Diritti dell’uomo e monitoraggio del loro adempimento

16 Settembre 2015
Marisa_Mori_Futurismo
Gianfranco Sabattini

Con l’avvento del liberalismo, i diritti dell’uomo sono stati concepiti essenzialmente come una garanzia dei soggetti nei confronti del potere politico. Essi sono divenuti il presidio di una sfera intangibile di autonomia individuale posto a difesa da ogni intromissione del potere politico. Con l’evoluzione dello Stato di diritto in senso sociale è stato compiuto un ulteriore passo avanti: non più soltanto riconoscimento o costituzionalizzazione dei diritti, ma anche assunzione da parte dello Stato del compito di promuovere le condizioni più adeguate alla loro soddisfazione. Ciò ha comportato un’ulteriore concretizzazione dei diritti umani, poiché lo Stato è stato chiamato a rimuovere gli ostacoli che si oppongono alla loro piena soddisfazione, a causa delle specifiche situazioni concrete che possono verificarsi all’interno dei singoli Stati.
Quando si parla di diritti dell’uomo, si esprime sia un valore etico-giuridico che un valore politico-giuridico; il discorso sui diritti dell’uomo ha acquisito un senso compiuto solo quando all’aspetto morale è stata associata la protezione giuridica. La funzione dell’aspetto politico-giuridico è quella di rendere il diritto morale effettivo nell’ordinamento giuridico interno e internazionale, sia sul piano formale che su quello sostanziale. Storicamente, all’interno dei diversi sistemi sociali che hanno ratificato i trattati sui diritti dell’uomo sono spesso esistite delle condizioni politiche, sociali ed economiche che hanno reso necessaria una definizione dei diritti correlata alla misura della loro possibile soddisfazione. La costituzione dei sistemi di sicurezza sociale e lo sviluppo delle politiche di welfare hanno comportato che nel tempo fossero definite le prestazioni destinate alla soddisfazione dei diritti e individuati i soggetti ai quali dovevano essere garantite.
La definizione dei livelli essenziali di soddisfazione è uno strumento per il rafforzamento dei diritti, ma anche delle prestazioni atte a garantirli. I livelli essenziali sono stati collocati entro politiche e interventi sociali a carattere universalistico, rivolti cioè a tutti i soggetti componenti i singoli sistemi sociali; all’universalità è stato, a volte, necessario associare anche la selettività, prevalentemente in base al livello del reddito individuale o familiare, o di altri fattori assunti come discriminanti. La definizione dei livelli essenziali di soddisfazione ha comportato l’acquisizione di una prospettiva strategica, idonea a consentire di programmarne lo sviluppo nel tempo e di individuare le modalità e i criteri di monitoraggio e valutazione. All’origine dell’interesse per la determinazione dei livelli essenziali di soddisfazione dei diritti vi è stata la necessità di ridurre l’eterogeneità dal lato dell’offerta della prestazioni tra le diverse aree di ogni Paese, ma progressivamente anche tra i diversi Paesi.
Negli ultimi decenni, soprattutto dopo la fine del secondo conflitto mondiale, i diritti dell’uomo si sono sempre più affermati, sino a coinvolgere la quasi generalità dei Paesi del mondo; tuttavia, nonostante la loro crescente affermazione, dovuta soprattutto all’impegno profuso nella promozione della loro adozione dall’Organizzazione della Nazioni Unite, sono rimaste irrisolte le procedure volte al monitoraggio dell’adempimento da parte dei singoli Stati delle obbligazioni assunte con la ratifica dei trattati internazionali che ne prevedevano l’estensione ai loro sistemi sociali. I problemi che si sono posti a livello internazionale, parallelamente alla sottoscrizione dei trattati, hanno riguardato innanzitutto come verificare realisticamente gli effetti della ratifica dei singoli trattati relativi ai diritti sulle procedure istituzionalizzate dai singoli governi riguardanti la loro garanzia e soddisfazione; successivamente, i problemi hanno riguardato l’organizzazione del monitoraggio, ovvero delle forme con cui verificare come la ratifica incidesse sulle pratiche governative, oppure se essa si riducesse ad una pura e semplice azione di propaganda posta in essere dai singoli governi per legittimarsi politicamente.
