Erri De Luca: “Decreto Minniti, vogliono censurare il diritto di critica”

16 Luglio 2017
Intervista a Erri De Luca di Giacomo Russo Spena

Lo scrittore della ‘parola contraria’ si schiera col giovane avvocato denunciato con l’accusa di vilipendio per aver constestato pubblicamente il decreto Minniti-Orlando: “Mi unisco al suo reato, quel provvedimento è infame”. Giovedì 20 luglio non potrà essere nella piazza #IoMiDenuncio di Roma ma dice: “Aderisco alle ragioni”. Infine attacca il governo per il rinvio dello ius soli ed è convinto che esiste un’Italia eccellente ma “manca ancora una rappresentanza politica dell’enorme potenziale civile del nostro Paese”.

Erri De Luca si è subito schierato, come spesso fa quando bisogna difendere le parole contrarie e il diritto al dissenso. “Gianluca Dicandia avvocato, denunciato per vilipendio: ha criticato il decreto Minniti. Mi unisco al suo reato. Il decreto è infame” ha twittato dal suo profilo lo scrittore napoletano. Ma veniamo ai fatti incriminati. E’ il 20 giugno scorso quando nella centralissima piazza del Pantheon, a Roma, durante un flash mob promosso da Amnesty International per i diritti dei migranti, un giovane avvocato, e attivista sociale, ha espresso dal microfono perplessità sul decreto Minniti-Orlando. L’intervento gli è valso prima un fermo con identificazione e poi una denuncia per vilipendio della Repubblica, delle Istituzioni costituzionali e delle Forze Armate. “Aderisco alle ragioni dell’avvocato incriminato per vilipendio” afferma oggi Erri De Luca, che in passato – ricordiamolo – è stato accusato di ‘istigazione al sabotaggio’ per alcune frasi in difesa del movimento No Tav. Vicenda che si è chiusa, positivamente, in tribunale con una assoluzione piena: il fatto non sussisteva.

L’attivista, fermato al Pantheon, è stato denunciato in base all’art 290 del codice penale per “vilipendio della Repubblica, delle istituzioni costituzionali e delle forze armate” semplicemente perché in un flash mob ha osato contestare il decreto Minniti-Orlando. Siamo al reato d’opinione, non trova?

Gianluca Di Candia è un avvocato che ha criticato il decreto in toni civili e argomentati. È appunto un avvocato. Io non lo sono, e considero il decreto una infamia, perché toglie il diritto di appello alla persona richiedente asilo che si vede respingere la sua istanza in prima battuta. A una persona che ha perso in vita sua tutto quello che si può perdere e che si trova costretta a cercare riparo lontano dalla sua terra, si toglie anche questa garanzia. La sua pratica passa in Cassazione dove non potrà difenderla con la sua persona. E perché questo decreto si accanisce contro un diritto garantito dalla Costituzione? Perché il 70% delle sentenze di appello sono favorevoli al richiedente asilo. E’ una volontà di persecuzione e perciò una infamia. Se questa convinzione è un reato, me ne assumo la responsabilità.

Il reato art 290 è stato utilizzato, nel Paese, soprattutto negli anni ’70. Come si spiega questo suo ritorno, tra l’altro, nei confronti di un avvocato che era presente ad una mobilitazione totalmente pacifica e dai toni bassi?

Volontà di censura nei confronti di chi si adopera per offrire aiuto e sostegno ai casi di estrema necessità. Le navi dei volontari che salvano naufraghi dall’annegamento sono state bersaglio di calunnie e diffamazioni lasciate poi cadere senza neanche chiedere scusa. Oggi il ministero del decreto infame stila nuove misure per intralciare il loro intervento di soccorso. C’è volontà di ostacolare i salvataggi e c’è volontà di censura contro il diritto di critica.

