È pandemia!

11 Marzo 2020
[Massimo Dadea]

E’ caduto anche l’ultimo velo: è pandemia. L’organizzazione mondiale della sanità ha rotto gli indugi e, sia pure con ritardo ha decretato quello che in molti paventavano: “ il covid-19 si sta diffondendo in tutto il mondo e la maggioranza degli uomini non ha adeguate difese immunitarie”.

Il coronavirus sta determinando conseguenze terribili. Sarebbe da stolti continuare a negarlo. In primo luogo sulla nostra salute: mai, nel recente passato, abbiamo avuto una percezione così tangibile della fragilità della nostra esistenza. Ci sentiamo inermi e indifesi di fronte ad un pericolo subdolo e oscuro: un’entità invisibile, impalpabile, inodore, incolore. Un nemico indecifrabile e, sino ad ora invulnerabile, che si sta impossessando delle nostre libertà, che sta stravolgendo le nostre abitudini, che sta incrinando molte delle nostre certezze.

La vita sociale al tempo del coronavirus è come sospesa, così come i nostri rapporti interpersonali. Il nostro stesso pensiero è paralizzato da una paura primordiale. Ed invece mai come in questo momento dobbiamo saper usare la nostra intelligenza, saper attingere alla nostra razionalità, saper fare uso del nostro buonsenso. A noi cittadini spetta il compito di osservare scrupolosamente, senza deroga alcuna, le direttive emanate dalle autorità sanitarie, ad iniziare da quel “Io resto a casa” che deve diventare un imperativo categorico.

Un piccolo sacrificio rispetto a quello che è richiesto, in questi giorni, agli operatori sanitari (medici, infermieri, operatori socio sanitari, volontari) impegnati in prima linea nelle terapie intensive, nelle corsie degli ospedali, nelle ambulanze del 118 – senza badare ad orari o ai pericoli del contagio – in una battaglia decisiva da cui dipenderà la nostra sopravvivenza. Quello che sta accadendo in Lombardia è qualcosa di altamente drammatico. Secondo l’assessore regionale al Welfare i pronto soccorso e le terapie intensive potranno reggere ancora per non più di 15 o 20 giorni. E’ necessario allora che le altre regioni, quelle appena lambite dalla pandemia, adottino per tempo misure straordinarie per fronteggiare l’emergenza. La Sardegna è tra quelle dove si contano un numero di positivi al contagio abbastanza contenuto, dove fortunatamente non si registrano decessi.

Siamo quindi nella condizione di predisporre un piano straordinario di interventi: incrementare i posti letto di terapia intensiva, -attualmente possiamo contare su appena 113 posti letto – ricordando che la nostra è un’isola e quindi non possiamo contare sulla solidarietà delle regioni confinanti; dotarci di un consistente numero di ventilatori (apparecchiatura per la respirazione artificiale); l’assunzione di un adeguato numero di medici da impiegare nelle terapie intensive e di altrettanto personale infermieristico, così come di un appropriato numero di psicologi per fronteggiare i disturbi d’ansia e da stress che si verificano nel corso delle emergenze.

La sanità pubblica è rimasto l’unico baluardo contro il coranavirus, suscita allora rabbia e disprezzo l’operato di quanti, a livello nazionale e regionale, in tutti questi anni, hanno portato avanti una politica dissennata ed interessata di tagli della spesa sanitaria, quanti hanno lavorato al progressivo smantellamento della assistenza sanitaria pubblica, quanti hanno foraggiato con cospicue risorse quella sanità privata che, al momento del bisogno, si è squagliata come neve al sole.

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