Il caso della Grecia

16 Marzo 2015
A child sitting on his father's shoulders attends a campaign rally by opposition leader and head of radical leftist Syriza party Alexis Tsipras in Heraklion, on the island of Crete
Vittorio Bona

L‘assemblea pubblica organizzata da Il Manifesto sardo e da Democrazia oggi in sostegno del popolo greco ha favorito una riflessione e un dibattito sui temi legati al debito pubblico e alla crisi che vivono diversi paesi europei. Su queste questioni pubblichiamo un articolo che ci ha inviato il prof Vittorio Bona (red)

Il caso del debito greco può essere esaminato sotto molti punti di vista. Dal punto di vista macroeconomico, l’insostenibilità del debito già paventata prima delle sedicenti misure di salvataggio finanziario della Grecia è apparsa nettamente confermata dopo la cura economica dissennata imposta dalla troika (FMI, BCE, UE). Il fatto che l’economia greca sia in uno stato che tecnicamente è di default trova concorde un vasto arco di analisti, sia di destra che di sinistra. Tuttavia, quando dal piano dell’analisi si passa a quello delle decisioni politiche, le differenze che sembravano scomparse si riaccendono d’un colpo. La questione delle responsabilità, ovvero a chi vada intestato il conto, ripropone da capo l’intero contenzioso.  E  così che mentre da una parte si sostiene che la Grecia si è creata da sé i propri guai per cui deve restituire quanto ottenuto in prestito; dall’altra parte si risponde rilevando il ruolo a dir poco disinvolto dei compiacenti prestatori che hanno dato un forte contributo nel sospingere la Grecia nel marasma finanziario. Ma sopratutto si solleva l’argomento della sovranità popolare che non può essere tradita, stante l’inequivocabile mandato che il popolo greco ha conferito al suo nuovo governo affinché rinegoziasse la ristrutturazione  del debito nella sua interezza.

Purtroppo l’Eurogruppo a cui spetta l’ultima parola non è una corte di giustizia, ma un’assemblea politica, per di più rozza e frettolosa. James Galbraith, che  ne ha seguito i lavori su invito del ministro Varoufakis, ha dichiarato di aver incontrato: “Tanta ignoranza e arroganza da parte di molti ministri”, le maniere sbrigative  “Non ci hanno dato il tempo” e il ruolo inquietante per il futuro dell’Europa esercitato dal governo tedesco “la Germania detta legge” (intervista a la Repubblica del 23 febbraio 2015).

Il compromesso raggiunto in seno all’Eurogruppo non sembra d’altro canto aver disarmato le pretese di coloro che in sintonia con il ministro delle finanze tedesco, Schaeuble, vorrebbero mantenere la pistola puntata alle tempie della Grecia. Ma se per riportare il nuovo governo greco sotto il giogo della lex germanica dell’austerità lo si costringesse a un accordo che tradisse la fiducia del suo popolo, si compirebbe un misfatto di una gravità inaudita. Non solo per la Grecia, ma per l’intera Europa. Perché verrebbe meno anche l’ultimo velo di residua formalità dietro cui si è finora celato il vuoto di democrazia.

Può essere utile perciò ripensare la  vicenda Greca e le iniziative a sostegno del suo governo sotto un’ottica diversa. La solidarietà fra i popoli europei quanto mai opportuna nella delicata congiuntura vissuta dalla Grecia può trovare più forza  e più ampi consensi se incardinata nella prospettiva della democrazia moderna. A differenza della concezione classica, i principi informatori dell’azione degli Stati, che si è soliti riassumere nel buon governo e nella pace, trovano nella democrazia moderna un rinforzo normativo sancito dal diritto internazionale a cui tutti gli Stati europei si sono vincolati in forza dei trattati sottoscritti fin dal secondo dopoguerra.

La vicenda del debito greco ha messo a nudo due snodi nevralgici del circuito democratico, sia sul piano interno nel fondamentale rapporto tra popolo e governo, sia sul piano esterno dei rapporti reciproci tra Stati. La prospettiva istituzionale – che nel linguaggio economico designa le regole del gioco (norme giuridiche, etiche, costumi, ecc.) a cui sono riconducibili i comportamenti degli individui e delle organizzazioni – aiuta, infatti, a comprendere la natura dei rapporti che stanno all’origine della vicenda greca, mettendo in luce ciò che ha reso possibile che una questione in sé banale di debiti volgesse in tragedia, coinvolgendo  un popolo intero, disinformato e privo di ogni possibilità di difesa.

Perché il caso della Grecia ci mette sotto gli occhi quali effetti devastanti possono derivare quando un problema ereditato dal passato – come è la peculiare vulnerabilità delle istituzioni democratiche nel rapporto fiduciario tra il popolo e il governo – viene ad imbattersi con una delle manifestazioni più tipiche del nostro tempo: rappresentata dalla globalizzazione finanziaria. In queste situazioni unitamente ai problemi derivanti dalle asimmetrie d’informazione tra banche, governo e cittadini, assume un peso decisivo la questione cruciale della determinazione dei beni posti a garanzia dei prestiti.

