Oltre i rituali

1 Giugno 2013
Marco Ligas
La Sardegna perde progressivamente le caratteristiche di un luogo in grado di tutelare le condizioni essenziali di vivibilità dei suoi abitanti e del loro ambiente naturale.
Non è solo il livello di inquinamento che preoccupa. Sappiamo come le aggressioni del territorio siano state molteplici dal dopo guerra ad oggi e come i processi di industrializzazione o l’uso di ampie superfici per scopi militari abbiano via via trasformato l’isola, danneggiandola in modo irreversibile.
Ma se in passato questi interventi venivano presentati come occasioni di crescita e di lavoro, oggi non è più ragionevole credere agli effetti miracolistici di quelle politiche, non foss’altro perché non hanno prodotto alcun risultato né sul piano dello sviluppo economico programmato né su quello dell’occupazione.
Nessuna delle fabbriche sorte negli anni sessanta sopravvive, né hanno ripreso slancio i settori produttivi che quelle fabbriche hanno messo in crisi; l’unica immagine che abbiamo è quella di un’isola che ha assunto il volto di un territorio in continuo declino.
Certo, per non deprimerci completamente, possiamo affermare che non si è placata la collera e la protesta di chi ha perso il lavoro o rischia di perderlo, di chi si sente sempre più vicino alla soglia della povertà, dei giovani che non vedono alcuna prospettiva convincente per il loro futuro. Lo sciopero generale che si è svolto a Cagliari il 24 maggio, l’ennesimo in pochi anni, ha confermato questi sentimenti ma occorre non commettere l’errore di considerarli comunque durevoli. La collera e la protesta devono trovare percorsi praticabili perché producano un cambiamento credibile.
Nel corso dell’ultima manifestazione sindacale sono state ribadite le rivendicazioni per la conferma degli ammortizzatori sociali (Francesca Ticca della Uil), gli inviti alla politica perché ritrovi e recuperi le sue funzioni di direzione (Oriana Putzolu della Cisl) e la richiesta di un piano per il lavoro che punti sull’innovazione, l’istruzione e lo sviluppo dell’isola (Michele Carrus della Cgil).
Sono rivendicazioni legittime ma rischiano di apparire rituali perché ripetute negli anni senza determinazione e continuità e soprattutto senza aver coinvolto i lavoratori in un rapporto costruttivo e costante teso alla definizione di una piattaforma programmatica condivisa.
Credo perciò che sia opportuna, soprattutto per la dimensione e i caratteri della crisi odierna, una riflessione più approfondita su ciò che avviene nell’isola e sulle sue prospettive, anche qualche mutamento di rotta nella individuazione degli obiettivi. Mi chiedo, per esempio, se sia ancora ragionevole la richiesta del mantenimento di aziende e di attività che non presentano più alcuna possibilità di crescita pur sapendo che la prosecuzione di quelle attività richiederebbe continue sovvenzioni pubbliche oltre che provocare un ulteriore degrado del territorio. Ho sostenuto più volte, e ne sono ancora convinto, che è necessaria una conversione ecologica delle produzioni e anche dei nostri stili di vita (lo abbiamo ribadito anche il 15 maggio quando abbiamo ricordato Luigi Pintor in occasione dell’anniversario della sua morte). Le politiche che si pongono l’obiettivo di risanare il territorio non sono palliativi irrilevanti come a volte si sostiene con giudizi sbrigativi; al contrario sono importantissime perché producono lavoro e contrastano gli effetti dell’inquinamento. E in Sardegna sappiamo bene come questi interventi siano urgenti. Per queste ragioni è necessaria una politica industriale che si ispiri al rispetto delle compatibilità ambientali così come è opportuna una rilocalizzazione delle diverse produzioni.
Ecco, al di là delle enunciazioni generali, dei rituali, c’è almeno in nuce da parte delle organizzazioni sindacali e/o dei partiti democratici una disponibilità ad accettare l’ispirazione della politica della riconversione ecologica? Purtroppo non emerge, anzi appare sconcertante il giudizio espresso recentemente dalle stesse organizzazioni sindacali che hanno promosso lo sciopero del 24 maggio. Affermano queste organizzazioni che “è controproducente assumere posizioni pregiudiziali e ostili sulla realizzazione del progetto esplorativo” relativo al processo di metanizzazione dell’isola portato avanti dalla SarGas del gruppo della Saras. Davvero siamo convinti di questo?
Forse ai dirigenti delle organizzazioni sindacali è sfuggito l’esito di una ricerca sugli effetti del benzene nella composizione del Dna dei bambini che vivono nelle vicinanze della Saras (la ricerca ha messo in evidenza un’alterazione delle loro capacità cognitive, ne parla Stefano Deliperi in questo numero del manifesto sardo). Ma non sono solo i processi di metanizzazione che mettono in pericolo la salute dei sardi e il loro territorio; in questi mesi si moltiplicano le operazioni di invasione dell’isola: si va dalle trivelle nel Montiferru, ai radar dell’Asinara  (Porto Torres), dell’Isola della Bocca (Olbia) e di Capo Sandalo (Carloforte), dalle finte serre fotovoltaiche di Narbolia e Milis alla sovrapproduzione dei cardi funzionale alla centrale a biomasse di Portotorres. Ancora una volta tutte queste iniziative prevedono livelli di occupazione prossimi allo zero.
Con la scelta delle larghe intese, per cui si lavora anche in Sardegna, ci è stato detto che serve un accordo tra le imprese, naturalmente quelle produttive (il capitalismo di tanto in tanto ricorda che ci sono anche quelle improduttive), e le organizzazioni dei lavoratori, diversamente non si ridurrà il debito e non ci sarà crescita.
Non è un discorso originale ma è bene che tutti, a destra e a sinistra, si ricordino che non ci potrà essere crescita senza il lavoro e il rispetto dei diritti dei lavoratori.

