Diritto al lavoro e ambiente

1 Ottobre 2012
Marco Ligas
Parlando dell’Ilva Rossana Rossanda ha ribadito che è giusto operare insieme per il lavoro e la salute. Ma padronato e lavoratori, si chiede Rossanda, hanno uguali possibilità e responsabilità nell’affrontare queste due esigenze?
L’interrogativo è d’obbligo perché spesso i lavoratori vengono accusati di essere poco sensibili alla tutela dell’ambiente e, al tempo stesso, disponibili ad accettare qualsiasi tipo di industrializzazione, purché portatrice di lavoro.
Se però osserviamo con attenzione quel che succede in tutti i settori produttivi ci rendiamo conto che i lavoratori hanno poche possibilità di scelta: è sempre il padronato, privato o pubblico, nazionale o internazionale, che stabilisce dove investire, dove aprire o chiudere le fabbriche, quale organizzazione del lavoro predisporre, quanta mano d’opera impiegare e così via. Anche quando interviene la Magistratura imponendo il blocco della produzione, come nel caso dell’Ilva, la condizione dei lavoratori non cambia; anzi per certi versi peggiora sia perché i lavoratori perdono il lavoro sia perché le aziende usano strumentalmente questi interventi per eludere le loro responsabilità, non pagando come dovrebbero i costi del risanamento ambientale o della messa in sicurezza dell’apparato produttivo.
E allora che fare? Noi diciamo spesso, quando parliamo della situazione economica della Sardegna e delle sue possibilità di crescita, che bisogna voltare pagina; lo abbiamo ribadito anche recentemente analizzando la situazione dell’occupazione nel Sulcis, sottolineando che è sbagliato difendere attività produttive che sono manifestamente in crisi. Ma voltare pagina non significa certo criticare i lavoratori attribuendo loro delle colpe se si battono per la difesa del lavoro e per la salvaguardia delle loro fabbriche.
Le responsabilità della crisi sono altrove: sarà superfluo ripeterlo ma innanzitutto sono insite nell’organizzazione capitalistica della produzione, sempre più globalizzata. Sappiamo bene che se il costo del lavoro è minore nelle aree sottosviluppate del pianeta, il padronato non esita a spostare le proprie attività in quei territori, poco gli importa se i lavoratori delle aziende che verranno chiuse si troveranno all’improvviso disoccupati e senza reddito. Quando si verificano queste circostanze tutt’al più si assiste ad un continuo tiro della fune tra le direzioni aziendali che hanno deciso l’interruzione delle attività e le istituzioni pubbliche sollecitate dai lavoratori e dai sindacati perché non vengano chiuse le fabbriche. È in queste circostanze che emergono le responsabilità delle istituzioni (governo e giunta regionale) che si mostrano incapaci di assumere una leadership credibile finalizzata a ribadire il primato della politica. E non è un caso che, proprio per questa debolezza o complicità, le richieste delle aziende diventano sempre più onerose e procedono con l’arma del ricatto: o finanziamenti più consistenti richiesti in forme diverse, anche attraverso la concessione gratuita di servizi, oppure la crisi. È quanto sta succedendo in Sardegna dove tutte le aziende che hanno ricevuto notevoli aiuti dal potere pubblico senza l’obbligo di dover dar conto dei risultati raggiunti oggi alzano il tiro, minacciando e abbandonando l’isola senza preoccuparsi dei disastri ambientali che hanno provocato. E non è un caso che una cordata di imprese brasiliane, disposte a riprendere le attività della Vinyls, abbiano dichiarato proprio in questi giorni di esserne impossibilitate a causa degli alti costi necessari per il risanamento ambientale, dopo le devastazioni provocate dalle attività dell’Eni.
Ma c’è anche una parte di responsabilità che coinvolge le formazioni politiche e sindacali che si dichiarano disponibili al cambiamento. La si riscontra nelle forme ripetitive del rivendicazionismo teso esclusivamente a tutelare la situazione esistente senza nemmeno sviluppare l’ipotesi secondo cui è possibile creare nuovo lavoro seguendo itinerari che sfruttino le risorse esistenti nel territorio.
Senza questi tentativi che richiedono profondi cambiamenti del nostro operare quotidiano e il superamento della pigrizia intellettuale, sarà difficile qualsiasi inversione di tendenza.

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