Una sigla di realtà sociali ha dato appuntamento giovedì 20 luglio, sempre al Pantheon, per un presidio in difesa della libertà di dissenso e di espressione. “#IoMiDenuncio: liberi di dire ‘no’ ai decreti Orlando-Minniti” è lo slogan della manifestazione. Lei aderisce alla mobilitazione?

Ho aderito alle ragioni dell’avvocato incriminato per vilipendio, ma non sono a Roma in questi giorni.

Mentre aumentano povertà e diseguaglianze sociali, diminuiscono gli spazi di partecipazione tanto che cresce la disaffezione dei cittadini nei confronti della res publica come dimostra anche il tasso di astensionismo alle recenti elezioni amministrative. In Occidente possiamo parlare, ormai, di post democrazie o è un’esagerazione?

Non so cosa vuol dire post democrazia, noi siamo in una democrazia che possiede una carta costituzionale spesso calpestata, aggirata, ignorata. Noi siamo nel tempo della legittima e necessaria difesa di quella Carta e della sua attuazione.

Nel Novecento il conflitto (sociale) è stato il motore vitale delle democrazie occidentali. Adesso, con la crisi economica e l’accumulazione di potere e ricchezze nelle mani di un’elite, gli spazi di agibilità democratica nel nostro Paese non si stanno restringendo in modo sempre più preoccupante?

Vedo la condizione di cittadino degradata a quella di cliente. Lo Stato da garante del diritto alla salute, alla istruzione, alla giustizia, diventa erogatore di servizi alla clientela. Il cliente è valutato in base al suo potere di acquisto: se ha denaro può accedere a una buona difesa in tribunale, a una buona istruzione, a un buon trattamento sanitario. Lo Stato diventa azienda, questa è la bestemmia in corso contro la quale si deve rianimare la condizione opposta di cittadino di una comunità di uguali.

La Turchia (così come la Russia) sta reprimendo il diritto al dissenso processando intellettuali e giornalisti. Il nostro Paese sembra vivere una realtà diversa: ma siamo sicuri che la Turchia è così distante da noi? Non rischiamo anche in Italia una svolta autoritaria?

La Turchia ha avuto bisogno di un colpo di Stato per trasformarsi in una dittatura. Anche da noi occorrerà uno strappo per annientare i diritti elementari, non potrà succedere per via strisciante da un governo all’altro.

Come invertire la rotta? Come riaprire spazi di discussione e democrazia nel Paese?

Manca una rappresentanza politica dell’enorme potenziale civile del nostro Paese. Non si tratta di protesta, ma di dare valore aggiunto all’innumerevole attività di volontari e di piccole amministrazioni impegnate a governare bene con pochissimi mezzi. Esiste un’Italia eccellente che aspetta una proposta politica per raccogliersi.

Ultima domanda: il governo ha deciso di fare marcia indietro sullo ius soli, se ne riparlerà in autunno. Perché, secondo lei, il Pd ha ceduto ai peggiori istinti xenofobi sostenuti da Lega e M5S che stanno facendo una campagna contro l’invasione dei migranti e lo ius culturae?

Il governo, cioè il PD, oggi è rappresentato dal decreto infame, dal ministro che va in Libia a dare soldi a un rappresentante che governa solo i metri quadrati del suo ufficio di Tripoli, mentre il resto del paese e la costa sono in mano a formazioni armate che controllano anche la Guardia Costiera. Il nostro governo è incapace di intendere e volere una norma che regolarizza la posizione di cittadini italiani nati nel nostro Paese, che hanno frequentato le nostre scuole, che parlano l’italiano e che appartengono alla vita civile del nostro presente e del nostro futuro. Lo Ius Soli, questo desueto nome latino, va chiamato invece Birthright Citizenship. Usiamo a sproposito la terminologia inglese, ma stavolta siamo andati a nasconderci dietro il latino. Stavolta ci vergogniamo di usare quella lingua, perché quella lingua riconosce quel diritto.

Da repubblica.it – micromega

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