4 Commenti a “Oltre i rituali”

  1. Giacomo Oggiano scrive:

    Caro Marco Ligas, cosa c’entra il metano col benzene della Saras? La Saras è una raffineria, cioè distilla o spezza (cracking) idrocarburi pesanti e ne produce altri tra cui il benzene che è un composto aromatico. Il metano non è un composto aromatico ( a meno chè non si consideri aroma l’odore delle deiezioni gassose delle mucche che ne producono in abbondanza) è un alifatico. Perchè questa sufficienza e odio nei confronti della scienza? Mi sai spiegare come i “processi di metanizzazione” (cosa sono?) mettono in pericolo la salute dei sardi e del loro territorio? Intendi dire che bruciare metano in luogo del carbone è più dannoso? Guarda che è prorio il contrario. Sono il carbone e l’olio combustibile che producono veleni. Se la Saras trova il metano rimbosiamole le spese e il metano sia di proprietà pubblica! Questo è di sinistra.
    L’atteggiamento di sufficienza, se non di odio, nei confronti della ricerca scietifica non fa parte della cultura della sinistra e del movimento operaio.
    Possibile che non riusciate a staccarvi da Croce e Gentile?

  2. Marco Ligas scrive:

    Caro Giacomo, ho letto con attenzione il tuo commento ma ho avuto l’impressione che non si riferisse al mio articolo. In poche battute mi hai attribuito un odio nei confronti della scienza (!), l’incapacità di staccarmi da Croce e Gentile e come conseguenza mi hai considerato estraneo alla cultura della sinistra: oddio, mi sono chiesto, che cosa ho scritto?
    Rileggo l’articolo. Nella parte che credo abbia provocato il tuo commento faccio riferimento ad una ricerca sugli effetti del benzene nella composizione del Dna dei bambini che vivono nelle vicinanze della Saras e sottolineo come la ricerca abbia messo in evidenza un’alterazione delle loro capacità cognitive. La proposizione finisce qui.
    Continuo il mio discorso e sottolineo come in Sardegna siano ancora molteplici le operazioni che mettono a rischio la salute dei sardi. E ne cito alcune: le ricerche del metano, più funzionali alle esigenze della Saras che non ai bisogni dei sardi, le trivellazioni nel Montiferru, la costruzione dei radar, delle finte serre fotovoltaiche di Narbolia e Milis ecc.
    Per te, caro Giacomo, sottolineare questi pericoli significa odiare la scienza o rimanere legati a Croce e Gentile? Io credo che dovremmo essere più rispettosi della salute dei cittadini. E usare la polemica senza abbandonarsi al gusto delle citazioni fuori luogo. In particolare dovremmo sempre verificare l’utilità di queste iniziative che il più delle volte sono finalizzate a tutelare gli interessi dei grandi centri del potere.

  3. Giacomo Oggiano scrive:

