Il baraccone

1 Gennaio 2018
[Gianni Loy]

Sembra cronaca. Ma potrebbe essere storia. Una storia che, ripetendosi, riporta alla mente i corsi ed i ricorsi di vichiana memoria.

La cronaca di questi giorni ci informa che la potente Ryanair, dopo l’ultima offensiva dei suoi piloti ed assistenti di volo, ha capitolato. Almeno nel senso che, dopo le ripetute minacce nei confronti dei dipendenti che avessero osato scioperare, ha riconosciuto il sindacato: siederà al tavolo delle trattative.

Amazon, al contrario, continua a rifiutarsi di trattare con i lavoratori che, però, hanno deciso di incrociare le braccia e di organizzarsi sindacalmente.

Sono soltanto i fatti più recenti, e più eclatanti, delle ultime settimane che lasciano intravedere qualche elemento di rottura rispetto al progressivo peggioramento delle condizioni di lavoro e del trattamento retributivo cui si assiste, a volte persino con rassegnazione, ormai da anni.

E’ accaduto che nella gerarchia dei valori degli Stati e delle organizzazioni sovranazionali (per fortuna non tutte poiché l’Oil (Organizzazione Internazionale del Lavoro) ed il Consiglio d’Europa, (da non confondersi con l’Unione europea) remano in altra direzione, ai diritti dell’impresa viene riconosciuta sempre maggiore importanza nella gerarchia dei valori. Allo stesso tempo, i diritti fondamentali della persona, soprattutto quelli legati allo status di lavoratore, e quelli connessi con l’attività sindacale (organizzazione collettiva, sciopero) vengono retrocessi ad un ruolo subalterno rispetto alla libertà d’impresa ed alla libertà di circolazione di merci e lavoratori, orami collocati sullo stesso piano.

Dal punto di vista sociale, siamo in presenza di un conclamato fenomeno di pauperizzazione che esalta l’acuirsi dei divari, concentra il potere nelle mani di pochi, all’interno di uno scenario ormai privo di confini, e vede ridursi il potere della politica ad amministratrice degli interessi di quanti detengono il potere.

Le organizzazioni che, tradizionalmente, avevano favorito l’affermarsi dei diritti di quella composita associazione di movimenti, che si ispiravano alla classe operaria, sono state ridotte al silenzio, eppure hanno contato, e come, nella storica affermazione dei diritti dei lavoratori, penetrati nel cuore della legislazione degli Stati civilmente più evoluti. Diritti che, laddove incardinati nel sistema giuridico, sono stati gradualmente depotenziati, se non abrogati, in nome della nuova religione iperliberista cresciuta tra le macerie del muro di Berlino.

Il silenzio, in questi ultimi anni, non è stato assoluto. Tuttavia, ciò che prima era rappresentato da partiti di massa, oggi è nelle mani di formazioni assai più limitate, (che, in ogni caso, della storia del movimento operaio mantengono pervicacemente, la vocazione alla frammentazione). Organizzazioni, in definitiva, paragonabili piuttosto alle avanguardie che alle organizzazione di massa.

L’organizzazione capitalista, facendo tesoro delle nuove tecnologie, sia in senso materiale che organizzativo, ha resuscitato la plebe, le masse sfruttate ed incapaci di reazione, oggi costituite soprattutto dallo sterminato esercito di precari. Si tratta di lavoratori nuovamente esposti al rischio di perdere in qualunque momento la fonte di sussistenza ed esposti perciò al ricatto che, allo stesso tempo, costituiscono il nerbo di un novello esercito di riserva.

Hanno ripreso ad espandersi gli spazi dell’assistenza e della beneficienza, sia quelli organizzati dallo Stato, sia quelli, spontanei, che fioriscono dai buoni intenti di chi ancora pensa che tutti, indipendentemente dalla proprie condizioni, abbiano diritto ad una vita dignitosa.

E poiché lo Stato non è più in grado, non può o non vuole, farsi carico delle nuove povertà, ecco che fioriscono, soprattutto sotto l’egida delle organizzazioni religiose, le iniziative di contrasto contro le povertà estreme.

Tornano alla mente i tempi nei quali l’assistenza non era ancora entrata a far parte dei doveri istituzionali dello Stato, dei tempi nei quali, prima che incominciasse la storia del movimento operaio, solo la carità provvedeva a alleviare le pene di un proletariato sfruttato senza ritegno.

