’emergenza che stiamo vivendo ha dimostrato.

[*da il manifesto]

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