    Caro Marco, che il benzene sia cancerogeno e che ci sia una relazione tra benzene e casi di leucemie nei bambini – e non solo – è cosa assodata. Ma per rispetto della scienza non si può affermare che la metanizzazione dell’isola mette a rischio la salute dei sardi. Non esiste nessuna prova che il metano sia velenoso.Il metano è un gas serra 100 volte più efficace della CO2 e immetterlo in atmosfera è da criminali, ma, a bruciarlo, è il meno peggio tra i combustibili fossili. Il metano in atmosfera ci finisce dalle stalle e dalle risaie; da questo punto di vista il pericolo viene dall’agricoltura, sopratutto quella iper-intensiva della 3A di Arborea.E mi fa impressione vedere quelli che negli anni passati hanno alimentato il clerico-fascismo (si può ancora dire?) dell’Oristanese, tutti insieme appassionatamente, con grillini e anime belle della sinistra, a demonizzare una ricerca che è anche conoscenza scientifica e non ha nessun impatto ambientale, o quantomeno ha un impatto trascurabile rispetto alla devastazione prodotta dalla 3A nelle falde e nelle lagune dell’alto Campidano, che solo pochi hanno il coraggio di denunciare. Se si vuole stare dalla parte dei pochi privilegiati che detengono il monopolio del latte in Sardegna contro i molti che potrebbero giovarsi del metano (nel caso diventi bene comune) lo si dica senza invocare ideologie neo-bucoliche e dargli all’untore industrialista. Mi spiace, ma la critica dell’ideologia è ancora patrimonio della sinistra marxista.

  4. Marco Ligas scrive:

    Caro Giacomo, cerchiamo di intenderci. Il problema principale non è quello di precisare che cos’è il metano; lo sappiamo e tu ce lo ricordi bene. Nel mio articolo ho voluto sottolineare un altro aspetto, a mio parere assai più importante, riguarda il ruolo che viene riservato alla Sardegna da chi governa: è esagerato parlare di terra d’oltre mare e dunque di colonia? Il progetto Eleonora è uno dei molteplici tentativi (spesso portati a termine) destinati ad avere effetti negativi sul territorio senza che i sardi ne traggano vantaggi. Sottolineo uno dei molteplici. L’ho già detto (e prometto di non ripeterlo): in questi mesi sono tante le iniziative tese a produrre energia (!). Ma ti sembra ragionevole che vengano occupati migliaia di ettari per la produzione di cardi per la centrale a biomasse di Porto Torres (e se poi non basteranno i cardi ci sarà sempre l’immondizia che completerà il processo produttivo)? Se il progetto Eleonora andrà avanti ci saranno altre richieste per avviare nuovi impianti dell’industria mineraria, ma non avremo nuovo lavoro. Si ripeteranno le esperienze del passato. Caro Giacomo, anziché soffermarci a lungo sui caratteri di alcuni composti chimici perché non diamo il primato alla politica e cerchiamo di capire attraverso quali scelte sia possibile creare nuovo lavoro e avviare processi produttivi che rispondano ai bisogni delle nostre popolazioni rispettando l’ambiente?

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