Sono molti, in definitiva, gli elementi di similitudine tra il clima della prima rivoluzione industriale e quello che ci introduce alla quarta rivoluzione industriale, quella delle intelligenze artificiali e della robotica.

In comune la distribuzione del rischio che, allora come, oggi, ricade prevalentemente sul lavoratore. E’ il lavoratore, infatti, che poteva, e può, esser facilmente espulso dal processo produttivo tutte le volte che la sua prestazione non risulti conveniente per il datore di lavoro. In comune la subordinazione personale, oggi paludata sotto forma di evanescenti tipologie contrattuali che, equivocamene intitolate all’autonomia, annullano, di fatto, ogni libertà individuale.

In comune l’avversione per le forme associative: allora, costituire un sindacato o scioperare poteva persino costituire un reato. Oggi non si arriva a ciò, ma i lavoratori, e non soltanto quelli precari, sono sempre più esposti al rischio, o al ricatto, di perdere qualche beneficio, o persino il posto di lavoro, par l’affiliazione ad un sindacato o per il solo fatto di aderire ad uno sciopero.

Oggi, come allora, è ancora una volta la Chiesa, un Papa, che leva la propria voce a difesa della dignità del lavoro e dei lavoratori, ed ancor più delle lavoratrici.

Oggi come allora, quando gli Stati proclamavano la loro estraneità rispetto al fenomeno e pretendevano che fosse regolato soltanto dal diritto civile: laissez faire, lasciate passare, gli Stati si ritraggono progressivamente dall’impegno (talvolta esplicitamente assunto in sede costituzionale) di “immischiarsi” nelle vicende del lavoro per limitare il potere eccessivo della parte forte del rapporto di lavoro.

Certo, si diceva, e si ripete, l’importante è che il rapporto sia regolato da un contratto. Mi vengono alla mente le parole di un dipendente di Amazon: come potrei realmente contrattare, da solo, le condizioni del mio contratto di lavoro, avendo di fronte a me, come controparte, l’uomo più ricco del mondo?

Queste contraddizioni, queste difficoltà, i lavoratori del secolo scorso le hanno affrontate e superate, grazie alla capacità di auto organizzarsi, riunirsi in sindacato, intraprendere forme di lotta che, gradatamente, sono state capaci di controbilanciare lo strapotere padronale.

Nella cronaca di questi giorni trova anche qualche similitudine positiva. Quelle masse di lavoratori precari che sembravano destinati a chinare la testa per sempre a costituire la nuova plebe del XXI secolo, danno segni di ribellione, incominciano ad organizzarsi. Non importa se sotto l’egida dei sindacati storici o di altre organizzazioni, incominciano ad organizzarsi ed a porre in essere forme di lotta, riscoprono la tradizionale arma dello sciopero che, piaccia o non piaccia, continua a costituire, in molti casi, uno dei pochi strumenti di lotta efficaci.

Proprio come nel passato, incominciano ad individuare i punti deboli della controparte. Riprendono a sollecitare l’attenzione di una opinione pubblica distratta, cioè dei consumatori. Chiedono la parola. Aspirano a ripetere quel processo di affrancamento che la classe operaia ha posto in essere proprio passando “dal silenzio alla parola”, secondo l’efficace sintesi di un acuto osservatore della storia operaia e sindacale (Le Goff).

La decisione di Ryanair di accettare il confronto con i sindacati, o meglio la capacità dei piloti ed assistenti di volo di riuscire ad imporglielo, ha un grande valore simbolico. Potrebbe trattarsi (unitamente ad analoghi segnali provenienti da una nuova classe di sfruttati che sembrava incapace di ribellione) dell’avvio di un nuovo processo di affrancamento, di un “ricorso storico”.

Non tragga in inganno il fatto che gli artefici siano i piloti, categoria un tempo costituita da previlegiati in possesso grande forza contrattuale. Oggi non lo sono più. In ogni caso, anche caso gli inizi della storia, le categorie più professionalizzate, quelle dotate di forza contrattuale, hanno dato un fondamentale contributo alle conquiste della classe operaia.

Una piccola, grande conquista, che ci fa credere, e ci fa sperare, che un popolo che da sempre sta sulla breccia, calpestato e diviso, fottuto e deriso, sia capace di buttarsi, non a testa bassa ma a testa alta, per mandare all’aria il baraccone, più moderno, tecnologicamente più avanzato, ma sempre baraccone.

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