Cosa mi ha insegnato Vera Gheno

25 Febbraio 2024

[Roberto Loddo]

La degenerazione del confronto nelle relazioni umane è evidente a chiunque sfogli un giornale, accenda la tv o semplicemente apra i social. La tendenza ad assumere posizioni estreme, la sottovalutazione della potenza delle parole e la separazione della propria opinione dal contesto ha trasformato il nostro modo di comunicare.

Ed è esattamente ciò che è accaduto ieri sera a Su Tzirculu, dove la scrittrice, saggista e sociolinguista Vera Gheno in dialogo con Roberta Spiga ha presentato Amare parole, il suo podcast sulla lingua che ogni domenica, per Il Post dal 26 marzo, indaga le parole, il nostro modo di usarle e i cambiamenti della lingua, a partire da notizie, fatti, e dichiarazioni particolarmente rilevanti.

Vera Gheno ha collaborato per vent’anni con l’Accademia della Crusca e per quattro anni con la casa editrice Zanichelli. Ha insegnato come docente a contratto all’Università di Firenze per 18 anni e da settembre 2021 è ricercatrice. Tra le sue opere più recenti, Trovare le parole. Abbecedario per una comunicazione consapevole (2021, con Federico Faloppa, Edizioni Gruppo Abele), Le ragioni del dubbio. L’arte di usare le parole (2021, Einaudi), Galateo della comunicazione, Cesati, 2023 e L’antidoto. 15 comportamenti che avvelenano la nostra vita in rete e come evitarli, Longanesi, 2023.

Durante la presentazione, come immaginavo, sono intervenute alcune persone che, riportando una polemica nata su Instagram (ma sarebbe più corretto definirlo un feroce linciaggio mediatico ancora in corso), hanno accusato Vera Gheno di non prendere posizione sul genocidio in corso in Palestina e lo hanno fatto con modi e toni drammatici, giudicanti e definitivi, senza ascoltare il suo punto di vista. Eppure, Vera Gheno nella sua introduzione ha ricordato di essere da sempre una persona che sostiene le ragioni del popolo palestinese e che condanna il genocidio in corso da parte di Israele.

È accaduto qualcosa di sorprendente. La stessa persona che era venuta a parlare delle perverse dinamiche dell’odio alimentato dall’istantaneità della comunicazione in rete veniva colpita a sua volta dalle stesse modalità da shit storming, questa volta fuori dal web, all’interno di un confronto tra persone reali e in presenza. Mi sono chiesto perché questa tempesta mediatica, compiuta da un numero indefinito di persone, ha scelto Vera Gheno come bersaglio. Perché non è la prima volta che accade. Il branco ha già preso di mira la sociolinguista per le sue posizioni sull’inclusività nella lingua italiana e sull’uso dello scevà (ǝ) in alcuni ambiti della lingua italiana scritta e orale.

Perché questo “fuoco amico” ha scelto lei, e perché proprio una donna? Perché una donna che già fa parte della nostra comunità politica e culturale? Perché attaccarla e definirla una “inutile intellettuale femminista bianca” se si definisce una femminista intersezionale, perché farlo se, come me, è solidale con il popolo palestinese? Perché non concentrare queste energie su un uomo, magari su un uomo di destra, omofobo, razzista, reazionario e sionista? Perché proprio lei? Perché non utilizza Instagram per fare quotidianamente l’attivista della causa palestinese e lo usa per pubblicare le foto dei gatti?

Quando abbiamo iniziato a trasformare le nostre relazioni in una somma di comportamenti e atteggiamenti arroganti e lesivi della dignità delle altre persone che ci circondano? Perché lo stiamo facendo anche con quelle che sono alleate e vicine, la nostra gente? Anche la sinistra è stata contaminata da questo progressivo decadimento di umanità dove nessuna persona, militante e attivista è immune dal linguaggio dell’odio. Sembrerebbe che nessuna persona sia immune dall’idea che per ottenere ragione si debba sopraffare l’altro.

Le persone che sono venute ad ascoltare Vera Gheno ieri sera, come me, hanno partecipato in maniera del tutto inconsapevole ad un esperimento sociale sulle dinamiche della post-verità. Ci siamo ritrovati in una discussione relativa alla notizia sul presunto utilizzo dei social da parte di Vera Gheno, dove la verità, il fatto oggettivo spiegato dalla stessa protagonista, è stato considerato da alcuni interventi come una questione di secondaria importanza. La polemica sul suo utilizzo di Instagram è stata percepita solo sulla base di emozioni e convinzioni personali. Una manipolazione della realtà senza alcuna analisi effettiva della veridicità dei fatti reali.

Per alcune persone non era davvero importante ciò che diceva Vera Gheno. La sentenza di condanna era stata già emessa e anche io che, come molte persone, sono intervenuto a sua difesa, mi sono sentito condannato. Per questo motivo mi sento di esprimere pubblicamente tutta la mia complicità, vicinanza e solidarietà. Personalmente ritengo che l’essere miti nella comunicazione sia una delle migliori caratteristiche personali e umane di chi si relaziona con gli altri.

Una virtù nel fare politica oggi. Per riprendere le parole di Norberto Bobbio in Elogio della mitezza (Il Saggiatore), il mite, (e non il pavido o il rinunciatario), è colui che lascia essere l’altro quello che è, e, al contrario del prepotente, desidera esprimere se stesso non a scapito dell’altro, attraverso una ecologia della parola che non comprenda pregiudizio e intolleranza. E per questo ritengo la nonviolenza delle parole e delle azioni parte dell’identità politica della sinistra del XXI secolo. L’antidoto alle degenerazioni della politica.

Voglio ringraziare Vera Gheno, perché mi ha fatto comprendere che ciascuno di noi può contribuire nel suo piccolo a bonificare il nostro modo di comunicare dalla violenza delle parole, e perché possiamo trasformare in medicina il veleno per rendere le nostre relazioni più sicure ed accoglienti.

Non abbiamo molti strumenti a disposizione.

Ma essere meno stronzi nelle relazioni umane è un buon punto di partenza.

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