Errori e arroganza

1 Agosto 2008

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Gianni Loy

Ad agosto si stacca, almeno per un po’. Sarebbe potuta essere l’occasione per una riflessione di carattere più ampio sul funzionamento del mercato del lavoro, al di là delle contingenze e dai provvedimenti che si sono rincorsi negli ultimi mesi. Immaginavo una riflessione sull’idoneità di alcuni degli strumenti propri dell’analisi marxista, a spiegare le trasformazioni in atto in materia di occupazione e di mercato del lavoro. Se di trasformazione si tratta. Ed invece, la cronaca ci insegue, incessante ed impietosa, sino all’ultimo giorno utile prima che questo governo si prenda una pausa. Ora è la volta della proposta di cancellazione di uno degli strumenti classici dello stato sociale, quello delle pensioni sociali, che si vorrebbe riservare solo a chi abbia versato contributi per almeno 10 anni. Come a dire un taglio di oltre il 90 per cento delle risorse tradizionalmente riservate ai più indigenti. E’ stato l’errore di chi voleva solo evitare l’orrore di concedere una pensione sociale agli extracomunitari ultrasessantacinquenni? Giusto per capirci, qualche migliaio di persone. O è stato il solito modo di buttarla lì, fingere di non aver capito bene, e poi magari andare avanti? Come è avvenuto con l’altro emendamento. E’ comparso misteriosamente, alcuni ministri si sono persino dissociati, poi ecco il Governo a dichiarare che, in ogni caso non si tocca. Parliamo dell’emendamento che va sotto il nome di “norma antiprecari”. Definizione sbagliata, e non perché la norma non vada contro gli interessi dei precari, che sono, nel caso concreto, i lavoratori ripetutamente assunti a termine in violazione delle norme di legge vigenti nel territorio italiano che si sono rivolti alla magistratura perché accerti le eventuali violazioni ed applichi la legge. Ma sono anche, guarda caso, migliaia e migliaia di lavoratori che già sono ricorsi alla magistratura e che già hanno ottenuto in primo grado, o anche in secondo grado, una sentenza favorevole per cui i rispettivi datori di lavoro, soprattutto la società Poste italiane, dovrebbero mantenerli in servizio a tempo indeterminato. In tutto questo, non c’è soltanto l’orrore della prevaricazione dei diritti di persone che hanno sofferto anni di precariato, i tempi, i ritmi, i costi, ed anche i rischi, di un processo contro il proprio datore di lavoro, che hanno sofferto anche psicologicamente il peso di una dura battaglia di anni condotta, in fin dei conti, soltanto perché il proprio datore di lavoro rispetti ciò che sta scritto nelle leggi, condivise, di una Repubblica fondata sul lavoro. Ma, perché non riprendiamo a chiamarli, sarebbe più corretto, i padroni? No c’è dell’altro, c’è l’arroganza di chi per fare un piacere all’amico di turno, non esita, ancora una volta, ad imporre il fermo gioco alla magistratura, che ha perso tempo, fatica, e speso denaro dei contribuenti. Stiamo parlando di decine di migliaia di processi, cioè di quell’elementare tassello dello stato democratico che viene utilizzato per ripristinare la giustizia tra privati quando una delle due parti prevarica sull’altra. Ebbene, questa norma “antiprecari” è anche una norma antiprocessi. L’Italia repubblicana, per voce della magistratura ha, o sta per, ripristinare il diritto imponendo a chi ha violato la legge di rispettarla. Anche alla giustizia civile, in altri termini, si incomincia a riservare lo stesso trattamento di quella penale, anzi peggio, posto che quando le sentenze non sono gradite, se ne vanificano gli effetti. Il tutto soltanto per compiacere alcuni privati. Non tutti, si badi bene, ma proprio quelli che volutamente hanno violato la legge semplicemente per risparmiare. E’ il caso tipico delle Poste, che per risparmiare, pur avendo necessità di migliaia di postini, anziché assumerli a tempo indeterminato ha messo in opera una successione di contratti a termine che, alla fine, si sono rivelati illegittimi. Detto in altri termini, siamo in piena repubblica delle banane, dove il governatore di turno cancella i debiti dell’amico con una legge. Comunque vada a finire, con le promesse di rimettere mano a questi emendamenti, si tratta di altri segnali allarmanti. L’eterno problema, a ben vedere, è quello di tenere elevata la disponibilità di manodopera ed allo stesso tempo tenere basso il costo del lavoro. Per far ciò, ai tempi di Marx, si faceva ricorso al cosiddetto esercito di riserva, che “preme durante i periodi di stagnazione e di prosperità media sull’esercito operaio attivo e ne frena durante il periodo della sovrapproduzione e del parossismo le rivendicazioni”. Sistema, tipico del capitalismo, che lo stesso Marx riconosce fortemente variabile a seconda delle circostanze. Sistema che nelle società d’oggi, che più post non si può, continua a funzionare adattandosi alle profonde trasformazioni che l’hanno segnata negli ultimi decenni. Una delle specificità del capitalismo dei nostri tempi è quello di mantenere un sufficiente esercito di riserva anche quando le “riserve” scarseggiano all’interno delle economie occidentali.. La globalizzazione ha il pregio di rendere facilmente disponibile la manodopera presente nei bacini non industrializzati. Se così non fosse, la penuria di mandopera interna, in alcune aree geografiche che, anche nel nostro paese, si trovano in situazione di piena occupazione, farebbe fatalmente lievitare i salari. L’immigrazione, quindi, che non solo consente di non chiudere attività che non possono più autoalimentarsi, ma produce un controllo della spirale dei salari. I francesi sono particolarmente abili in questo tipo di operazioni, prevedendo una serie di norme che consentono e favoriscono l’ingresso delle qualifiche dove sono deficitari. Incentivando addirittura, ma è quanto si propone anche l’Unione europea, l’ingresso dei lavoratori altamente qualificati più richiesti dall’economia del paese. Queste operazioni pongono qualche problema quando tutti questi lavoratori non servono più sarebbe meglio che tornassero a fare l’esercito di riserva nei loro paesi prima di essere nuovamente richiamati. E’ quanto accade in Spagna, dove si cerca di rispedire al proprio paese centinaia di migliaia di lavoratori edili extracomunitari, in eccesso per la crisi dell’edilizia, promettendo loro il biglietto di ritorno e l’anticipo del trattamento di disoccupazione. Anche la straordinaria diffusione del lavoro irregolare, in fondo, alimenta l’esercito di riserva, lavoratori che sopravvivono ai margini del mercato del lavoro regolare e che possono entrarvi al minimo richiamo. Come lo alimenta l’esercito dei precari. Fenomeni più moderni che, in tutti i casi, finiscono per svolgere una funzione di calmieramento dei salari, sia in quanto attività economiche concorrenziali sul piano dei salari, sia in quanto occasione di integrazione del reddito che evitano l’altrimenti inevitabile pressione verso aumenti salariali da parte dei lavoratori occupati. Come ai tempi di Marx, l’incidenza salariale nel complesso dei costi di produzione, a parità di prezzo del prodotto finale, incide evidentemente sui profitti. Arriva la bella notizia per l’economia italiana in crisi. I profitti delle più grandi imprese del paese si sono più che raddoppiati, a volte sino ad oltre il 200%.. C’entrerà qualcosa con i salari che vengono tenuti sotto la soglia di sopravvivenza ed massiccio ricorso alla precarietà?

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