La vulnerabilità dei contratti per via di asimmetrie informative tra i contraenti o in ragione dei costi proibitivi derivanti dalla stipulazione di un contratto cosiddetto completo è stata studiata dalla teoria economica con riferimento prevalente al settore privato di mercato. Ma anche per senso comune più elementare risulterebbe del tutto scriteriato quel principale che conferisse un mandato ad un agente per contrarre un prestito senza porgli alcun vincolo in merito all’importo, all’interesse, alle scadenze e, ancora peggio, senza porre alcun limite alle  garanzie da offrire al creditore. Se dall’ambito privato ci spostiamo alle istituzioni della democrazia classica – così come si è configurata sino all’inizio della seconda guerra mondiale – ci si accorge quali e quanto preoccupanti sono le analogie col su richiamato contratto d’agenzia. Anche in questo caso vi è un principale, il popolo sovrano, che elegge i suoi rappresentanti, legittimandoli ad operare in suo nome senza alcun vincolo di mandato. Il rimedio non consiste nel cosiddetto mandato vincolato come talvolta si sostiene perché si andrebbe incontro a quegli inconvenienti già accennati che rendono antieconomica la completezza dei contratti. Per evitare che in caso di insolvenza sia possibile travolgere la ricchezza di una nazione, la determinazione preventiva dei beni in garanzia sarebbe un passo avanti nella giusta direzione.

Ma l’aspetto più stupefacente nel caso della Grecia è che gli agenti degli Stati riuniti in seno all’Eurogruppo  siano così tanto convinti di avere tutto il diritto di costringere il governo greco ad infierire contro il suo principale, cioè il suo popolo, da insistere sull’adozione di provvedimenti che contro ogni principio umano e lume di ragione aggravano le condizioni di una popolazione già stremata e affamata.

Fortunatamente a differenza della democrazia di tipo classico, per le moderne democrazie gli standard di comportamento  per coloro che pro-tempore esercitano i poteri di governo oggi trovano un riferimento impegnativo nel diritto internazionale positivo che ha preso corpo nei trattati sottoscritti dagli Stati, a partire da un documento essenziale nella costruzione del nuovo ordine internazionale dopo le barbarie della seconda guerra mondiale:  la Dichiarazione universale dei diritti umani.

Frutto di un accordo tra i paesi dei due blocchi, rappresenta un importante e saggio compromesso tra la libertà negativa derivante dalla tradizione liberale a difesa dei diritti di ogni singolo individuo dall’invadenza del governo e la libertà positiva che in accordo alla tradizione socialista postula un intervento attivo da parte del governo per far fronte a bisogni che in assenza di incentivi il mercato non ha interesse a soddisfare. Questa codificazione ispirata ai principi di buon governo e di pace è transitata anche a livello Europeo con i trattati ratificati dagli Stati allo scopo di costituire un contrappeso democratico alla concentrazione di potere militare derivante dall’Alleanza Atlantica. Il Consiglio d’Europa con la giurisdizione della Corte Europea dei diritti dell’uomo vigila sul rispetto dei trattati, ed è aperta alle istanze provenienti dagli Stati membri, da singoli individui e da organizzazioni non governative. Gli impegni assunti in tali sedi non impediscono la stipulazione di ulteriori accordi internazionali come quelli intervenuti successivamente con i vari trattati comunitari europei, dal Mercato comune all’Unificazione europea,  fino ai trattati istitutivi e regolatori della moneta unica, che sono alla base del contenzioso con la Grecia. La validità di questi successivi trattati europei è però soggetta alla condizione che le clausole da essi stabilite e le relative modalità di esecuzione siano migliorative o comunque non peggiorative nella tutela dei diritti universali, civili, politici, e sociali a cui gli stessi Stati si erano già in precedenza impegnati.

Siamo sicuri che il rispetto dei parametri di Maastricht autorizzi a gettare sulla strada migliaia di lavoratori o che sia sufficiente, restando in Italia, la lacrima di un ministro e un suo dispiaciuto bisbiglio “Bisognava far cassa” per lasciare senza lavoro, senza pensione o qualsivoglia altro sostegno pubblico migliaia e migliaia di lavoratori? E mentre tante altre domande potrebbero formularsi, le prime testimonianze sulla brutalità dei metodi adottati cominciano apparire anche sulla stampa. “Parliamoci chiaro – sono parole di Mario Monti – la troika è una forma di neocolonialismo” (Corriere della Sera  15 febbraio 2015). In due editoriali pubblicati dal New York Times a ridosso dell’apertura dei negoziati intrapresi dalla Grecia in seno all’Euro Gruppo, Paul Krugman ha mostrato in modo ineccepibile che il danno misurato in termini di PIL subito dall’economia greca nel periodo compreso tra il 2007 e il 2014 è paragonabile alle devastazioni subite dall’economia della Germania in un periodo di uguale durata tra il 1913 e il 1920, in conseguenza della Grande Guerra.

Conclusione. Le vicende del debito greco e la brutalità dei metodi utilizzati per tentare di ottenerne la restituzione ci consegnano un insegnamento che sta a noi mettere a frutto. Da sola come si visto la legalità formale non è sufficiente a garantire gli standard di democrazia a cui i governi degli Stati si sono vincolati fin dal secondo dopoguerra. Tuttavia quegli stessi trattati le cui clausole hanno consentito di ricostruire in Europa i circuiti democratici devastati dalla seconda grande guerra, alla luce delle vicende greche possono nondimeno suggerire l’esigenza dell’unità di un ampio arco di forze disposte a collaborare per promuovere sulle basi di un diritto positivo internazionalmente condiviso l’avvio di un nuovo ciclo vitale per la democrazia in Europa. Sempre che quei principi fondativi siano mantenuti costantemente vivi e attuali anche attraverso il giudizio di Corti interpellabili da cittadini, organizzazioni non governative e naturalmente anche dalle alte autorità rappresentative degli Stati, come ad esempio il governo greco che siauspica non sia lasciato solo, al fine di contrastare ingiustizie antiche o emergenti.

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