Di fronte alla frequenza con cui molti governi, in prevalenza di Paesi illiberali, non davano attuazione agli obblighi assunti con la firma dei trattati, alcuni analisti hanno sostenuto la necessità di un’evoluzione radicale nel definire i diritti, tale da permettere di far loro corrispondere delle politiche pubbliche basate su “metodologie quantitative”, con cui fosse divenuto possibile verificare i processi mediante i quali gli obblighi assunti in sede di ratifica dei trattati internazionali venivano assolti; in altri termini, per consentire – come afferma Attilio Pisanò in “Misurare i diritti umani. Le standard-based measures con approccio de facto” (Politica del Diritto, n.2/2014) – di poter verificare la piena corrispondenza tra l’obbligo assunto dai singoli Stati verso i trattati relativi ai diritti umani e la conformità delle politiche pubbliche adottate per l’organizzazione dell’offerta delle obbligazioni assunte.
L’esigenza di introdurre delle metodologie quantitative in fatto di diritti umani ha indotto l’Ufficio dell’Alto Commissariato ONU per i Diritti Umani (OHCHR) a promuovere la messa a punto di adeguati indicatori statistici che, integrati con le informazioni fornite dalle diverse Autorità internazionali preposte alla promozione e alla cura dei trattati internazionali, hanno fornito – sottolinea Pisanò – “un affidabile paniere d’informazioni-base per analizzare l’efficacia del diritto internazionale dei diritti umani e per calibrare specifiche policies in grado di realizzare compiutamente il salto dal piano formale, quello del riconoscimento dei diritti umani […], al piano sostanziale, quello degli impegni politici assunti”.
Sebbene la nascita dell’approccio quantitativo al campo dei diritti dell’uomo risalga a molti decenni fa, allorché il comportamentismo ha indirizzato le scienze sociali verso lo studio delle dimensioni osservabili e misurabili del comportamento individuale e collettivo degli uomini, è solo sul finire del secolo scorso che le metodologie quantitative hanno incominciato ad essere applicate; il governo americano è stato il primo ad avvalersene con regolare pubblicazione degli “Annual Country Reports on Human Rights Practices”, nei quali le prestazioni dirette alla soddisfazione dei diritti dell’uomo sono valutate sulla base di diversi standard, il principale dei quali è quello denominato “Standards-Based Measures” (misure basate su standard).
Questo standard non si limita a misurare i livelli delle prestazioni erogate a garanzia dei diritti, ma elabora anche valutazioni secondo due approcci diversi: uno “de facto” ed un altro “de jure”. Il primo valuta l’erogazione delle prestazioni sul piano fattuale, trascurando la loro conformità agli obblighi giuridici internazionali assunti dagli Stati; mentre il secondo estende l’analisi delle prestazioni, prendendo in considerazione anche gli aspetti normativi per valutare la conformità delle prestazioni ai contenuti dei trattati ratificati dai singoli Stati. Il “fil rouge” dell’approccio de jure, afferma Pisanò, è espresso dall’intento “di verificare efficacia ed effettività del diritto internazionale dei diritti umani”.
Sebbene i diritti dell’uomo e la loro piena soddisfazione non possano essere misconosciuti, per via del fatto che la statuizione dei diritti e l’obbligo delle prestazioni sono stati stabiliti da fatti istituzionali specifici, tuttavia l’adeguatezza delle prestazioni, lasciata alla discrezionalità dei singoli Stati, risulta ancora oggi talmente al di sotto degli standard minimi necessari da “banalizzarne l’importanza. Quanto ciò sia vero può valere la considerazione del modo in cui gli Stati della cosiddetta Unione Europea si stanno comportando nei confronti, non solo dell’accoglienza dei migranti per ragioni politiche, ma anche nei confronti del problema connesso agli oneri che il loro accoglimento obbligatorio comporta. Il problema degli standard delle prestazioni è destinato ad essere costantemente “banalizzato”, sino a quando non sarà introdotta una “vis coattiva” con cui obbligare i singoli Stati ad onorare gli obblighi contratti con la ratifica di trattati giuridicamente vincolanti.

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